PREMESSA
A neanche un mese dalla pubblicazione qui sul blog di
Risvegli di altri tempi, ho deciso di postare un racconto piuttosto lungo, nato da una costola di una sceneggiatura scritta di getto nel 2009. L'unica cosa che non ho mai sopportato di questa storia è il titolo: lo odio, semplicemente.
Buona lettura.
IL CASOLARE
Nella
nuda foschia di un comune giorno invernale, un casolare di campagna
veniva circondato da un bel giardino e da ampi cipressi. Dio
osservava dall'alto- ovviamente -e si avvicinava lentamente alla
Terra. Nessuna musica di sottofondo, solo qualche rumore della
natura.
Mise
a fuoco la porta di ingresso del casolare, contornandola con una
lieve luce d'inverno e separandola dal vuoto totale intorno; gli
apparve l'ultimo lembo di terra sopravvissuto a chissà quale
catastrofe.
La
porta si aprì, e quatto giovani atleti uscirono con passo di corsa,
voltando l'angolo dell'abitazione, lasciando l'ingresso aperto. Da lì
uscì una ragazza sulla ventina, non molto magra, e si sedette. Era
in tuta e portava spessi occhiali da vista; se li tolse e ne osservò,
con molta calma, le lenti, per poi riporli delicatamente sul suo naso
irregolare. Tirò fuori dalla tasca dei calzoni un pacchetto di
sigarette, e, accesene una, iniziò a contemplare quanto vago
apparisse il mondo in quell'istante. Trasalì segretamente nell'udire
un rumore di passi; socchiuse lentamente la bocca, un po' stupita;
buttò fuori il fumo con più velocità rispetto a quanto avesse
fatto prima. Sopraggiunse, un ragazzo, anche lui poco più che
adolescente. Ora erano insieme, Martina e Fabio, ed ella fu la prima
a parlare:
- Oh,
tu?!
- Oh,
io?!...
Martina
sorrise e lo invitò a sedersi.
-Ne
vuoi una?- gli chiese porgendo il pacchetto di sigarette.
- No,
grazie, ho le mie.- replicò Fabio estraendo una confezione un po'
più rovinata dalla tasca della sua pesante giacca a vento.
Poteva
essere un momento imbarazzante, ma la giovane sembrò venire al sodo
con un deciso:
-
Come va?
Fabio
sbuffò un: - Come deve andare?
- Oh,
non so... non ci sono io al posto tuo...- rispose (fintamente
stupita) Martina.
-
Prega di non trovartici mai.- disse alzando lievemente la voce e
lasciando che, sul volto, gli si dipingesse un sarcastico sorriso.
-La
tua autocommiserazione mi fa rabbia!- inveì scocciata -Credi di
essere l'unico... - al che Fabio alzò la mano e aspirò una lunga
boccata.
- Non
aggiungere altro! Ti reputo una persona abbastanza intelligente,
quindi non uscirtene con frasi scontate e retoriche, grazie.
Martina
parve mortificata e abbassò la testa:- Hai ragione, scusa. Però mi
sembra incredibile che tu ancora non te...- ma non riuscì a finire
neanche questa frase.
-Ho
detto basta! Non ti devi preoccupare per me, non credo che morirò
per questo, è solo che non sono più vivo dentro.
La
ragazza spense la sigaretta, capendo che, per l'amico, c'era ben poco
da fare.
- Lei
è qui?- domandò lui.
Pausa.
Martina ostentò timore nel rispondere alla domanda di Fabio; respirò
profondamente prima di aprire nuovamente la bocca. Il tempo sembrò
essersi fermato, oppure era il loro modo di vivere che aveva subito
una brusca frenata.
-
Dovrebbe essere dentro, sì. Ma, ti prego, non creare
confusione, proprio ora...- al che fu nuovamente interrotta.
-
Come sta?
La
ragazza mandò gli occhi in alto e affermò: - Ha voglia...di
evadere.
