domenica 1 dicembre 2013

Alter Bridge, "Fortress" [Suggestioni uditive]

Alter Bridge,
Fortress (Roadrunner Records, 2013)

★★

















Negli anni '80 e '90 si faceva del gran buon hard-rock commerciale, con quelle meravigliose power ballad che continuano a far sciogliere chi non avuto modo (per motivi generazionali) di non ascoltarle al momento della loro uscita, con quelle solenni cavalcate talvolta grezze e stradaiole e anche con qualche pezzo acustico, che non guasta mai. I grandi nomi si sprecherebbero: dai Bon Jovi ai Poison, dagli Whitesnake agli Skid Row, dagli Extreme ai Guns N'Roses, dai Van Halen ad Alice Cooper. Tutta gente che scalava senza problema le posizioni più alte in classifica vendendo un milione di dischi con uno schiocco di dita.
Poi è arrivato il grunge ed è cambiato tutto. Le suddette band o sono cadute o si sono dovute "adattare", reinventandosi e mirando verso progetti di crossover mai neanche considerati nel decennio precedente. Tuttavia, dall'incontro fra la nuova musica di Seattle e il caro vecchio hard-rock sono nati anche buoni frutti (pensate ai Korn o ai "rinnovati" Faith No More), oltre a clamorosi passi falsi (dal periodo "lento" dei Metallica all'esperimento pseudo-grunge dei Kiss di Carnival of Souls). 
Muore il grunge e ovviamente tutti vanno nel panico: c'è chi si pente di ciò che ha fatto negli ultimi cinque, otto anni e c'è chi, invece, contribuisce ad inventare un nuovo sotto-genere, il nu-metal. Ed è qui che spuntano fuori, manco fossero funghi malefici, gli Alter Bridge, capitanati dall'inutile e pericoloso Myles Kennedy. Scrivo "pericoloso" perchè Kennedy ha la brutta tendenza di rovinare tutto ciò che tocca, colleghi compresi: basti pensare al recente Apocalyctic Love firmato "Slash&Myles" e al terrificante tour che ha seguito l'album, dove Kennedy ha rovinato anche numerosi capolavori dei GNR emulando cantanti immensamente più bravi di lui. Ma l'odio più definitivo è esploso, almeno da parte mia, alla cerimonia della Rock&Roll Hall Of Fame 2012, quando i Guns sono entrati formalmente nella cerchia delle leggende e Myles Kennedy, essendo Axl assente, ha cantato al suo posto.
Nel 2004, per me, non sussisteva alcuna differenza fra ascoltare i Gazosa o gli Alter Bridge: in entrambi i casi, ero convinto che si trattava di band da "un successo soltanto". E il loro esordio One Day Remains di successo ne ebbe e parecchio (750.000 copie): merito di una grande ballata come In Loving Memory, e di tutta l'impronta sonora più alternative-metal che il cantante e il chitarrista Mark Tremonti erano riusciti a conferire al disco. Del successivo Blackbird (2007) si sentì parlare molto meno, anche se  gli Alter Bridge tornarono alla ribalta sempre quell'anno comparendo in Guitar Hero accanto a star di primo ordine. Lasciamo perdere i successivi live ad Amsterdam e Wembley e l'ambizioso concept AB III, primo disco realizzato sotto l'egida della Roadrunner, e arriviamo a parlare di questo nuovo Fortress, l'opera che- stando a quanto dichiarato dallo stesso Kennedy -"dimostra che gli Alter Bridge sono una vera band heavy-metal". Ora, dal sentire l'efficace singolo di lancio (Addicted To Pain, un pezzo "duro" che è girato parecchio nelle radio nostrane) al parlare di "vera band heavy-metal" ce ne vuole. Diciamo soltanto che questo Fortress convince più dei suoi due predecessori ed è sicuramente più pesante e sinceramente cattivo della tiepida opera d'esordio. Ma sempre degli Alter Bridge si parla, ed è inevitabile che un disco oltre un'ora di durata contenga buone idee per meno della metà, sia ricolmo di riempitivi inutili, di ballate vuote come un porno-attore dopo una giornata di incessante lavoro, di canzoni nè belle nè brutte, ma semplicemente tristi. Ecco, se si dovesse condensare Fortress in un aggettivo, quello sarebbe "triste".

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