sabato 19 novembre 2016

Metallica, "Hardwired... to Self-Destruct" [Suggestioni uditive]

Metallica,
Hardwired... to Self-Destruct
(Blackened Records, 2016, 2 Cd)
1/2
















Capitolo Uno.
2003-2006.
Tra i giovanotti di metal dei primi anni Duemila bisognava scegliere se stare dalla parte dei Metallica "puri", quelli di Kill'em All, Ride The Lightning e Master Of Puppets, oppure da quella dei Metallica "impuri", quelli perbenisti e rallentati, quelli della difesa del diritto d'autore e degli interessi delle major discografiche nella causa contro Napster, quelli che si dividevano fra una festa in famiglia e una partita di basket con qualche clochard di Frisco (come mostrato nel video di Nothing Else Matters). Poteva sembrare scontato schierarsi a favore dei primi, ma a quattordici anni nulla è banale, immediato o automatico. Certo, St. Anger era orribile, ma allora perchè avevo comprato sia l'album che il singolo di Frantic? E perchè Load (originale) girava nel mio stereo quasi quanto Master Of Puppets (taroccatissimo)? Avessi avuto qualche anno in più, fossi stato un metallaro trentenne che aveva toccato con mano quanto il trash metal delle origini fosse libero, scostumato e aperto verso l'imprevedibile, magari non avrei avuto dubbi. Ma non funzionava così. St. Anger era considerato dai più arditi una prova di espressionismo musicale, un esperimento che avrebbe dovuto rilanciare i Metallica avvicinandoli al nu-metal, al noise, al garage e a mille altre diciture in voga all'inizio del nuovo millennio. Poi, naturalmente, si era rivelato essere un disco pessimo, nato da un travaglio immenso (avete mai visto il documentario Some Kind Of Monster?) e assolutamente inappropriato al mercato dell'epoca, un mercato che richiedeva commistioni pesanti con l'hip-hop, molta elettronica e perfino una certa ballabilità di fondo. In molti sono concordi che l'uscita di St. Anger e la sconfitta morale (cui fece seguito l'abbandono di una buona fetta dei fans) nel processo contro la pirateria illegale abbiano rappresentato il punto più basso della parabola artistica e umana dei Metallica. Non è un caso perciò che, già nel 2005, anche il sottoscritto avesse accantonato del tutto roba come St. AngerLoad, Re-Load e Black Album in favore dei vecchi dischi e di ben altri panorami musicali.

Intermezzo.
2006-2008.
Un breve intermezzo biomusicale. L'unica canzone dei Metallica che ho ascoltato fra 2006 e 2008 è stata  la cover di Whiskey In The Jar. E in più devo anche ringraziarli per avermi fatto scoprire- indirettamente, ma va bene lo stesso -Bob Seger, che quando dicevi a scuola che lo stavi sentendo tutti a fare <<Chi? Bob Seghe? E chi è?>>. Bob Seger è uno di quei dieci, venti incontri musicali che ti cambiano la vita. Avete presente i dischi perfetti, quelli che dall'inizio alla fine non cadono mai e non vengono a noia? Ecco, Bob Seger può vantarne almeno quattro nel proprio catalogo (un catalogo che, vale la pena sottolinearlo, ancora deve aspettare una ristampa completa su cd e che tantomeno troverete su Spotify) e può tirarsela anche soltanto per avere registrato uno dei live più belli di tutti i tempi. Oggi è un anziano leone, scrive poco e pubblica anche meno, si esibisce solo negli USA e ha paura di volare.

Capitolo Due.
2008-2015.
Sono da poco rientrato dalle vacanze estive. La sbornia del post-maturità è durata neanche quaranta giorni e fra un viaggio e un altro non sono riuscito a raccattare mezza idea su cosa fare da grande. E' un problema, un problema enorme. Mentre mi arrovello e concentro, alla televisione passa un video dei Metallica. Nuovo, lungo, polveroso, duro come la pietra e con un suono che non si sentiva dai tempi di ...And Justice For All. Alzo il volume della tv. Il video è girato benissimo e mostra un'azione di guerra nel deserto iracheno, mentre, in contemporanea, il gruppo suona in una landa desolata. Le immagni della parte bellica non seguono la musica; è assente, nel montaggio, un'idea di senso del ritmo e solo alla fine ha inizio una lunga galoppata strumentale e la scena si concentra solo sui Metallica, intenti a suonare nonostante siano raggiunti da una tempesta di sabbia. Sembrano tutti più vecchi e più saggi. La telecamera di Thomas Vinterberg (non uno qualsiasi) non accenna a voler nascondere acciacchi e segni dell'età di questi cinquantenni milionari. Un mese dopo esce nei negozi Death Magnetic e io, per partito preso, non lo compro. Tuttavia è un album magnifico, un disco di rinascita che pochi altri artisti possono vantare nel proprio catalogo dopo un periodo di crisi (in questo caso un periodo lungo una quindicina d'anni). Per una volta, i Metallica hanno ascoltato i fans della prima ora, hanno preso e tirato un calcio in culo a Bob Rock (che vada a produrre Bon Jovi!). I concerti migliorano mese dopo mese, il disco piace. E' imperfetto, e poteva essere nettamente migliore se non fossero state omesse alcune canzoni ripubblicate nel 2011 in un EP chiamato Beyond Magnetic. Da Death Magnetic in poi coltiverò un rapporto ambiguo con la band: troverò orripilante Lulu (e pensare che Lou Reed ci ha concluso la carriera con un album del genere), mentre mi esalterò perdutamente andando a vedere, al cinema, Through the Never. Più o meno nello stesso periodo, ascolterò intensamente Lords of Summer, demo poi convertita in singolo che lascerà presagire grandi cose.