- Ne
ha sempre avuta: ama evadere. Evade e lascia in catene chi l'ha
aiutata nell'evasione. E' ingiusto, ma, in fin dei conti, che
cosa è giusto a questo mondo?
Martina
apparve visibilmente disturbata da questa conversazione e angosciata
dall'ultima frase pronunciata dall'amico; iniziò ad essere dominata
da una forte volontà di andarsene, e Fabio avvertì questo suo
progressivo cambiamento.
- Vai
pure, se vuoi. Vai, vai...
-
Scusa...- rispose lei, quasi piangendo.
-
Puoi andare, se vuoi:non sei mia prigioniera.
- No,
questo lo so. E' solo che non so come poterti aiutare...
-
Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi!- replicò Fabio, contribuendo a
dare un tono meno pacato alla situazione e assumendo tratti somatici
sempre più aggressivi.
-
Tutti hanno bisogno di essere aiutati.
-
Stronzate!
-
Secondo me, è così.
- Ma
se neanche sai essere d'aiuto a te stessa!
Con
questa ulteriore, estrema declamazione, Fabio sembrava essersi
indirizzato definitivamente sulla tortuosa strada dell'offesa.
Infatti, Martina si alzò in piedi e,rimanendo davanti alla porta, in
un atteggiamento alquanto statuario, iniziò a parlare contro il
ragazzo, indicandolo col dito:
- Non
ti permettere! Sono qui per ascoltare le tue ragioni, ma non le tue
bugie o anche peggio le tue insinuazioni! Capito, brutto stronzo?
Fabio
rideva istericamente e ascoltava questa sua amica grassoccia e dai
modi sgraziati mettere insieme simili discorsi. Il suo era veramente
un atteggiamento irritante. Poi, dal nulla, si pose un freno e si
calmò chiedendole scusa.
- Non
volevo riferirmi a te con quel discorso sull'aiutare: è solo che io
sono convinto- e si accese un'altra sigaretta -che nessun essere
vivente sappia essere d'aiuto a se stesso. Nessuno vuole accudire se
stesso, perché è comunque come badare ad un'altra persona, forse a
qualcuno che addirittura odiamo, dal momento che ce lo sentiamo
dentro, ad albergare tranquillamente dentro di noi, negli angoli più
reconditi della nostra anima.
Martina
recepì questo sconvolgente messaggio e, con un ultimo e disperato
tentativo, gli chiese:
- Ma
tu non credi di avere Dio dentro?
Fabio
sorrise di nuovo e disse:
-
Magari è passato, ma temo che si sia messo paura! Peccato: in giorni
come questi avrebbe potuto far comodo.
La
ragazza scosse la testa, disturbata dalla battuta del giovane
miscredente, e cercò di tornare al discorso precedente.
- E
dunque per te non è possibile stare tranquillo, da solo, perché hai
da odiare il tuo interno?
-
Brava! Poi a me non interessa lo “stare tranquillo”, ma non posso
dire di conoscere la solitudine, lo stare solo. Nella solitudine,
anche se ce la imponiamo allontanandoci dalla società civile, si
finisce con l'incontrare Noi Stessi, entità che non si possono
vedere, ma che si fanno sentire, che hanno una vita. E così
ricerchiamo qualcuno con cui trascorrere la vita, qualcuno che sia in
grado di tamponare lo spazio e il tempo che ci dividono proprio da
Noi Stessi.
Un
po' contorto forse come discorso, ma Martina sembrava averlo
afferrato, sebbene non vi si rispecchiasse.
- E
tu eri convinto di aver trovato tutto questo?
- Oh,
io mi ero voluto spingere oltre!- proseguì -Credevo addirittura di
aver trovato la felicità! Come se amore e felicità coincidessero!-
rideva divertito -La fine dell'infelicità, forse, è ciò che
dobbiamo ricercare grazie all'amore, non la felicità. Quella va
lasciata a chi nella vita si è sempre sentito a disagio, a chi vuol
farsi prendere per il culo dall'esistenza.
