mercoledì 1 agosto 2018

"Ma chi è Neil Young?" [Extra]

Se non si ha cervello, non si pensa. Se non si ha il pisello, non si tromba. Chi nasce cretino, difficilmente muore genio.
Pausa.
Tiro un lungo respiro a cui però fa eco un colpo di tosse.
Prendo per buona questa serie di assunti, la faccio mia e medito su un'esternazione che giorni addietro mi è stata consegnata di seconda mano- dunque, ci tengo a sottolinearlo, non sono stato testimone diretto di uno dei quesiti killer del 2018 -e su cui sto tornando con una certa insistenza. Anzi, forse più che di "esternazione" sarebbe il caso di parlare di una vera e propria domanda, una di quelle che sai per certo che qualcuno al mondo elabora e pronuncia e tu puoi solo sperare di non trovarti, nello stesso momento, in quello stesso angolo di universo.
Nulla di troppo banale o indispensabile, per carità, eppure mi ha colpito molto sapere che gente di mezza età, presumibilmente istruita e con all'attivo una solida (o spacciata per tale) posizione professionale , si ritrovi a chiedersi, in tempi di informazioni che viaggiano alla velocità della luce, di gente coltissima e preparatissima grazie alle magie della rete, di un'umanità maggiormente consapevole rispetto al passato, di Wikipedia, di Spotify e di YouTube, <<Ma chi è Neil Young?>>. 
Sicuramente le stesse accuse potrebbero venire mosse a me circoscritte, fra l'altro, ad ambiti molto più seri e rispettabili, ma questo è il mio spazio, il mio blog e si dà il caso che il mio blog sia un porto di mare felice dove certi personaggi vengono presi (purtroppo, solo metaforicamente) a pesci in faccia. Lo so io, lo sanno i lettori e gli amici che visualizzano e leggono. E no, sul mio blog non trovano spazio né il rispetto né la comprensione verso chi ci tiene a risultare informatissimo sui fenomeni musicali più trendy del mese e sempre ben attento a mostrarsi (possibilmente fotografandosi) laddove ci sia il concerto più glamour, l'evento culturale più in. Non occorre prendere un aereo, starci otto ore, scendere e prendere un taxi fino a Manhattan per assistere a certi abomini: ormai non serve più neanche uscire di casa. Basta avere un computer ed essere registrati su un social network per capire quale e quanto pensata sarà la prossima mossa dell'uomo in.
Attenzione, però: il concetto di in in queste cose è oramai molto vacuo. Il selfie scattato sotto il palco della Pausini, ad esempio, non è in, ma un miscuglio di mainstream sposato al basso gusto nazional-popolare. Al contrario, è in mostrarsi strenui difensori dello sdoganamento indie delle ultime edizioni di X-Factor, è in rincorrere i consigli di voto dei membri de Lo Stato Sociale, è in mostrarsi sensibili e commossi di fronte al pianismo post-new age di Ludovico Einaudi e sposarne la sterile filosofia (Guccini, già nel 2000, diceva che da noi le religioni orientali "nascondono solo vuoti di pensiero", e aveva ragione, mi pare ovvio). Questa gente ha preso il posto di chi, negli anni Novanta, si appassionava ogni settimana alla musica di un nuovo stato del terzo mondo (e gli premeva talmente tanto farlo sapere agli altri suoi simili che, alla fine, certi bei dischi neanche se li sentiva) e ne ha preso il posto perché buona parte di quel pubblico o è morta, o è diventata sorda o sta facendo la fila coi figli a un concerto di quel Jovanotti che, prima della sbornia eco-chic e delle canzoni regalate a Walter Veltroni, neanche le stava troppo simpatico.
Sto perdendo il filo del discorso, perciò ripenso a quel <<Ma chi è Neil Young?>>. 
Mi tornano in mente un paio di situazioni in cui mi furono poste delle domande simili ed entrambe vedevano come protagonista la stessa persona, un ragazzo poco più grande di me e che, alla maturità, aveva rasentato il massimo del punteggio, insomma un primo della classe. Non che io sia uno ambizioso che va a caccia di voti, ma davvero certe cose dimostrano quanto la logica (e un po' anche la giustizia) spesso abbandoni la società in cui viviamo. Nel giro di poco tempo, riuscì a domandarmi chi fosse Che Guevara (gli risposi, serissimo, che era un famoso stilista cubano e che il suo prodotto più noto erano quelle magliette rosse col faccione bianconero e lui annuì, segno che le aveva presenti) e chi fosse John Lennon (che non è il mio beatle preferito, va bene, ma, cazzo, i nomi dei Beatles andrebbero saputi, anche solo per arrivare all'età adulta e affrontare un monologo di mezz'ora in cui spieghi che George da solista si rivelò superiore a Paul e John messi insieme, ecc.). Sono passati anni e questo tizio oggi, per me, è poco più di una presenza eterea che quattro, cinque giorni su trecentosessantacinque mi capita di incrociare lungo il cammino. Quasi sicuramente, anche lui non sa chi sia Neil Young, ma non è questo il punto.
No.
Il punto è: come mai sussiste quasi sempre una certa consequenzialità fra non capire una sega di musica e non capire una sega in generale?
Resto in attesa di risposte, possibilmente costruttive. Nel frattempo, alzo il volume fino a non sentire più il brusio del ventilatore e mi sento una persona piena di difetti ma sempre disposta a dare più amore di quanto ne riceverebbe e pure molto fortunata. E poi almeno io chi è Neil Young lo so.

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