sabato 22 luglio 2017

Il mio, il suo, il nostro appetito di distruzione [Extra]

UN APPETITO DI DISTRUZIONE.

''Quando ero piccolo, la sera me ne stavo sul letto, ascoltando mio padre che continuava ad ubriacarsi mentre urlava contro a mia madre. 
Louis Jordan, T-Bone Walker, Big Joe Turner, queste persone mi hanno salvato la vita. Adesso parlo con altri ragazzi e per loro c'è Elvis, c'è Little Richard, c'è Bill Haley.
Ogni generazione è piena di ragazzi sperduti che hanno bisogno di sentirsi dire che non sono soli.''
                                 Richie Finestra (Bobby Cannavale), Vinyl, stagione 1, episodio 10

Mi corico che ormai è scesa la sera. Sono in quell'età strana in cui non si è nè carne nè pesce, i muri della mia camera sono  intonsi. Neanche mezzo poster di una moto da cross, sicuramente lo sguardo vigile di Tex Willer veglia da qualche parte, eroi dei videogiochi, due mazzi di Magic e nessuna squadra di pallone. Non posso immaginare che tra non molto quei muri non saranno sufficienti a ospitare tutti i poster di gruppi rock che avrò modo di ascoltare.
Domani a scuola chissà se il Paz interroga. Non ho studiato tanto e un po' questo ginnasio mi preoccupa. Ripenso alla terza declinazione greca, prima che la mente si liberi e voli via. Chissà come sarà andato il compito in classe, chissà quando avrò finito di mettere da parte i soldi per un nuovo compact degli Iron, chissà se e quando diventerò davvero amico di alcuni compagni di classe. Poi arriva un ''chissà'' che non conosco, quello che mi fa stare con gli occhi aperti, quello di cui mi sfuggono i reconditi significati. Anche solo quattro, cinque anni dopo lo avrei definito un blues, ma intanto io del blues non so niente e i miei ''chissà'' rimangono lì. Non riesco a comprendere che, probabilmente, è il ''chissà'' di come sarà la mia vita quello su cui sto fantasticando; certo, intuisco già il senso del blues, ma ancora non lo capisco.
Sono già passati alcuni mesi dal mio ingresso al Liceo e fra pochi giorni partiamo per la gita. Due giorni a Torino, città da poco insignita dell'onere di ospitare le prossime Olimpiadi invernali e dunque venuta di gran moda. Il programma prevede visite al Museo Egizio e alla Mole Antonelliana, una puntata al Lingotto e una girata alla biblioteca comunale, dietro una delle cui teche è custodito l'autoritratto di Leonardo. Ci accompagna il Paz, persona che sto vedendo quasi più spesso dei miei genitori (diciotto ore alla settimana) e che un po' somiglia ad un secondo babbo. Entrambe le quarte ginnasio della sezione classica del Liceo ''A. Volta'' partecipano alla gita, ma sono classi diverse: composta e obbediente la B, anarchica e spontanea la A. Io, ovviamente, sono nella A. Le circolari in cui la scuola si esonera da ogni responsabilità sono state firmate, la quota dell'autobus e del pernottamento è stata versata e il giorno della partenza è vicino. Per l'occasione, mi regalano uno zainetto blu Invicta, tanto pratico quanto anonimo (lo personalizzerò nell'arco dei due anni successivi), ma non importa: mi basta che possa contenere il mio lettore cd portatile Panasonic nuovo di zecca (continuo a chiedermi perchè, quando sono andato a comprarlo in negozio a Firenze, abbiano voluto regalarmi a tutti i costi una miniatura della nuova Ducati Monster), l'acqua e qualche schifezza da mangiare. Non fumo, non bevo e non mi drogo. Almeno, non ancora.