Capitolo Tre.
Hardwired... to Self Destruct.
 Al netto dei cinque anni di pettegolezzi e aneddoti che ne hanno anticipato l'uscita, Hardwired... to Self-Destruct è uscito due giorni fa in tutto il mondo. Le versioni presentate sono molteplici, ma le più importanti sono due: la standard (2 cd di cui si capisce poco il senso, dato che l'intero album dura meno di 78 minuti) e la deluxe (3 cd, ovvero l'album e un disco di extra contenente due outtakes, tre covers e otto brani registrati a Minneapolis lo scorso agosto). Qua si parlerà esclusivamente della standard.
Un paio di primati: è il primo doppio album di inedite della loro carriera; è il primo album a non contenere nessuna composizione firmata o co-firmata da Kirk Hammett. Difficile stabilire se sia un pregio o un difetto, dato che, già dopo la tripletta iniziale (Hardwired, Atlas, Rise! e Now that We're Dead) ci si rende conto che stiamo ascoltando un disco di impeccabile, cristallino trash-metal e non di canzoni vintage. James Hetfield e Lars Ulrich non sono compositori rinchiusi nella loro bolla temporale e smaniosi di un ritorno agli anni Ottanta. Certo, hanno commesso i loro errori, pubblicato merda per almeno tre lustri, ma alla fine il loro è il percorso di quasi tutte le rock-band di successo. Moth Into Flame è in assoluto una delle mie canzoni preferite di quest'anno, 
Per il gruppo, tutto Hardwired si segnala come un capitolo particolare: un disco duro e intrigante, più maturo di Death Magnetic (album che continuo ad apprezzare e che invecchia, oggettivamente, molto bene), non necessariamente interessato alla costruzione di un suono "contemporaneo" eppure perfetto per competere con tutto ciò che il panorama heavy offre nel 2016. Chiaramente, non è stato realizzato per lasciarsi ascoltare da chi ai concerti dei Metallica aspetta di tirare fuori l'accendino (o, peggio ancora, lo smartphone) per The Unforgiven, ma è forse proprio questo il suo pregio più grande. In effetti, più si prosegue nell'ascolto e più ci si rende conto di trovarsi fra le mani proprio il seguito naturale di ...And Justice for All e Death Magnetic.  Gli ultimi due brani del primo disco, la lenta Dream No More e l'epica Halo on Fire (altro apice dell'album), rappresentano due valide ragioni per comprendere com'è che il disco sia stato presentato con tanto entusiasmo da Hetfield e soci, e accolto con pari entusiasmo dalla critica (Kerrang! gli ha conferito addirittura il massimo dei voti). La seconda "parte" di Hardwired fa calare leggermente l'interesse da parte dell'ascoltatore, colpa forse di brani non sciatti ma mediamente meno riusciti (e qui più che mai varrebbe la pena domandarsi se un unico cd avrebbe giovato alla totalità dell'opera): si apre con Confusion, oscuro esempio di magia nera che ammicca a certi episodi del Black Album senza scendere però a compromessi. Del resto, anche il secondo disco presenta ben poco che farebbe piacere mettere ad un party con gli amici o durante una pomiciata al chiaro di luna: si prenda anche ManUNkind (video splendido), fra i pezzi più sempliciotti, ma con basso e chitarre elettriche che conferiscono al suono una potenza, una profondità, una tridimensionalità  che al repertorio dei Metallica mancavano dai tempi di Master of Puppets. Here Comes Revenge è una delle migliori canzoni del gruppo di sempre: impostata come il classico pezzo à la Death M agnetic, ha una potenza di fuoco devastante e poco importa se è inferiore a Damage, Inc. o Battery. Am I Savage? parte bene, ma convince poco nell'arco di un paio di minuti, mentre Murder One (anch'essa lontana dalla qualità udita sulla "prima facciata") non è solo rabbia e grinta, ma lascia intravedere passione, ritmo, entusiasmo, groove. Spit Out to Bone, in compenso, è la degna conclusione di un disco come questo, non si arrende, non teme confronti, non soffre di alcun complesso di inferiorità. E', assieme ad un altro paio del cd 1, la canzone che meglio rappresenta i Metallica del 2016, ovvero una band metallara in grado di assemblare un doppio album praticamente privo di riempitivi. L'entusiasmo che mi trasmette ascoltarla mi riporta ai tempi in cui Search & Destroy girava in modalità repeat nello stereo in cameretta e io saltavo dal letto facendo air guitar.
Hardwired... to Self-Destruct è il  disco con cui ascoltare e apprezzare i Metallica migliori. Per chi avesse tredici quattordici anni oggi, è anche, misteriosamente, un buon punto di inizio per conoscerli.

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