-
Cosa c'entra il farsi prendere per il culo dalla vita con l'essere
felici?!- replicò lei, nuovamente scocciata.
Fabio
batté le mani, creando un rumore che spezzò in due la pesante aria
invernale che gravava sul portone del casolare, e parlò:
- Una
persona felice si muove con gioia, parla con gioia, pensa con gioia,
agisce con gioia, prova sentimenti di gioia e tesse rapporti sociali
con persone gioiose perlopiù come lei. Ma poi, un giorno, arriva la
Vita, che la coglie alle spalle e le dice che è giunta la sua ora.
La felicità finisce con la sua morte e la vita, portata avanti nel
modo sbagliato, si prende così la sua rivincita spezzandole il
cuore. Pensa te, Marti, una persona che ha sempre vissuto
gioiosamente quanto può morire disperata, quanto può temere la
Morte.
Martina
era stata investita da un'onta di turbamento inaspettata, e tentò di
concludere la conversazione nel modo migliore.
-
Sai, ti ho sempre ritenuto una di quelle persone che mi bastava
guardare o sentir parlare per mettermi a piangere: ciò che hai
appena detto è terribile.
- La
verità sa essere terribile, mia cara amica.
-
Già, a volte me ne dimentico.
Fabio
sorrise, stavolta senza sarcasmo, e disse: - Non sei l'unica.
Ella
si alzò e aprì ulteriormente il portone; l'amico era rimasto a
sedere e la guardava, comodamente seduto sugli alti scalini di
pietra.
- Ora
io devo veramente andare. Se vuoi restare, chiedi a Suor
Caterina di farti mostrare il dormitorio e la mensa. Della palestra
non ti parlo neanche, tanto so bene come la pensi su qualsiasi
attività che riguardi il fisico.
-
Anche tu sei una “palestrata”?- chiese lui, divertito.
- Io
non sono niente.
Era
una risposta grave, ma fu pronunciata con un sorriso talmente sincero
disegnato su quel viso rotondo da farla sembrare quasi rassicurante.
-
Meglio, così diventerai qualche cosa o qualcuno.
Martina
non se la sentì di ribattere in quel momento.
-
Ciao.
-
Ciao, Marti.
Dio,
a quel punto, volle che il Silenzio fosse l'unico compagno di Fabio.
Il portone era rimasto socchiuso, il giovane fissava il vuoto con un
impegno maniacale, muovendo lentamente un sopracciglio e le labbra.
Si alzò in piedi e, resosi conto che la sua testa sembrava
incredibilmente vuota e leggera, fece il suo ingresso nel casolare.
Procedette con passo lento lungo il corridoio del piano terra. Le
stanze assumevano, agli occhi di Fabio, le sembianze di remote e
misteriose spelonche; vi intravedeva sì delle figure umane, ma al
contempo sentiva che, se mai Dio fosse passato di là, non sarebbe
mai entrato in quelle camere. I quattro atleti lo allontanarono dai
suoi pensieri: si strinse verso il muro e li fece passare. Andavano
sempre di corsa. Una porta socchiusa, che lasciava intuire la
presenza della luce all'interno di un'altra stanza, attirò la sua
attenzione. All'improvviso egli sembrò vedersi come in un'immagine
ottenuta con l'autoscatto: abbattuto, spaventato, timoroso; la sua
mano tremava sulla maniglia, che venne aperta, anche se in modo
esitante.
I
suoi occhi furono subito riempiti da un mobilio bello, intimo, dai
tratti malinconici. Si muoveva con il rispetto con cui molti credenti
si spostano in chiesa, osservando alcuni oggetti quasi volesse
adorarli: un pupazzo di una papera, un posacenere non molto pieno su
cui era stata lasciata una sigaretta accesa, dei fiori messi in un
vaso grigio. Una ragazza stava seduta su una sedia vicina alla
finestra e dava le spalle al mondo esterno. Egli conosceva bene
quella persona, nei cui occhi si era specchiato in un milione di
occasioni in passato, eppure era come se la incontrasse per la prima
volta. Fu travolto da un'ondata di muta e rigorosa bellezza.
