sabato 4 agosto 2018

È casa ogni luogo laddove il cuore si acquieta [Extra]

Sono il primo a cui risulta difficile riuscire a intavolare un discorso sulla spiritualità in maniera laica e libera da ogni imbarazzo. Del resto, noi libertari e libertini (ma non liberali) nati a fine XX secolo e cresciuti agli albori del nuovo millennio ci affatichiamo sempre così tanto a prendere le distanze da tutto ciò che possa essere collegato alle nostre radici cattoliche che rischiamo, talvolta, di scadere in un materialismo arido e ottuso. Eppure, alcune sere fa, mi trovavo a casa da solo, il parentado era al mare e io avevo appena concluso la mia arrangiata e frugale cena del dopolavoro a base di acciughe, pane tostato e salsa verde. Una navigata veloce su Facebook- dove finisco sempre col guardare i soliti due profili, costatando che la mia bacheca integra, fondamentalmente, disagio e cultura -e uno zapping televisivo più inconcludente di un congresso di Liberi e Uguali mi hanno condotto fino ai limiti dei palinsesti nostrali. Dapprima, è toccato a Rai Storia, dove risulta ormai di gran moda prendere a calci i morti (ma allora, a quel punto, tanto varrebbe ripiegare su una puntata di The Walking Dead, no?). Approdato poi su Rete 4, ho spento tutto, provando però grande solidarietà verso tutti quei tecnici che settimanalmente devono reperire frotte di casalinghe che, con inequivocabile accento bergamasco, ripetono, di fronte alla telecamera, <<E' uno schifo!>>. Mi sono scaraventato in macchina, l'ho trovata ancora rovente per tutto il calore assorbito durante la giornata e ho attraversato quello che sembrava poco più di un paese fantasma. Ho visto alcune nuvole diradarsi e il cielo riempirsi di stelle, e poi ancora brutte automobili con brutte targhe appartenenti a brutte persone, brutte cose, brutte case, brutti abusi edilizi mancati e brutti negozi chiusi. Era davvero il Grande Spirito che si stava prendendo gioco di me, di noi con quel frizzante cielo stellato in netto contrasto con tutta la tristezza e la serietà della vita?
Ero talmente tanto sopraffatto da quello stato a cui concedi di penetrarti l'anima solo perché arreca conforto sperare che questa sofferenza costruirà il tuo futuro da non fare nemmeno più caso a cosa stesse passando, in quell'istante, lo stereo di Ginetta (la mia C3). Realizzato che si trattava delle battute finali e sfumate di Simple Man, ho alzato il volume lasciando spazio a That's the Way degli Zeppelin. Evidentemente, avevo lasciato ripartire l'iPod da dove era rimasto bloccato l'ultima volta (ossia sulla colonna sonora di Almost Famous). Ho lasciato Plant cantare sugli arcinoti tappeti di mandolini e dodici corde del III anche mentre sono sceso a fare rifornimento, ed è stato subito dopo aver rimesso in moto Ginetta che tutto ha coinciso, si è alimentato, confuso ed esaltato sulle note di Tiny Dancer. Mi è tornata in mente una cosa che avevo scritto in un biglietto di accompagnamento a una delle compilation che sono solito preparare per gli amici e le amiche più stretti alle porte delle festività natalizie: "certe canzoni sono una chiave antica, fuori dal tempo, aprono al volo e pure all'abisso, spalancano mondi splendidi ma pure illusori, con sopra un cielo e magari anche sotto, chissà". Ho ripensato a questo passaggio perché ho provato a immaginarmi il confronto con una Divinità più astratta e meno sarcastica di quella che, proprio stasera, aveva deciso di mettermi davanti a una limpida volta celeste in contrasto con le piccole tragedie quotidiane. Fino a un attimo prima, "con sopra un cielo e magari anche sotto, chissà" erano solo parole scritte più di sei mesi fa correndo sul filo della fantasia e dell'ispirazione, ma ora non più. "Il rock&roll, la musica dell'anima, il metallo, possiamo chiamarli con molti nomi, restano tanti innumerevoli ponti da gettare dentro di noi, adulti, adolescenti, bambini", proseguivo in quello stesso biglietto, mandato a un'amica che probabilmente avrà ascoltato non più di una, due volte il cd delle feste. Anche in quel cd avevo messo Tiny Dancer e mai avrei pensato che una sera di fine luglio la avrei ascoltata come stavo facendo adesso, ricollegandola sia all'uso (straordinario) che ne ha fatto Cameron Crowe nel suo film più bello sia alla mia esperienza privata. 
Parafrasando Nick Hornby (e non l'Hornby romanziere di Alta fedeltà, ma l'altro, quello improvvisatosi saggista nel meno conosciuto 31 canzoni), "sarò pure un depresso in preda al dramma esistenziale, o magari un idiota contento", eppure- cosa più importante -Tiny Dancer "dice esattamente come mi sento e chi sono, e questa in fin dei conti è una delle consolazioni dell'arte". Perchè tutti noi, reduci da una giornata pesante, meriteremmo una Penny Lane, una piccola ballerina in blue jeans che ci sieda accanto e ci aiuti a contare le luci sull'autostrada della vita, tenendo la testa reclinata sulla nostra spalla con un calore e un affetto che neanche pensavamo più di ritrovare su questa fredda terra, e che ci tranquillizzi facendoci sentire a casa. E quella casa, alla fine, è ovunque il nostro cuore possa sentirsi davvero felice, appagato e in pace. 

Nessun commento:

Posta un commento