L'adolescenza è una di quelle cose strane e, per certi versi, difficili da descrivere: vivendola si finisce con l'odiarla, ma una volta che non c'è più quasi se ne prova nostalgia. Non appena entrati- in modo più o meno consenziente -nell'età adulta, si ostenta un atteggiamento di rifiuto per tutto ciò che ci siamo appena lasciati alle spalle: dagli ascolti musicali ai gusti in fatto di uomini e donne, dal nostro genere cinematografico preferito al quotidiano che preferiamo leggere, dal modo di vestire ai passatempi prediletti nel fine settimana tutto è soggetto a processi di rinnovamento, trasformazione, rinnegamento.
E così, se Hunger Games: la ragazza di fuoco fosse uscito in uno di quei dodici, tredici giorni in cui anche il sottoscritto stava sforzandosi di crescere, molto probabilmente non sarei stato in grado di apprezzarlo. Invece questo secondo capitolo cinematografico tratto dalla saga letteraria della Collins mi è piaciuto quanto il primo, e mi ha fatto riflettere sull'importanza che riveste una simile storia per un pubblico di giovani spettatori del mondo di oggi. Perchè alla fine è vero che non c'è nulla di nuovo (a parte un grande Philip Seymour Hoffman nei panni di Plutarch Heavensbee) e che stavolta- come in ogni sequel che si rispetti -le cose si complicano: ma è ancora una volta l'idea di questa società (distopica ma più reale di quanto si potrebbe credere) basata sulla falsità e sull'apparenza ad entusiasmarmi. Sinceramente, La ragazza di fuoco mi ha coinvolto anche di più del precedente, anche solo per la complessità che inizia a rivestire la storia d'amore fra i protagonisti. L'immedesimazione provata in un paio di scene è stata fortissima, complice una regia pulita e discreta (Francis Lawrence ha finalmente girato un buon film e ha già firmato per i due sequel), le grandi musiche e anche la bravura (perchè di bravura si tratta) di Jennifer Lawrence. Non ascoltate chi dice che la storia è banale e che i messaggi contenuti al suo interno sono scontati: guardate che un film per adolescenti che fa pensare è merce rara; e far pensare gli adolescenti, mostrare loro una civiltà che si rifugia dietro le pailettes televisive ma che, in realtà, è arrivata alla frutta, è una scelta sicuramente migliore di qualunque altra riflessione offerta da prodotti analoghi.
E cosa dire a questi genitori frustrati, incapaci e infelici che preferivano quando i figli andavano a ridere coi film di De Sica e Boldi, oppure con quelli di Pieraccioni, perchè quelli erano film che insegnavano la vita vera?
Magari sono anche gli stessi genitori che ad ogni nuova saga per ragazzi si preoccupano, telefonano al prete, a Vespa o a Santoro e dicono che è un male che i ragazzi si innamorino di Katniss Everdeen.
Dov'è il problema?
Ah, già: il problema è che lei non esiste.
Ma meglio così: a volte innamorarsi di un'idea è quanto di meglio si possa fare. Almeno in questa vita.
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