- Che
cosa ci fai qui?- disse ella né stupita, né disturbata, né
intimorita.
- Io
non ci voglio stare qui.
-
Nessuno ti ha obbligato a venire.
Fabio
venne avanti.
- La
tua è una replica banale: non rispecchia ciò che sei veramente. Se
può esserti d'aiuto, sono venuto qui per caso, non pensavo di
trovarti, soprattutto qui, in questa camera, e oggi, in questo
giorno.
Maria
lo fissò negli occhi, poi voltò lentamente la testa verso un
calendario, guardò che giorno era e ripose lo sguardo sul giovane,
mostrandosi abbattuta.
-
Neanche qui riusciamo ad aver pace, io e te.
- Oh,
mia cara- era nuovamente sarcastico -, io e te in nessun luogo sulla
terra siamo riusciti ad avere pace. In noi l'amore ha trovato un
campo di battaglia, ma è una guerra che rimpiangeremo la nostra.-
disse sedendosi sul bordo di un piccolo letto.
- Non
posso nasconderti certe nostalgie, ed è inutile tenerti segreto
qualcosa. Eppure...- e qui si interruppe per pochi secondi, ma a
Fabio sembrarono giorni, tant'è che, stizzito, la invitò a
proseguire:
-
Eppure?
-
Eppure sento che il sogno è finito!
- I
sogni o sono passati, o non finiscono mai.
- Sì,
ma è il passato che si trascina fino a noi, fino a me. Tu stesso sei
il passato! Questa stanza pulsa di una forza che appartiene ad una
vita passata.
Il
dialogo si intensificò, in un crescendo senza tregua.
-
Perché tornarvi, allora?
-
Perché speravo che qui avrei fatto i conti con tutto, anche con me
stessa. Questo luogo è stato l'inizio per noi: ecco, io volevo che
potesse essere anche la fine, e un nuovo inizio.
- Un
nuovo inizio per cosa?- chiese il giovane, mostrandosi già
innervosito e cupo in volto.
- Per
una vita diversa da quella fatta con te. Per un nuovo lavoro, delle
nuove passioni, un nuovo uomo.
Quest'ultimo
punto sul “nuovo uomo” aveva scosso, pur nella sua semplicità,
l'animo di Fabio, che comunque non perse il controllo e continuò con
le sue insistenti, folli domande.
- E
tu pensi di riuscire a cambiare vita senza rinunciare a te stessa?
-
Vorrei provarci.
- Non
ti riuscirà mai: è impossibile per chiunque! Figuriamoci se tu, che
con enormi difficoltà sei sempre riuscita ad accettarti per ciò che
sei veramente, potrai mai riuscire a condividere l'esistenza con una
nuova e diversa versione di te stessa. Stronzate!
Era
esploso.
- Non
sono stronzate! E se questa versione di me fosse migliore? Se venissi
fuori come una persona più sicura, che cerca di pensare meno a
complicarsi la vita? Un'esistenza senza seghe mentali: oddio, è un
miraggio dopo aver conosciuto uno come te!- concluse ridacchiando
istericamente. Il giovane, dal canto suo, iniziava a tremare, era
scosso da brividi profondi che tornavano a declamare la sua
insicurezza.
- Ma
non sarà una versione migliore: certo, potrà comprendere sicurezza,
felicità, amore...ma saranno tutti sentimenti superficiali, inutili,
fini a se stessi. Non esistono mai cambiamenti in meglio,
specie se si parla di sé. E poi la vita ti verrà a ricercare, farà
in modo che succeda qualcosa che metta a nudo nuovamente la tua
psicologia mutilata, la tua disperazione emotiva, il tuo caotico modo
di accettare il mondo.
