lunedì 6 novembre 2017

Bob Dylan, "The Bootleg Series vol. 13: Trouble No More 1979-1981" [Suggestioni uditive]

Bob Dylan,
The Bootleg Series Vol. 13: Trouble No More 1979-1981
(Columbia Records, 8 Cd+ DVD)



















Non sono un patito della cosiddetta musica spiritual. In generale, non do troppo importanza al lato spirituale dell'esistenza, e quando lo faccio me ne guardo bene dal partire da una prospettiva cristiana o- peggio mi sento -cattolica. Per dare un'idea, l'altro giorno ho parcheggiato la macchina nell'area esterna della Coop del mio paese, e nello scendere mi è caduto l'occhio sull'abitacolo della Ford Escort blu parcheggiata di fianco alla mia: un rosario appeso allo specchietto retrovisore e un'effige di Padre Pio saldamente incollata al cruscotto. Sono sceso, ho chiuso e ho tirato una bestemmia. 
Mentre la letteratura musicale (e non solo) era ricolma di studi, citazioni, approfondimenti e descrizioni della "voce di una generazione", della svolta elettrica, dell'incidente in moto, della cantina a casa della Band, delle incursioni altalenanti nella giurisdizione del country, di Blood on the Tracks, di Desire, della conseguente Rolling Thunder Revue, io facevo una gran fatica a capire cosa fosse successo dopo il 1976. La mia (allora) esigua discografia dylaniana subiva una brusca interruzione con l'esaltante Hard Rain e riprendeva dall'impagabile Infidels, datato 1983. Poi un giorno mi capitò fra le mani un'intervista di terza o quarta mano a Bono Vox degli U2: doveva essere roba risalente alla fine degli anni Ottanta, se non addirittura successiva. Parlava dell'America, parlava del blues, di Dio e di Bob Dylan. A proposito di quest'ultimo, riusciva nell'intento di spiazzare l'intervistatore citando, fra le proprie maggiori influenze, non tanto The Freewheelin', Highway 61 o Blonde on Blonde, bensì un certo Shot of Love, che definiva bellissimo (più avanti, nello stesso articolo, descriveva anche Brownsville Girl, canzone del 1986, come una delle vette di tutta la produzione di Dylan). Quando Bono parla di fame nel mondo, va lasciato perdere, ma quando dice che un certo disco è molto bello, bisogna credergli. Non trovandolo nelle vicinanze, me lo feci scaricare e masterizzare da Checca, ma non rimasi molto colpito: era un disco gospel con sonorità soul e pop, non aveva la credibilità di Desire è l'incredibile omogeneità tematico-musicale di Infidels. In seguito capii che razza di occasione sprecata fosse stata Shot of Love: scarti come Angelina, Caribbean Wind e Need a Woman testimoniavano che Dylan e i suoi produttori dell'epoca avevano sbagliato molte cose. Per molti potrà già essere iscrivibile nel "rock di plastica anni Ottanta", ma non per il sottoscritto. Property of Jesus, The Groom's Still Waiting at the Altar, Lenny Bruce simboleggiano un gospel rock tosto e risoluto, musica e testi permeati da un gran gusto e da una bella grinta. Heart of Mine e In the Summertime presentano dinamiche eleganti e assoli chitarra-armonica davvero strabilianti. Non bastò, all'epoca, l'ottimo lavoro di Cuck Plotkin come co-produttore per proiettare l'album oltre la trentatreesima posizione della classifica Billboard, ma poco importa.
Non tutto è da buttare della "trilogia Cristiana", ma nemmeno può essere tutto rivalutabile. Senza dubbio Slow Train Coming è scritto e suonato da gente che sa il fatto proprio. Un disco apocalittico, di gospel come si fatica a ritrovarne, un disco che- al netto delle criticità religiose che un ascoltatore può decidere o meno di muovere -ha conservato intatta la credibilità del messaggio di un Bob Dylan cristiano rinato. Niente musichetta da chiesa, niente giri rompipalle, niente preghierina annacquata da mandare a Pomeriggio Cinque. Fare un disco così dopo aver provato, inventato e influenzato tutto poteva sembrare un passo indietro nel 1979, ma non lo era. Gotta Serve Somebody è indimenticabile, Precious Angel contiene una delle più belle parti di chitarra mai incise da Mark Knopfler (che, guarda caso, tornerà a lavorare con Dylan proprio suonando e producendo Infidels, il capolavoro del decennio), God Gave Names to all the Animals è un reggae alla "porcamadò" in tutto e per tutto simile agli arrangiamenti proposti At Budokan, durante l'ultimo tour laico.
