mercoledì 7 gennaio 2015

Si accettano miracoli [Recensione]

Durante le ultime settimane, il cinema italiano ha assistito a eventi abbastanza straordinari: il primo è stato che Ma tu di che segno 6? di Neri Parenti è stato bandito dalle sale del regno il 23 dicembre (dopo appena dodici giorni di permanenza) e ha rappresentato uno dei più grandi flop della storia del cinepanettone, complice sicuramente la scarsa attualità dei suoi contenuti e magari un minimo di lungimiranza in più da parte del popolino, che risparmiando su tutto (5% in meno di spese natalizie rispetto al 2013) ha pensato bene di tenersi 7,50€ per comprare un panettone in più. Devastanti anche i risultati della Filmauro,  che con Un natale stupefacente (che ho visto ma non ho recensito per rispetto al mio stesso blog) si sono posizionati quinti nella scala dei film delle feste. Gli unici che si sono difesi sono stati Aldo, Giovanni e Giacomo, scaduti come uno yogurt aperto da sei mesi, ma comunque ancora in grado di attirare un pubblico che ama una commedia leggera e meno volgare della media. Per il resto ha incredibilmente vinto la qualità: l'ultimo Hobbit non è neanche paragonabile ai primi due capitoli, ma è stato il film più visto nelle sale, e quel mezzo capolavoro di L'amore bugiardo ha avuto una risonanza e un successo del tutto inaspettati. Perciò, si poteva quasi dire che la sconfitta ormai definitiva del Cinepanettone potesse essere un segnale di buon auspicio per un 2015 italico all'insegna di una maggiore intellighenzia. E invece no.
In sordina e fuori tempo, torna ad angosciarci la vita Alessandro Siani, il comico napoletano che non fa ridere ma che, con il suo Il principe abusivo, totalizzò, nel 2013, l'invidiabile cifra di quindici milioni di euro di incasso, autoproclamandosi "nuovo Massimo Troisi". Rai Cinema pensa bene di avviare l'anno puntando tutto su di lui e sulla settimana dell'Epifania, mandando in sala il nuovo Si accettano miracoli, film dove l'uomo del sud incontra la religiosità, o meglio ancora la superstizione. Siani veste i panni di Fulvio, un dirigente spietato che licenzia senza pietà, ma che, licenziato a sua volta, tira una craniata al suo superiore e finisce in galera. Ne esce come un cristiano rinato e va ad aiutare il fratello prete Don Germano (De Luigi molto ingrassato) nella parrocchia di Rocca di Sotto, una di quelle in difficoltà economiche e a rischio smantellamento. Un po' come accadeva nei film di Totò degli anni '50 (anche se ai cultori tornerà in mente perfino Celebrity di Allen), Fulvio decide di rilanciare l'immagine turistica del paesello inventandosi il miracolo della statua del Santo che piange. Peccato che i miracoli inizino ad avere luogo veramente, complici anche i bambini del grande vicinato napoletano.
Raramente si trova un film così stupido. Raramente si è vista un'idiozia nella costruzione dei caratteri tale che i personaggi cambino opinione da un momento a un altro senza alcun motivo. Raramente abbiamo visto (e spero rivedremo) un Fabio De Luigi così grosso e sfortunato, intento a recitare in maniera ignobile. E' dura notare le differenze fra la fotografia di Si accettano miracoli e quella di Tempesta di amore, e allo stesso modo è difficile arrivare in fondo alla visione: il film è veramente una merda, è lentissimo, stupido, pieno di quei buoni sentimenti che non esistono e smanioso di descrivere una provincia campana povera, onesta e piegata da un terzo dei problemi che la affliggono nella realtà. La regia di Siani è inesistente: badate bene, non intesa come regia invisibile (Wilder, Hawks, Eastwood, Comencini, ecc.), ma proprio come frutto di una incapacità ineguagliabile.
Gag escatologiche e buonismi onnipresenti fanno il resto e rendono Si accettano miracoli il film insopportabile che è. Quello in cui, nel finale, deve arrivare sempre il premio divino, un atto di fede e bontà che, oltre ad apparire totalmente irreale, si fa sempre più delirante. 

1 commento:

  1. Si è na merda purtroppo visto anche io. Definirlo una merda è anche fargli un complimento e una scortesia nei confronti della merda

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