Una sera di metà marzo sto facendo zapping. La fase Tele+ a scrocco è già superata; nessun buon film su ''mamma Rai'' (e il digitale terrestre è ancora soltanto un sogno); le reti filogovernative del governo più filotelevisivo della storia della Repubblica vengono saltate a pie' pari. Mi soffermo su MTV, dove nessuno pronuncia la parola ''Iron Maiden'' nell'arco di sei minuti: provo pena per l'intero network e cambio di nuovo canale, approdando all'esotico e libero continente delle reti commerciali. Mi soffermo sul diciottesimo canale, Europa 7, dove Charles Bronson sta sparando a dei tipacci in una piazza di qualche paesello mediterraneo. Le revolverate vengono interrotte soltanto dalla pubblicità, ed è allora che succede.
Succede che nel salotto di casa mia irrompe una voce stridula, incazzata, rabbiosa, indimentciabile, apocalittica. Non una voce rassicurante, come quella del cantante dei Nickleback, nè pulita come quella di Bruce Dickinson, così perfetta nella dizione da professorone di Sua Maestà. Un tizio con una bandana e dei capelli rossi- a sequenze lisci, a sequenze cotonati -salta su un palco a colori e danza in una stanza in bianco e nero. Ho da poco imparato la differenza fra una chitarra e una Gibson Les Paul e quel tale con il cilindro in testa e una cofana di riccioli neri sta, giusto appunto, suonando una Les Paul. Un batterista biondo platino e un bassista che sembra suo fratello vengono ripresi da più angolazioni. Un altro chitarrista, con una strana sei corde bianche e una postura che ricorda Keith Richards, ondeggia qua e là. Il cantante nuota con dei delfini mentre il montaggio sonoro passa due, tre, quattro canzoni di fila e quella stessa voce cambia sensibilmente e si interrompe. Il ricciolone esce da una chiesetta con i Ray-Ban infilati nella zip del suo chiodo di pelle nera e il suo cappello vola via. Impugna la chitarra e suona un assolo che mi sconvolge. Cerco brevemente mia madre per dirle che, se mai un giorno mi sposerò, sarà in quella chiesa nel deserto. Il volume si abbassa e lascia spazio ad una voce che somiglia a quella fuoricampo dei documentari di Quark e che- mentre sullo schermo si staglia un quadrato argentato con al centro due pistole incrociate e delle rose -bofonchia qualcosa del tipo <<I Guns N'Roses... la leggenda raccolta in un unico cd... Guns N'Roses, Greatest Hits... in tutti i negozi a partire dal 24 marzo>>. 
Tutto questo dura una quarantina di secondi. Pareti, divano, televisore e salotto spariscono. Rimango solo col nuovo scopo della mia vita: cercare e comprare tutto ciò che la band che ho appena visto in quello spot ha prodotto.
Il pomeriggio del giorno prima della partenza per Torino, accompagno i miei a fare la spesa. Insisto perchè parte dei loro risparmi vengano devoluti alla Ferrero, poi mi rompo e decido di andare a fare un giro per conto mio. Uscendo dall'ingresso principale della Coop, attraverso la strada e in tre minuti sono al negozio di dischi, a spulciare la fila dei compact corrispondente la lettera ''G''. Non guardo neanche quanti dischi dei Guns N'Roses trovano spazio negli scaffali: per me, possono averne pubblicati anche una quarantina; tanto conto di passare il resto dell'esistenza a comparli. Una copertina nera con una croce e cinque teschi simpatici e molto particolari disposti alle estremità e al centro della croce stessa è la prima cosa che vedo. Dieci eurini e Appetite for Destruction è mio per sempre.
Arrivo a casa che è già ora di cena, dopodichè scarto l'ultimo acquisto, sfoglio il libretto e rigiro fra le mani il cd più e più volte. Ho una sorellina di sei mesi e già alle nove e mezza non potrei mandare lo stereo al volume desiderabile. Tutta la musica va ascoltata alta, ma la musica nuova va ascoltata altissima. Poco male. Domattina presto parto per Torino: lo sentirò in viaggio.