Nel
parlare, Fabio aveva riacquistato un po' di decisione retorica;
tuttavia, Maria sembrava intenzionata a rivolgere le più intricate
domande al ragazzo che un tempo aveva amato.
- Tu
dici che la felicità non è nel mio destino?
-
Fregatene della felicità! Non la si ottiene dal nulla. Pensa
piuttosto a crearti le premesse per riceverla...
- Tu
dici che la felicità non è nel mio destino?- ripeté, insistendo
con toni decisamente aspri.
-
Ecco, io mi baso su ciò che mi hai sempre detto. Ricordo, ad
esempio, che da sempre desideri tornare ad essere terra, polvere; ma
è un desiderio che non hai raccontato molto neanche a te stessa,
secondo me.
Si
accorse di aver colpito nel profondo.
-
Come mai?
-
Magari ora non staremmo parlando in una camera di un casolare se tu
avessi ricercato con ogni mezzo di far divenire questo desiderio
realtà- fece seguire una breve pausa per lasciare che Maria
metabolizzasse questa sottile battuta iniziale- E poi tutti i
racconti che mi hai fatto su quando, da piccola, dietro ad ogni gioia
apparente si nascondeva per te l'ombra del male, della Morte,
dell'ignoto. Ricordi queste cose o sono solo frutto della mia
fantasia allucinata e malata? Dimmelo tu!
Vennero
le lacrime a conquistare i suoi occhi, mentre rispondeva.
-
Sono vere, te le ho dette davvero, le ho pensate per tutta una vita e
temo che, dentro di me, continuerò a pensarle.
Seguì
un minuto di silenzio. La discussione sembrava potesse concludersi
lì, ma Fabio fu richiamato all'attenzione da un'immagine che era
appesa alla parete sopra il letto. La riproduzione di un quadro di
Pollock.
-
Guarda quell'immagine: sembra un ammasso di nervi e nodi che si
imprime sui pensieri; immagino che il tuo cervello, dentro, abbia
quell'aspetto.
-
Temo di sì.
Fabio
capì di aver aperto un nuovo lato della conversazione: - Perché lo
temi?
-
Perché ciò che ha dipinto Pollock mi impedirà di condurre
un'esistenza normale, anche se tenterò di cancellare quel quadro
dalla mia vita, dalla mia mente.
- Sai
qual'è il bello?- le chiese lui.
-
Quale?
Egli
accese due sigarette, poi gliene porse una a lei, tirò un sospiro e,
guardandola come se quello che stava per dire non lo avrebbe più
sentito, rispose:
- Il
bello è che io sto bene con te perché ti ritengo completa. Un
quadro come quello di Pollock potrebbe essere l'opera d'arte più
completa di tutte, perché non gode né di unità né di forma,
eppure chiunque potrebbe vedervi dentro tutto e niente: ed è questo
che la rende completa, la possibilità di contenere tutto ciò che
una persona che visita una galleria d'arte vuole vedere in quel
momento. Ecco, tu sei così per me: in quella vasta galleria che è
la vita vedo nel tuo essere tutto quello che voglio vedere, una
perfezione che non può essere rappresentata, ma solo avvertita. Ed è
per questo che io non posso vivere senza di te. Non mi bastano il
tempo e i sentimenti che mi hai dedicato, anche perché mi pare di
intravedere cose incompiute nella mia vita, belle e brutte. Se la
nostra deve essere un'esistenza di sofferenze, allora dobbiamo godere
insieme di questo dolore.
Maria
era sbalordita, ma, senza saper neanche lei come, volle invitare a
riflettere il giovane:
- Non
ti interessa conoscere una vita di piacere?- al che Fabio sorrise.
- Mia
cara, il “piacere” è un ospite tanto desiderato quanto temuto
nelle nostre esistenze, un qualcosa di cui si può fare a meno per
vivere, altrimenti né io né tu saremmo mai venuti al mondo.
- Non
eri obbligato a venire fuori!- disse ella seccata.