Saved è il più integralista della triade: quando uscì, nel giugno del 1980, tutti rimasero sconvolti dalla interminabile trafila di seghe mentali e dogmi cristiani contenuta in ogni suo singolo verso. Gospel rock dalle velleità moderniste, vecchi standard di chiesa rifatti maluccio, fallimento commerciale clamoroso ovunque (fece eccezione l'Inghilterra, dove conquistò senza difficoltà la terza posizione), ostico e faticoso come pochi altri album di Dylan, Saved conserva un paio di bei momenti (Pressing On e In the Garden), ma è davvero tutto troppo prigioniero di un'ossessione religiosa nociva: produzione Muscle Shoals non ai suoi massimi storici, musicisti sommersi da una voce indemoniata ma assai poco convincente. Quando lo comprai per soli sei euro in un negozio di Siena, non conoscevo ancora Knocked Out Loaded e Down in the Groove, quindi per me divenne istantaneamente il disco più brutto dello zio Bob. Tentai un paio di ascolti, ma la mia anima atea e irrimediabilmente perduta soffriva; una sensazione indefinita mi ottenebrava, sposandosi a fastidio e insoddisfazione.
E' molto strano che i concerti di questo periodo (1979-1981) siano stati talmente tanto bisfrattati da non essere citati nemmeno in buona parte dei numerosi saggi dedicati a Dylan nel corso degli ultimi trent'anni. E' ancora più strano ascoltarli oggi, privati della loro veste di prediche incessanti, e realizzare quanto siano inesorabilmente fondamentali per i fans e parimenti splendidi per chiunque: un po' quello che successe nel lontano 2005, quando venne pubblicata, come quinto volume della BS, la selezione della Rolling Thunder Revue. So che Dylan e la Columbia ci hanno abituati al meglio, ma questo box di otto cd e un DVD è stato assemblato in maniera davvero superlativa. L'apparato fotografico è il migliore che si sia mai visto su questa collana, perfino superiore a quello di Another Sel Portrait. I primi due cd ospitano brandelli di serate americane ed europee, canzoni che sondano le sfumature di quel gospel-rock che la band di accompagnamento (composta dalla formidabile combo Muscle Shoals Band/Queens of Rhythm) padroneggia impeccabilmente. Trenta pezzi, fra cui tre mai uditi prima d'ora (Ain't Gonna Go to Hell for Anybody, Ain't No Man Righteous, No Not One e Blessed is the Name) e molti altri che, grazie alla veste live, acquistano una forza e una bellezza insospettabili. Singolari e intriganti risultano le alternate takes e le prove confluite nel terzo disco, outtakes talvolta segnate dalla chitarra di Knopfler, materiale in minima parte già affiorato nel terzo volume della serie (si parla, comunque, del 1993) e ben sei canzoni inedite (almeno su vie ufficiali). Thief on the Cross e City of Gold, rispettivamente destinate a Shof of Love e Saved, sono con ogni probabilità due delle dieci migliori canzoni che Dylan ha scritto come cristiano rinato. Superfluo chiedersi come mai non fossero state incluse negli album già allora. Di altrettanto spessore sono le ulteriori inedite incluse nel quarto disco: Making a Liar Out of Me è la classica, riuscita ballata dylaniana anni '80, una sorta di apripista per le molte altre che avrebbe composto basandosi sul medesimo schema. L'intreccio organo-chitarra è sublime, Jim Keltner (possiamo sentirlo nel novanta percento della raccolta) è uno dei più grandi batteristi mai venuti al mondo. Yonder Comes Sin è un gospel più ritmato, costruito sul tema di Jumpin' Jack Flash. Lo shaker che entra in gioco dal secondo minuto in poi è piuttosto inusuale e carica ulteriormente il brano. A chi lo voleva morto o prossimo al farsi prete e ritirarsi dalle scene, il Bob Dylan dell'autunno 1980 aveva da dire un mondo di cose. Con Cover Down, Pray Through (inedita presentata dal vivo a Buffalo il 1 maggio 1980) si torna ad una dimensione più negroide, la stessa che permea- fino all'abuso -tutto Saved. Nelle puntualissime note interne, si citano Curtis Mayfield e gli Impressions fra i principali ispiratori della canzone. Rise Again, standard della musica cristiana che era confluito perfino in un album di Elvis, è un momento intimo e dolce in cui Dylan abbraccia la chitarra acustica e duetta con Clydie King, un capolavoro di tre minuti di cui riparleremo ancora fra molti decenni. La Ain't Gonna Go to Hell for Anybody registrata il 2 dicembre 1980 a Salem è perfino migliore di quella ospitata sul secondo cd, mentre la alternate di Caribbean Wind con Ben Keith alla pedal steel è... beh, è Caribbean Wind con Ben Keith alla pedal steel: