Non starò a fare di nuovo luce sui miei ricordi, sulle mie letture della tarda infanzia e sulla passione che ho nei confronti dell'universo fantasy tolkieniano (chi fosse interessato trova tutto qua): così andrò a parlare dell'atteso e bellissimo secondo capitolo della saga, La desolazione di Smaug, in tutte le sale italiane dal 12 dicembre.
Come ogni "secondo atto" partorito dalla mente di Peter Jackson, anche questo inizia con un breve antefatto (Thorin e Gandalf a Brea, in una nota locanda), e poi parte "a razzo", con una corsa perdifiato, esattamente come i primi dieci minuti de Le due torri. La compagnia dei nani, Bilbo e Gandalf fuggono dagli orchi. Trovano riparo presso il muta-pelle Beorn (uno dei miei personaggi preferiti del libro a cui, purtroppo, è stato concesso molto meno spazio nel film, e che spero di rivedere nella versione estesa in home video) e giungono al Bosco Atro, dove lo stregone è costretto a lasciarli per effettuare ricerche sul Negromante e successivamente per far ritorno a Dol Guldur. Da questo momento, il film si divide nelle consuete due sotto-sezioni: le vicende della compagnia dei nani e Bilbo da una parte (70%), lo scontro fra Gandalf e le forze oscure dall'altra (30%). Niente Frodo, niente Saruman, niente Galadriel, niente Elrond, niente Gollum: rimangono Radagast (per chi li avesse detestati, i suoi conigli giganti si vedono solo da lontano) e Azog il profanatore, mentre si aggiungono nuovi personaggi graditi (la bellissima elfa Tauriel e l'umano Bard) e altri un po' meno (quell'odioso "colletto bianco" di Legolas, ahimè, ritorna con le sue acrobazie da arciere-saltimbanco).
Nonostante ne La desolazione di Smaug siano presenti meno personaggi a fare da tramite fra le due storie, le porte aperte verso Il signore degli anelli sono ormai moltissime, ma l'atmosfera rimane identica a quella che traspariva da ogni inquadratura di Un viaggio inaspettato: straordinaria, fiabesca, nè troppo chiara, nè troppo scura. Inoltre è proprio nei nuovi personaggi (chi non ha gradito certe invenzioni che si discostano dal libro, è il classico individuo bigotto che può tacere e non guardare nessuno dei film tratti dai romanzi di Tolkien) che il film trova nuova linfa vitale, e anche nelle ambientazioni: la scena del Reame Boscoso è meravigliosa, per non parlare di tutta la parte centrale nella cittadina di Esgaroth (che mi è piaciuta tantissimo). Ma anche la visita di Gandalf e Radagast alle tombe dei nove (i nazgul) si imprime nella memoria (anche solo per come Jackson interpreta, filma, e maneggia l'effetto speciale). Alla faccia di quello che dicono in molti, l'accenno di una love-story fra Tauriel e il nano bello Chili (<<Speriamo te la trombi, Legolas elfo di merda!>> cit.) funziona alla grande.
Infine, mi associo a quella moltitudine di fan, critici, lettori, osservatori, sognatori che dicono che Smaug sia il più bel drago mai visto al cinema: e non soltanto perchè è gigantesco, realistico (per quanto "realistico" possa essere un drago sputafuoco) e mostruosamente elegante. Ma perchè parla. Ed è proprio parlando che assurge al rango di personaggio dalla levatura quasi shakesperiana. Non a caso tutto il film tocca l'apice non tanto nello scontro con Smaug, quanto nel dialogo fra lui e Bilbo (che si riconferma il miglior protagonista di una saga fantasy di tutti i tempi).
E visto che non sono uno di quei cretini che di fronte all'ultima scena ha iniziato a fischiare, non passerò i prossimi trecentosessanta giorni a chiedermi quando uscirà Lo Hobbit- Racconto di un ritorno (questo il titolo del terzo film), bensì a quando e quante volte guardare e riguardare La desolazione di Smaug.
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