-
Già, ma neanche me lo hanno chiesto- controbatté il ragazzo sicuro
di sé.
Calò
il silenzio. Maria non aveva scoperto niente di nuovo di se stessa,
ma aveva visto certe cose sotto una luce diversa da quella cui era
abituata da quando non passava più del tempo insieme a Fabio;
questi, invece, capì che era giunto il momento di porre la domanda
fondamentale, tanto semplice, quanto pericolosa.
-
Potresti dirmi come mai mi hai lasciato?
Quella
splendida giovane socchiuse le palpebre, poi si asciugò gli occhi e
riconobbe di dover dire, a quel punto, tutta la verità. Era una cosa
che forse aveva sempre un po' evitato, ma, come lo stesso Fabio aveva
ricordato precedentemente, la vita era venuta a cercarla, e la vita
esige sempre delle risposte sincere.
- Ti
ho lasciato perché ti reputavo troppo perfetto, ma di una perfezione
che a tratti sembrava quasi ferirmi. Se io seminavo male, tu sembravi
raccoglierlo; lo facevi per amore, senza dubbio, ma questo incuteva
timore in me. Mi riusciva di aprirmi fino in fondo con te, di andare
oltre, di scoprire cose sul mio conto che l'anima sembrava volermi
tenere nascoste, e tu riuscivi a tirarle fuori, talvolta a capirle.
Il problema, Fabio, è che io queste cose non le voglio scoprire. So
quanto è importante guardare dentro noi stessi, ma a volte è bene
evitare, e condurre una vita di ignoranza che però ti impedisca di
scoprire quanto Male comprende il nostro essere, quanti dolorosi e
cattivi pensieri siano in agguato nella nostra mente. Un mondo visto
come lo vedi tu, come potrei vederlo anch'io, è chiaramente un mondo
che chiude le porte a tutta una serie di cose piacevoli: gioia,
amore, speranza vengono tutte spazzate via.
Fabio
avvertì, per la prima volta da quando era lì, lo spirito della
soddisfazione venirlo a trovare.
- Lo
so che è doloroso, perché in questo siamo identici: ma, credimi, è
meglio rendersi conto da soli di tutto questo che aspettare che la
vita te lo presenti in maniera violenta e del tutto inaspettata.
- E
questo è giusto, ma vedi, io temo di non avere questa missione nella
vita.
- In
che senso?
- Nel
senso che la ricerca di questo Male, così meschino ma così reale,
non è per forza il mio obbiettivo.
Era
un discorso semplice, ma Fabio non voleva capacitarsi di questa
disperata semplicità, riducendosi a pronunciare un laconico:
- Ma
neanche il mio!
- Sì,
lo so. E' solo che, accanto a te, tutto sembra indirizzato verso
questa ricerca così estrema e complessa, e proprio per questo non
sei tu l'uomo che mi farà raggiungere i miei obbiettivi, perché mi
sentirò sempre legata più a ciò che rappresenti che a te come
singolo individuo.
Il
ragazzo aveva un quadro chiaro, anche troppo chiaro.
-
Questo, insomma, è il tuo motivo?
-
Almeno una parte, quella che ho cercato di esporti meglio che ho
potuto.
Fabio
annuì con la testa ed emise un risolino irrequieto, di quelli che
albergano dentro la gente per chissà quanti anni e aspettano solo
rare occasioni per fare capolino, manco fossero folletti dei boschi.
- Oh,
ci sei riuscita, stai pure tranquilla!
Fabio
non aveva ancora realizzato gli ultimi istanti della sua vita, la
conversazione, Maria che era uscita dalla stanza coprendosi il volto,
senza neanche salutarlo. Sollevò lo sguardo e vide Martina immobile,
sull'uscio. Era triste, ma trovò la forza di sorridere all'amica.
- E'
sempre valida quell'offerta molto gentile di una sigaretta?
-
Sicuro! Tieni.- disse porgendogli il pacchetto -Hai risolto niente?
