The Pale Emperor
(Cooking Vinyl, 2015)
★★
Il periodo di creatività più fervida per un musicista è di dieci anni. Ci sono poche eccezioni che confermano la regola, e non si può certo dire che Brian Warner- meglio conosciuto col nome d'arte di Marylin Manson -sia una di queste. Devoto sin dal prima ora alla causa industrial che investì il mondo della musica metal nei primi anni '90, il buon Brian attese cinque anni prima di pubblicare l'esordio discografico Portrait Of An American Family (1994), che nessuno volle ascoltare. Oggi, in compenso, è considerato un capolavoro, secondo solo al successivo Antichrist Superstar (1996). In quegli anni i dischi di Manson erano prodotti in maniera eccelsa e certosina, dietro la desk trovavano spazio "personaggini" come Trent Reznor e Robin Finck e la band regalava spettacolo in qualunque ambito. Non credo esista album, video o concerto di Marylin Manson concepito fra il 1989 e il 2004 in grado di risultare, anche solo lontanamente, sottotono.
Con The Golden Age Of Grotesque (2003), opera difficile, complessa e aspramente incompresa, Brian Warner ebbe l'occasione di cambiare per sempre la sua carriera: poteva abbandonarsi definitivamente al flusso elettronico della propria opera, consegnarsi al lato sperimentale e oscuro (non che fosse stato una creatura angelica fino a quel momento) del sotto-genere, ma decise di non farlo e tornò sui propri passi. Per me, Marylin Manson finisce lì, specie perchè dopo il solenne, geniale Grotesk Burlesk Tour, rimane ben poco del suo talento e del suo eclettismo. Da comparire nei film di Lynch (chi ha visto quel gran capolavoro di Strade perdute, sa di cosa parlo) passa a operazioni ben più mediocri (La setta delle tenebre), da sputare in faccia ad un'America perbenista, ipocrita e teledipendente approda al doppiaggio di videogames, dall'essere bandito a vita da qualunque evento mondano arriva a tenere mostre di pittura (imbarazzante), a produrre assenzio ed energy drink, a tenere banco con becere operazioni di beneficenza, a pianificare uscite di film, libri e linee di cosmetici da lui personalmente realizzati.
Insomma, Brian Warner è ormai uno pseudo-satanista da salotto: immaginate che il matrimonio con Dita Von Teese è stato officiato da Alejandro Jodorowsky e che i Festival del cinema di tutto il mondo fanno a gara a contenderselo! Ma la musica dov'è finita? Poco lontano.
Marylin Manson ha regalato ben poco di notevole al suo pubblico negli ultimi anni, tant'è che perfino il suo pubblico ha deciso di cambiare. Gli "skonvolti" statunitensi dei primi anni '90 hanno ridato indietro le tessere della Chiesa di Satana, oggi frequentano una parrocchia episcopale, sono ingrassati e bevono solo birra analcoolica. In Europa, invece, ha continuato a mietere vittime e vendere copie anche in trempi recenti: Eat Me, Drink Me (2007) è arrivato nel momento giusto, e tanti emo, vedendo quel ciuffo nero e la cipria, hanno deciso di passare dai Tokio Hotel a qualcosa di leggermente più "hard". La decadenza totale e imperdonabile di The High End Of Low (2009) è piaciuta forse a qualche ex-bowiano d.o.c. che si è voluto far conquistare dalle sonorità glam di questo mediocre disco. Born Villain (2012) è invece destinato a coloro che hanno rovinato Tim Burton, ovvero alla frangia malsana, gotica dell'hipsterismo. I testi si sono fatti sempre meno politici e sempre più surreali, la musica ha perso tutta la cura dark e industrial dei bei tempi che furono, e anche nel nuovo The Pale Emperor ci si discosta assai poco dalla mediocrità degli ultimi anni.
Certo, la musica fa qualche passetto in avanti: il co-produttore Tyler Bates deve avere informato Marylin che, da un paio d'anni a questa parte, libri e cinema strabordano di storie southern-gothic e che ora vale la pena sporcare di chitarre grezze, stradaiole e blues tutti i dischi del mondo. Viene chiamato addirittura il chitarrista outlaw-rock Shooter Jennings per una comparsata, mentre il papà di Sons Of Anarchy Kurt Sutter veste i panni di "consulente" per alcuni testi. Killing Strangers e Third Day Of A Seven Day Binge possono valere, da sole, tutto The High End Of Low, e qualche altro buon brano si ritrova qua e là (Warship My Wreck, Deep Six, Birds Of Hell Awaiting e la ballatona Odds Of Even), ma per il resto siamo a livelli bassi. Gli stessi livelli a cui nuota Brian Warner da quasi un decennio, complice il fatto che il contorno è ormai ben più importante della musica stessa. E non è di certo un bene.
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