Secret Garden (Universal/Edel, 2015)
★★★½
All'inizio del Nuovo Millennio, complice un'analisi autocritica coraggiosa e preveggente, i chitarristi degli Angra Kiko Loureiro e Rafael Bitencourt posero seriamente il problema della mancanza di ispirazione di cui la band sembrava soffrire. Al contrario, il primo cantante Andre Matos, il bassista e il batterista incolpavano agenti e management di non essere in grado di gestire il successo internazionale a cui il gruppo era approdato dopo l'uscita di Fireworks (1998). Ne derivò che i primi istituirono un ciclo di provini per reclutare nuovi componenti, mentre i secondi fondarono gli Shaman. Paradossalmente, bisogna ringraziare la crisi d'ispirazione e di fiducia dei chitarristi, perchè è proprio dal 2001, quando uscì Rebirth (un titolo che non suonava già all'epoca per niente casuale), che gli Angra divennero una delle band progressive più prolifiche e amate della storia.
Chi ha avuto di modo di apprezzare- spesso acriticamente -tutto quello che la band brasiliana ha prodotto negli ultimi quindici anni, avrà potuto notare come l'ispirazione testuale e dei contenuti sia cresciuta fino a diventare pericolosamente ingombrante rispetto alla qualità musicale e sonora della band: si prenda, ad esempio, il recente Aqua (2010), che somiglia tanto ad una raccolta di dieci poesie ispirate a loro volta a La tempesta di Shakespeare. Un disco riuscito solo in parte, buono forse per pubblicarci un libretto da stampa alternativa e paurosamente povero di idee compositive rispetto a un capolavoro come Temple Of Shadows (2004): eppure le doti di scrittura di Loureiro e Bitencourt riescono comunque a salvarlo e a farlo svettare al di sopra di una buona fetta dei concept-album che sovraffollano il panorama progressive ogni anno. Con il nuovo Secret Garden, invece, ci troviamo di fronte alla classica "inversione di marcia" e allo spartito che torna ad essere il protagonista assoluto sulla scena. Gli ultimi rimasugli etno-brazil (che negli anni '90 permisero agli Angra di arrivare al successo, specie con Holy Land) vengono spazzati definitivamente via dalla rigida produzione di Jens Borgen, svedese che accoglie la band ai Fascination Street Studios di Orebro e la ospita per tutto agosto, lavorando su una quindicina di pezzi dal forte sapore symphonic e newclassical metal. Il disco esce in Giappone il 17 dicembre ed è già perfettamente reperibile nei vari siti di streaming. Per la versione fisica europea dovremo aspettare ancora un paio di settimane.
L'impatto di Newborn Me è quello di una grande opening-track, minacciosa come una palude infera, mutevole come il colore di un camaleonte. La voce del nuovo cantante Fabio Lione, così arrogante e sdegnosa, conquista già al primo ascolto, pur essendo messa al servizio di testi infinitamente meno significativi rispetto a quelli redatti nell'ultimo decennio dagli Angra. Ma la cattiva poesia non va confusa con la poesia banale, noiosa o irrilevante: i testi di Secret Garden somigliano al risultato finale dell'opera, sono eccitanti, nuovi, interessanti. Gli Angra maldestri di Aurora Consurgens testimoniavano un divorante amore per gli esperimenti linguistici di cui poche band potrebbero vantarsi, specie nel panorama del Metal, ma il risultato era quello (mediocre) di un grande edificio senza fondamenta e tetto. La successiva Black Hearted Soul è rapida e aggressiva, symphonic metal perfettamente arrangiato, con tanto di cori power e con il basso di Felipe Andreoli più martellante che mai. La più calma Final Light appartiene invece a un altro genere, la voce di Lione è per la prima volta in primissimo piano, perfino di fronte al muro di chitarre del duo Loureiro e Bitencourt: è una cavalcata sub-psicotica nella quale la "luce finale" evocata esce dalla rassicurante dimensione onirica e diviene unica e vera visione infernale. L'adrenalina con cui Final Light si conclude lascia spazio alla sottigliezza di Storm Of Emotions, in cui il testo si fa più enfatico e i sintetizzatori ci riportano alle origini del gruppo, dando vita ad un'avventura in technicolor riuscitissima. Con Violet Sky e Secret Garden ci troviamo a metà del disco: la prima si perde un po' nel ricalcare gli stili del passato prossimo della band, mentre la title-track (che vede impegnata alla voce Simone Simons degli Epica) è la classica canzone da prendere, chiudere in un baule e dimenticare. E per quanto amore si possa avere per l'immediatezza, non c'è paragone tra l'estremo controllo compositivo della prima parte del disco e la simpatia senza freni tutta progressive di Upper Levels. Ben più indovinato è il duetto con Doro Pesch in Crushing Room, un brano semplice e innocente, lontano dalla sofisticazione che invece ritroviamo, subito dopo, nella penultima Perfect Symmetry, che deve un po' troppo forse ai Liquid Tension Experiment e che riflette, in toto, ogni luogo comune sul virtuosismo dei giganti del progressive metal. Ma proprio la ricerca del luogo comune è quella che porta Lione, nella conclusiva Silent Call, a raccontare di un uomo solo che si ritrova a camminare per le strade deserte della vita.
Perciò, si può affermare che soltanto alla fine di Secret Garden gli Angra lascino trasparire il desiderio di abitare un paesaggio musicale indifferente al tempo, al marketing e a ogni nozione di progresso artistico o di lavoro di gruppo. Un desiderio alieno a molte band progressive (si pensi ai Dream Theater del dopo-Portnoy o agli Opeth) e vicino ad un gusto molto più pop della musica rock. Ed è solo non cessando di essere gli Angra che questa tendenza alla banalità si riveste di un carattere sperimentale, transitorio, pronto ad essere bruciato e sostituito da una nuova fase creativa che- ne sono certo -non tarderà ad arrivare.
(Anche se, vi dirò, questa bella sbandata sinfonica a me piace un sacco!)
Perciò, si può affermare che soltanto alla fine di Secret Garden gli Angra lascino trasparire il desiderio di abitare un paesaggio musicale indifferente al tempo, al marketing e a ogni nozione di progresso artistico o di lavoro di gruppo. Un desiderio alieno a molte band progressive (si pensi ai Dream Theater del dopo-Portnoy o agli Opeth) e vicino ad un gusto molto più pop della musica rock. Ed è solo non cessando di essere gli Angra che questa tendenza alla banalità si riveste di un carattere sperimentale, transitorio, pronto ad essere bruciato e sostituito da una nuova fase creativa che- ne sono certo -non tarderà ad arrivare.
(Anche se, vi dirò, questa bella sbandata sinfonica a me piace un sacco!)
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