Robben Ford,
Into The Sun
(Provogue, 2015)
★★★½
Non è una "bischerata" individuare nella produzione discografica di molti famosi chitarristi quali album sono da ricordare e quali no, e il caso di Robben Ford non è un'eccezione. Qualcuno sostiene, con blanda superficialità, che i lavori di questo talentuoso californiano ultrasessantenne si somiglino tutti e che basta ascoltarne uno per accontentarsi. Qualcun altro, invece, sa bene quanto sterminata possa apparire la sua produzione solista e non, perchè Ford si è contraddistinto per essere uno dei più geniali e carismatici turnisti della sei corde che il mondo ricordi. Avete presente dischi come Dark Horse di George Harrison, Miles Of Aisles e The Hissing Of Summer Lawns di Joni Mitchell o Creatures Of The Night dei Kiss? Ecco, Robben Ford ha suonato la chitarra in tutti questi. E, se si vuole andare più a fondo, è possibile notare un brillante inizio carriera come chitarra di accompagnamento di Charlie Musselwhite e, soprattutto, un proficuo interludio come chitarrista di Miles Davis nel 1986 (il risultato è udibile nel cofanetto del Montreux Festival). Perchè Robben Ford ha saputo inserirsi bene nella linea che separa il rock dal jazz, ha suonato con mezzo mondo e ha suonato veramente di tutto.
Entusiasta, disponibile e sempre elegante, Ford torna a far parlare di sè con il suo diciassettesimo traguardo solista, recante un titolo poco originale (Into The Sun) e una copertina alquanto tamarra e discutibile. Ma del resto, a chi è mai importato niente delle copertine dei dischi dei chitarristi? Quel che conta è la sostanza, gli accordi e i disaccordi sempre puntuali e opportuni, la superba capacità di spaziare e sintetizzare in undici brani una carriera pluriquarantennale. E che possa essere sulla strada buona lo si capisce già con la bella Rose Of Sharon messa in apertura. Le successive Day Of The Planet e Howlin'At The Moon confermano che Into The Sun è un disco molto meno jazzato e più vicino all'hard blues rispetto ad altri: insomma, per chi come me ama il Ford di Tiger Walk potrà trattarsi di una mezza sorpresa. E non per togliere nulla alle sue capacità di songwriter e cantante, ma la linfa vitale primaria di Into The Sun risiede nei duetti, tutti magnifici, tutti azzeccati, tutti piacevoli. Si parte con Justified, suonata con lo slide-master Keb'Mo' e con la pedal steel di Robert Randolph, e si va avanti con una Breath Of Me dove canta la giovane ZZ Ward, High Heels And Throwing Things in cui la Les Paul di Warren Haynes arriva e porta Into The Sun al suo punto più alto. Notevoli anche So Long 4 You, suonata assieme a Sonny Landreth (chitarrista cajun da me molto amato) e la conclusiva Stone Cold Heaven, dove Ford viene affiancato da Tyler Bryant, che- lo specifico per gli sprovveduti -era quel ragazzino texano sul palco del Crossroads Festival 2007 e oggi è un bravo 24enne che suona una musica fuori dal tempo e assolutamente estranea alle mode e ai tormentoni della sua generazione.
In totale, cinque bei duetti e sei brani suonati dal solo Ford. Into The Sun si lascia ascoltare volentieri, non annoia ed è prodotto benissimo da quel Niko Bolas a cui vanno moltissimi meriti nell'attività solista di questo magico virtuoso della sei corde. Paradossalmente, siamo di fronte a un album che mette d'accordo tutti: cultori elitari della musica per chitarra, rockers in erba e patiti di blues e jazz di ogni età. Il prezzo non eccessivo (una quindicina di euro) fa il resto.
In totale, cinque bei duetti e sei brani suonati dal solo Ford. Into The Sun si lascia ascoltare volentieri, non annoia ed è prodotto benissimo da quel Niko Bolas a cui vanno moltissimi meriti nell'attività solista di questo magico virtuoso della sei corde. Paradossalmente, siamo di fronte a un album che mette d'accordo tutti: cultori elitari della musica per chitarra, rockers in erba e patiti di blues e jazz di ogni età. Il prezzo non eccessivo (una quindicina di euro) fa il resto.
Nessun commento:
Posta un commento