Sono le sei e mezza ed è ancora buio. Un sontuoso autobus da turismo Mercedes sosta nel piazzale di fronte alla scuola. Dei quarantadue allievi delle due quarte ginnasio partecipano alla gita in quaranta. Ci accompagnano tre professori. Abbiamo tutti zainetti più piccoli e pratici di quelli che siamo soliti portare durante l'anno. Alle solite raccomandazioni (inutili) dei genitori fanno eco le solite rassicurazioni (altrettanto inutili, ma doverose) degli insegnanti. C'è chi, a dispetto dell'ora, è già vestito di tutto punto, in particolare fra le ragazze. La nostra compagna Chiara ha addirittura cambiato acconciatura e per l'occasione sfoggia una frangetta inedita e un capello doviziosamente piastrato. La professoressa tutor della sezione B- una sezione composta da diciannove femmine e due maschietti -arriva con leggero ritardo, anticipata dal proverbiale rumore dei suoi tacchi. Lei e il nostro anziano docente di matematica, consumato velista che ama definirsi prossimo alla pensione, si concedono il piacere di una Rothmans slim, mentre il Paz, uomo dai gusti semplici e lontano dai vizi, fa l'appello per entrambe le classi. Lasciamo la scuola che non sono ancora scoccate le sette, mentre i genitori salutano, si sbracciano e quasi rincorrono l'autobus.
Io e Marco ci mettiamo accanto: una regola che osserveremo in ogni gita, scolastica e non. Chiacchieriamo a voce non troppo alta per una quarantina di minuti e più o meno a Firenze Certosa ci zittiamo. Lui sonnecchia, io guardo la coltre di nebbia lasciare spazio al sole mentre l'autobus si immette sull'A1. Tiro fuori dallo zainetto il lettore cd portatile, le cuffiette e la cd bag Tucano Urbano riempita solo in minima parte. Infilo Appetite for Destruction e lascio che il riff con cui si apre Welcome to the Jungle mi sconvolga per sempre la vita.

Nati nel 1985 dall'incrocio fra gli Hollywood Rose e gli L.A. Guns, due complessi piuttosto noti nel panorama underground losangelino, i Guns N'Roses della prima ora sembrano essere stati prelevati da una camionetta della nettezza urbana che, senza neanche ripulirli, li ha portati di filato in sala di registrazione a incidere uno dei più grandi capolavori della musica rock. La voce meravigliosa di Axl Rose si sposa magnificamente sia con la maestria chitarristica di Slash, sia con una sezione ritmica potente e pulsante come un treno notturno (un Nightrain, per l'appunto); le melodie di Izzy Stradlin si rifanno alla grande lezione del punk e ai Rolling Stones di Sticky Fingers. Un disco che è la messa in scena della Los Angeles periferica degli anni '80, delle sue contraddizioni e dei suoi eroi emarginati, di un'America a metà strada del secondo mandato di Reagan, piena di dubbi ed eccessi. La vita dei bassifondi di Welcome to the Jungle, le prostitute di It's So Easy, i festini estremi di Nightrain, l'esperienza carceraria e il rifiuto dell'istituzione di Out Ta Get Me, le cronache eroinomani di Mr. Brownstone, l'epica preghiera sospesa fra sacro e profano, fra santi e peccatori, fra Capitan America e un hobo qualsiasi, di Paradise City, l'esilio dalla normalità apparente di un'intera famiglia in My Michelle, le pulsazioni di un amore giovane, masturbatorio e spensierato di Think About You, la poesia dedicata ad un angelo venuto da un altro mondo di Sweet Child O'Mine, lo scherzetto dal vago sentore sadomaso di Anything Goes, la follia rassicurante di You're Crazy e l'inattesa, disperata implorazione con cui si conclude quell'estremo atto di libidine che è Rocket Queen:
''Non lasciarmi mai/dì che sarai sempre lì/ tutto ciò che ho sempre voluto/ era per te/ per farti sapere che io ci tengo".



[tratto da Gli anni selvaggi, libro che pubblicherò prima dei miei trent'anni.]

Nessun commento:

Posta un commento