
Come ogni "secondo atto" partorito dalla mente di Peter Jackson, anche questo inizia con un breve antefatto (Thorin e Gandalf a Brea, in una nota locanda), e poi parte "a razzo", con una corsa perdifiato, esattamente come i primi dieci minuti de Le due torri. La compagnia dei nani, Bilbo e Gandalf fuggono dagli orchi. Trovano riparo presso il muta-pelle Beorn (uno dei miei personaggi preferiti del libro a cui, purtroppo, è stato concesso molto meno spazio nel film, e che spero di rivedere nella versione estesa in home video) e giungono al Bosco Atro, dove lo stregone è costretto a lasciarli per effettuare ricerche sul Negromante e successivamente per far ritorno a Dol Guldur. Da questo momento, il film si divide nelle consuete due sotto-sezioni: le vicende della compagnia dei nani e Bilbo da una parte (70%), lo scontro fra Gandalf e le forze oscure dall'altra (30%). Niente Frodo, niente Saruman, niente Galadriel, niente Elrond, niente Gollum: rimangono Radagast (per chi li avesse detestati, i suoi conigli giganti si vedono solo da lontano) e Azog il profanatore, mentre si aggiungono nuovi personaggi graditi (la bellissima elfa Tauriel e l'umano Bard) e altri un po' meno (quell'odioso "colletto bianco" di Legolas, ahimè, ritorna con le sue acrobazie da arciere-saltimbanco).
Nonostante ne La desolazione di Smaug siano presenti meno personaggi a fare da tramite fra le due storie, le porte aperte verso Il signore degli anelli sono ormai moltissime, ma l'atmosfera rimane identica a quella che traspariva da ogni inquadratura di Un viaggio inaspettato: straordinaria, fiabesca, nè troppo chiara, nè troppo scura. Inoltre è proprio nei nuovi personaggi (chi non ha gradito certe invenzioni che si discostano dal libro, è il classico individuo bigotto che può tacere e non guardare nessuno dei film tratti dai romanzi di Tolkien) che il film trova nuova linfa vitale, e anche nelle ambientazioni: la scena del Reame Boscoso è meravigliosa, per non parlare di tutta la parte centrale nella cittadina di Esgaroth (che mi è piaciuta tantissimo). Ma anche la visita di Gandalf e Radagast alle tombe dei nove (i nazgul) si imprime nella memoria (anche solo per come Jackson interpreta, filma, e maneggia l'effetto speciale). Alla faccia di quello che dicono in molti, l'accenno di una love-story fra Tauriel e il nano bello Chili (<<Speriamo te la trombi, Legolas elfo di merda!>> cit.) funziona alla grande.
Infine, mi associo a quella moltitudine di fan, critici, lettori, osservatori, sognatori che dicono che Smaug sia il più bel drago mai visto al cinema: e non soltanto perchè è gigantesco, realistico (per quanto "realistico" possa essere un drago sputafuoco) e mostruosamente elegante. Ma perchè parla. Ed è proprio parlando che assurge al rango di personaggio dalla levatura quasi shakesperiana. Non a caso tutto il film tocca l'apice non tanto nello scontro con Smaug, quanto nel dialogo fra lui e Bilbo (che si riconferma il miglior protagonista di una saga fantasy di tutti i tempi).
E visto che non sono uno di quei cretini che di fronte all'ultima scena ha iniziato a fischiare, non passerò i prossimi trecentosessanta giorni a chiedermi quando uscirà Lo Hobbit- Racconto di un ritorno (questo il titolo del terzo film), bensì a quando e quante volte guardare e riguardare La desolazione di Smaug.
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