The Magic Whip
(Parlophone, 2015)
★½
Sono passati dodici anni da Think Tank, ventuno da Parklife e ventiquattro da Leisure, ma a me i Blur proprio non mancavano. Per carità, sia lode a Damon Albarn, un grande cantante pop, ma soprattutto un grande della canzone in genere. I Blur sono stati un gruppo fieramente avanti, anche nel periodo in cui non ce la facevano a reggere il confronto con gli Oasis pur venendosene fuori con una pietra miliare quale The Great Escape. La fine del britpop ha portato il gruppo a sparare le proprie ultime cartucce creative (Blur e, soprattutto, 13), ma già nelle ritmiche globali e nei testi pacifisti di Think Tank si percepisce l'autocompiacimento e fa capolino una certa aria di rilassamento, quasi di routine. Tuttavia, la reunion del 2008 ha riacceso l'interesse nei confronti dei Blur e i nuovi brani usciti nel 2010 hanno ottenuto una certa credibilità nell'ambito della dispersiva e sopravvalutata scena dell'alternative rock inglese. Inoltre, se si è ascoltato l'eccezionale Everyday Robots, opera del solo Albarn, l'aspettativa per del nuovo materiale della band sale in maniera comprensibile.
In The Magic Whip, quello che era stato uno dei suoni più originali del britpop è ora un marchio lontano perfino dai presupposti del genere, e a poco valgono gli assoletti di Coxon. Il suono è di maniera già nel singolo Lonesome Street, canzoni quali Go Out, Thought I Was A Spaceman e Pyongyang sembrano tutte attraversate da un basso tenore emotivo e preoccupanti sono le aperture verso soluzioni di facile consumo quali There Are Too Many Of Us. Da non credere che una mente brillante e pronta a tutto come quella di Albarn, qui ulteriormente supportata dal produttore Stephen Street, sia in grado di proporre solo una stanca riproposizione dei Blur degli anni Duemila. E nonostante un minimo di delusione, il mio disinteresse prende il sopravvento di fronte a The Magic Whip e sono lieto di non ascoltare abitualmente roba che somigli a questa. Anche solo lontanamente.
In The Magic Whip, quello che era stato uno dei suoni più originali del britpop è ora un marchio lontano perfino dai presupposti del genere, e a poco valgono gli assoletti di Coxon. Il suono è di maniera già nel singolo Lonesome Street, canzoni quali Go Out, Thought I Was A Spaceman e Pyongyang sembrano tutte attraversate da un basso tenore emotivo e preoccupanti sono le aperture verso soluzioni di facile consumo quali There Are Too Many Of Us. Da non credere che una mente brillante e pronta a tutto come quella di Albarn, qui ulteriormente supportata dal produttore Stephen Street, sia in grado di proporre solo una stanca riproposizione dei Blur degli anni Duemila. E nonostante un minimo di delusione, il mio disinteresse prende il sopravvento di fronte a The Magic Whip e sono lieto di non ascoltare abitualmente roba che somigli a questa. Anche solo lontanamente.
Nessun commento:
Posta un commento