- Non
dovevo risolvere niente: mi basta la vita come enigma da risolvere.
Dovevo solo ottenere dei chiarimenti.
-
Capisco.
Adesso
sorridevano entrambi; si fissavano e buttavano fuori il fumo a
nuvolette. Fabio poi abbassò lentamente lo sguardo. Era tornato alla
realtà.
-
Sicuro di sentirti bene?
-
Quando mai mi hai visto stare bene?
- Hai
ragione anche te.- disse Martina schioccando le dita della mano
sinistra.
-
Volevo chiederti, Marti, di quegli atleti che corrono sempre e
ovunque. Chi sono quei ragazzi? Li alleni te?
La
ragazza sgranò gli occhi, si tolse gli occhiali e, mordicchiando una
stanghetta, rispose:
- Non
so di chi parli, Fabio. Non ricordo di aver visto dei ragazzi vestiti
da atleti a giro per il nostro casolare.
- Ma
dai! Ti dico che sono quattro ragazzi che hanno una tuta come la tua
e si spostano correndo. Prima li ho incrociati in corridoio!
- Sei
certo di non averli sognati?
-
Cazzo, Marti! Ti dico che li ho visti prima nel corridoio: saranno
veri, no?!- sbottò, agitandosi. Non sapeva se essere impaurito e
meravigliato, ma, dal momento in cui nulla più al mondo lo
meravigliava, gli rimaneva solo la paura.
- Sicuramente. Solo che non ricordo di aver visto dei giovani atleti
da che sono qui a lavorare.
Fabio attese che la sua amica scomparisse nell'oscurità del
corridoio per avanzare verso una finestrella: meravigliato, osservò
passare nuovamente quei quattro ragazzi, che nel correre si
incrociarono proprio con Martina, la quale stava passeggiando con la
consueta cicca in bocca e le mani in tasca; infine, gli apparve
davanti Maria, intenta a cogliere dei fiori. Un ultimo sguardo,
dopodiché il giovane si portò una sigaretta alle labbra e la
accese.
- Non si può fumare qui.- disse una voce femminile da adolescente.
Fabio si voltò e notò una giovane suora che lo fissava. Peccato
che sia una suora pensò.
-
Ah, mi scusi.- replicò il ragazzo, e, aperta la piccola finestra,
gettò fuori la sigaretta. La suora aveva occhi freddi e severi, le
lentiggini sotto gli occhi e le sopracciglia lunghe. Era un volto che
Fabio, a primo impatto, non sopportava, ma, osservandolo meglio,
arrivava a vette di ammirazione esasperante.
Non
voglio la carità da lei, anche perché ci ho sempre creduto poco. E
poi cosa ne saprà lei di anime grate, di gratitudine? La sto
osservando e non vedo in lei carità, gratitudine, piacere di dare e
amore verso Dio, al massimo avverto la bellezza, ma è una bellezza
sopita, tenuta a freno. Vedo il volto di una ragazzina cresciuta in
un paese piccolo, sorto intorno ad una squallida parrocchia, con una
famiglia in cui il padre era tutto contento di menare cinghiate sulla
figlia e poi correva a dire le preghiere la domenica. Vedo dei sogni
non realizzati e dei pesanti fardelli, segni di una ribellione
interna che non è mai sfociata in nulla di concreto. Vedo una
fantasia otturata dalla religione, da una religione marcia, imposta,
fasulla. E chissà, infine, quanti amori si sarà vista strappare dal
suo adorato Dio.
Pensò queste cose tutte insieme, osservando quella suora
meravigliosa. Poi se ne andarono, lei a pregare il suo Dio, lui a
fare in modo che anche in quel giorno, comunque andassero le cose,
riuscisse a celebrare la sua messa.
Seduto su una panchina, Fabio meditava su cos'altro poteva aspettarsi
da quel posto, da quel casolare attorno al quale tante vite
sembravano essere girate nel corso del tempo.
