Fortemente sconsigliato alle persone troppo emotive, capolavoro annunciato, Palma d'Oro strameritata a Cannes 2012, Amour è uno dei film più belli e toccanti che mi sia mai capitato di vedere. Merito senz'altro della triste storia (cronaca intima di come la malattia entri prepotentemente nella vita di due ottantenni), della straordinaria attenzione ai dettagli sia visivi che uditivi (le luci del maestro Darius Khondji, storico collaboratore di Fincher, Jeunet e Woody Allen, si sposano perfettamente con la coinvolgente colonna sonora, comprendente alcuni Impromptus di Schubert e le spettacolari Bagattelle op. 126 di Beethoven) e della sconfinata bravura da parte di Trintignant (Georges) e della Riva (Anna) nel saper "vestire" e recitare il dolore, quello vero, quello che sembra quasi di poter essere toccato con mano. Le poche figure di contorno (il pianista, i vicini, il genero, le infermiere) finiscono con l'essere semplici "note a margine" della storia: il protagonista assoluto è l'Amore, incarnato in questi due anziani e unica cosa che rimane a Georges e Anna quando tutto è irreversibilmente perduto, anche la speranza e la dignità. Dialoghi splendidi, privi di qualsiasi forma di sentimentalismo spicciolo (se i signori di Hollywood avessero messo su pellicola una storia simile, ne sarebbe derivato un film patetico e mediocre) e senza esagerazioni: ogni parola è "pesata", ogni battuta scandita con un impeccabile senso della buona recitazione. Il finale apertissimo è una soluzione che fara discutere. Ad ogni modo, l'austriaco Haneke non solo si è portato a casa la sua seconda Palma d'Oro, ma ha realizzato il suo film migliore (superiore ai drammi Il nastro bianco e La pianista, così come ai più "avventurosi" Il tempo dei lupi e Funny Games), e temo sarà dura eguagliarlo.
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