non occorre aggiungere altro. Come spesso capita con Dylan, i suoi scarti finiscono sempre, ironicamente, per offrire all'appassionato o al semplice ascoltatore nuovi motivi per amarlo. Come già si poteva evincere dal suo ascolto su TBS Vol. 3You Changed my Life, al di là del messaggio permeato di fanatismo gesuita, non avrebbe sfigurato sul disco cui era destinata (Shot of Love): il cantato di Dylan del 1981 comincia a virare verso il pop, si percepisce la volontà di tornare a scalare le classifiche di vendita, senza, ovviamente, dimenticarsi di Dio. Più in generale, non esiste versione alternativa dei pezzi di Shot of Love a non suonare migliore di quelle definitive mixate da Plotkin e finite sul cd tanto amato da Bono Vox. Per quanto la sbornia religiosa fosse agli sgoccioli, la ricchezza e il fascino Dead Man, Dead Man (registrata a Los Angeles il 24 aprile 1981) fa accrescere non di poco la stima che si può avere di un autore come Dylan. Quando da un cassetto escono canzoni del genere, non si può rimanere indifferenti. Il quarto cd di rarità si conclude con la prima versione di Every Grain of Sand, che più che una canzone è una sorta di opera maxima, il brano che- a detta dello stesso Dylan nella celeberrima intervista rilasciata a Cameron Crowe -descrive in maniera più profonda e viscerale il proprio artefice. Per molti, è la più bella canzone degli anni Ottanta e, vi dirò, per un attimo, verso i 4'27'', me ne sono quasi convinto. Poi, per carità, mi sono tirato uno schiaffo e ho detto <<Va' là, che c'è sempre Welcome to the Jungle!>>, però sono anche momenti come questo che ci fanno sentire vivi.
Non nascondo che dopo tanta bellezza, si torna un po' malvolentieri sulla terra. Il concerto di supporto a Slow Train Coming e Saved (cd 5 e 6) registrato alla Massey Hall di Toronto (e chi dimentica quale capolavoro della musica del Novecento è stato inciso là dentro è complice!) non offre nulla di più rispetto a quanto udito nei quattro dischetti precedenti, mentre la serata londinese del 27 giugno 1981 (cd 7 e 8) è, semplicemente, una delle più belle testimonianze live della carriera di Dylan. TBS Vol. 13 sarebbe potuto uscire tranquillamente sotto forma di doppio cd con queste canzoni e basta per poter risultare il capolavoro che è. Mentre il concerto canadese è un riuscito predicozzo da cristiano rinato, a Londra Dylan porta in scena, con la band, sia il repertorio gospel (e, mamma mia, cosa non sono i pezzi di Shot of Love anche qui!) che i grandi classici: una Like a Rolling Stone che, coi suoi cori marcati, anticipa di un ventennio la cover degli Articolo 31 ma recupera, nel ritmo, la versione di Before the Flood (1974), Maggie's Farm al vetriolo, una incredibile I Believe You (direttamente da quello che, nel 1981, era un disco comodamente dimenticato, ossia Another Side of Bob Dylan), Girl from the North Country rivistata in perfetto stile Dire Straits (mancherebbe solo Knopfler a rinforzare la sezione "sei corde"), Ballad of a Thin Man macchiata del soul di Muscle Shoals, Mr. Tambourine Man suona finalmente come avrebbe dovuto fare qualche anno prima (mi riferisco all'improponibile versione finita in At Budokan), e se Just Like a Woman non è stratosferica come decine di altre volte, Forever Young ha una forza che- almeno dopo il 1981 -non le ho più sentito addosso. E se Blowin' in the Wind finisce spesso con essere la canzone di Dylan che i dylaniani odiano maggiormente, viene da dire <<Beh... non questa volta!>>: correte alla dodicesima traccia del cd 8 e capirete perchè. It's all Over Now commuove, Knockin' on Heaven's Door è un ibrido fra l'arrangiamento reggae del Budokan e l'incidere più solenne dei primi anni '80. Fino ai 3'20'' è anche noiosetta, ma poi entra in gioco l'armonica e tutto assume la giusta forma.
Uno pensa che sia finita qui, e invece no. Perchè prima c'è il DVD di Trouble No More, film diretto e interpretato da Michael Shannon (nei panni del predicatore) e presentato proprio qualche sera fa a Roma. Il sermone, in realtà, si alterna alle riprese di un concerto che, a sua volta, raggiunge vette così struggenti da sistemare l'anima per anni interi. La maestosità degli arrangiamenti, lo spaventoso fascino di un messaggio tanto reazionario quanto totalizzante, il gospel continuo e ininterrotto sono tutti gli ingredienti che fanno di questo tredicesimo volume l'ennesimo vertice della carriera di Dylan. Il più grande di tutti: fatevene una ragione.






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