Oggi
non ho fatto un salto nel mondo dei ricordi, ma solo una passeggiata
nel regno dei morti. Peccato che non avevo con me abbastanza
spiccioli per il traghettatore. Non sono venuto neanche a riprendermi
ciò che è stato mio, specie perché non è nel mio stile fare cose
di questo tipo. Sai, speravo che tornando qui avrei risolto molti
problemi, anche con me stesso, e invece mi sono rivisto passare
davanti i paesaggi di una vita di errori, punizioni, malefatte e
tristezza. Di peggio non poteva accadere. So bene che sono ormai
ricordi, eventi passati, ma sono anche la dimostrazione che io vivo,
e che nulla sulla terra può esistere per annientare ciò che ho
fatto. Non so se ricorderò tutto anche di questo giorno, però
qualcosa in me resterà. Ed è giusto così. Perfino Maria mi è
apparsa come un'estranea in certi momenti. Una persona che mi ha
amato tanto in passato, oggi era davanti a me a tremare, quasi
fossimo due esseri che si odiano e si sbranano; so che non è così,
però vien da pensare che siam per forza figli dell'odio, se tanto
rabbrividiamo quando arriva l'amore. In ogni caso, io al casolare sto
bene, con o senza la donna che amo. E' un luogo che mi ha regalato
idee profonde sulle proporzioni e i colori della vita, senza voler
chiedermi nulla in cambio. In un mondo come quello di oggi sembra una
follia il fatto che si possa ottenere qualcosa generosamente, senza
dover rendere il favore. Non credo che esista altrove un posto del
genere, o meglio, non esiste per me. Questo è l'ultima scorza di
mondo,almeno del mio. Oltre non c'è nulla, se non una dimensione
mutata, scandalosa, dove la mia personalità verrebbe ribaltata,
distrutta e ricomposta a piacimento di altri. Tanti hanno avuto
ragione nel dirmi che era rischioso fondare un'intera vita
sull'illusione, ma a me quest'illusione ha regalato anche piacere,
non solo sofferenza. So che se un giorno mi sveglierò dal mio sogno,
mi ritroverò in una realtà che non mi sarei mai sognato.
Il flusso di pensieri fu bruscamente interrotto da Martina, che,
vedendo l'amico allontanarsi verso il bosco confinante col casolare,
gli chiese:
- Fabio, dove vai?
- Vado a farmi altri due passi nel regno delle tenebre.- rispose il
giovane con un tono di voce talmente euforico che a lei parve
preoccupante.
Era il tramonto e Dio non sembrava far scendere il sole con molta
fretta, preferendo osservare Fabio battere un sentiero che
costeggiava un bosco tanto oscuro quanto affascinante. Il ragazzo era
tornato a sentirsi la testa leggera e fece caso al suo strano modo di
aprire particolarmente verso sinistra il piede destro, nel movimento
della camminata. Fu un pensiero che lo tenne occupato per poco tempo,
giacché udì una voce farsi sempre più vicina e un odore di fuoco
acceso. Eliminò subito la possibilità di un incendio, ma decise di
dirigersi verso una radura da cui provenivano la luce e i rumori.
Intorno
ad un falò vide quei quattro giovani atleti, che al contrario del
solito, sembravano essersi dimenticati di correre; egli si mise
dietro un cespuglio, ascoltando gli ultimi canti che gli uccelli
avrebbero modulato quel giorno, e osservò quei ragazzi. Si accorse
di quanto fossero belli, sia nel fisico slanciato che nei nobili
lineamenti del volto; la luce del fuoco, fra l'altro, sembrava solo
amplificare quella loro bellezza irreale. Uno di essi leggeva da un
libro, gli altri ascoltavano. Fabio fu scosso solo dall'ultima frase
pronunciata dal giovane; questa fu l'ultima cosa che sentì: “Per
proteggersi, disperse la congiura, confondendo le lingue e le menti,
tanto che se due uomini s'incontravano non potevano più
comprendersi, pur parlando la stessa lingua”.