The Day Is My Enemy
(Cooking Vinyl, 2015)
★★
Inizia ad esserne passata di acqua sotto i ponti da quando, nel luglio del 2005, mi scatenavo in una pista da ballo di una nave greca al suono di The Prodigy Experience (1992). Musica da un'altro pianeta per chi, come me, non era di certo un patito di elettronica e simili, ma l'incoscienza giovanile spesso e volentieri genera onnivorismo, e così mi ritrovai a contorcermi al ritmo di Jericho, Charly, Out Of Space e Fire. Non saprei dire con esattezza di chi fosse il compact (originale) dei Prodigy, ma ricordo benissimo alcuni particolari: intanto, da novello post-raver, mi ero lasciato truccare, senza però rinunciare al mio animo rocker. Avevo infatti optato per un trucco à la Paul Stanley, mentre qualcun altro dei miei amici forse era Peter Chriss. Indossavo un'oscena maglietta di tessuto sintetico con su stampata una grafica di Zio Paperone e la cui natura anti-traspirante sarebbe stata tradita nell'arco di pochi minuti. Ma soprattutto bevevamo Ouzo da una fiaschetta comodamente acquistata al duty-free della nave e puzzavamo come una distilleria ambulante. Il d.j. tentò un paio di volte un missaggio sui pezzi, ma risultò un'impresa ai limiti delle sue abilità (per chi non lo avesse mai ascoltato, in The Experience non c'è un brano che scenda sotto i 140 bpm) e anche per questo lasciò perdere e abbandonò quasi subito la console lasciando il disco inserito nel CDJ. Alcuni adulti osservavano, basiti, questo spettacolo dai bordi della pista, accennando solo per pochi attimi qualche movimento della testa o del busto, tanto per farci capire che erano ancora vivi. Ogni tanto partiva il pogo, ogni tanto l'aria si riscaldava ulteriormente. Capivo poco- chiaramente -ma comprendevo che quella musica, per quanto "vecchia" di tredici anni, possedeva una forza straordinaria (il breakbeat) e che, se quei loop prodigyosi entravano in testa, nulla era in grado di cacciarli.
Ad oggi, l'Experience di anni ne ha ben ventitrè e se li porta benissimo, così come il suo funambolico seguito, Music For The Jilted Generation (1994). The Fat Of The Land (1997) invecchia meglio del previsto, ma non si può certo dire lo stesso di Always Outnumbered, Never Outgunned (2004). E se Invaders Must Die (2009) è stato un inaspettato colpo di coda da parte della formazione britannica, il nuovo The Day Is My Enemy si attesta su tutt'altro livello, assai più scarso. Tanto per cominciare, è un disco sconcertantemente datato. Come ovvio, i toni sono quelli del classico Prodigy-sound, ovvero breakbeat veloce miscelato con campionamenti ben architettati e distorsioni che si avvicinano molto all'hardcore. Inoltre, The Day Is My Enemy è il primo disco in cui tutti e tre i Prodigy si prodigano con una certa vena "cantautoriale": molti pezzi sono canzoni vere e proprie, in perfetto stile electro-rock. Ma funzionano? A parte che in Ibiza (quinto e ultimo singolo estratto)- che descrive con mirabile precisione un patinato mondo di pagliacci confinati su una costosa isoletta ispanica -e nella spettacolare title-track (dove si ripesca addirittura Cole Porter!), non molto. 14 brani solitamente brevi e prevedibili che tentano di rimescolare le carte già giocate con Invaders Must Die arricchendole di chitarre e testi un po' più studiati. Poi mi fermo a pensare e mi viene in mente che Liam Howlett, Keith Flint e Maxim Reality hanno tutti, abbondantemente, superato i quaranta, e che l'età in questo genere musicale pesa parecchio di più che in tanti altri. Ma non è comunque una scusa convincente.
Ad oggi, l'Experience di anni ne ha ben ventitrè e se li porta benissimo, così come il suo funambolico seguito, Music For The Jilted Generation (1994). The Fat Of The Land (1997) invecchia meglio del previsto, ma non si può certo dire lo stesso di Always Outnumbered, Never Outgunned (2004). E se Invaders Must Die (2009) è stato un inaspettato colpo di coda da parte della formazione britannica, il nuovo The Day Is My Enemy si attesta su tutt'altro livello, assai più scarso. Tanto per cominciare, è un disco sconcertantemente datato. Come ovvio, i toni sono quelli del classico Prodigy-sound, ovvero breakbeat veloce miscelato con campionamenti ben architettati e distorsioni che si avvicinano molto all'hardcore. Inoltre, The Day Is My Enemy è il primo disco in cui tutti e tre i Prodigy si prodigano con una certa vena "cantautoriale": molti pezzi sono canzoni vere e proprie, in perfetto stile electro-rock. Ma funzionano? A parte che in Ibiza (quinto e ultimo singolo estratto)- che descrive con mirabile precisione un patinato mondo di pagliacci confinati su una costosa isoletta ispanica -e nella spettacolare title-track (dove si ripesca addirittura Cole Porter!), non molto. 14 brani solitamente brevi e prevedibili che tentano di rimescolare le carte già giocate con Invaders Must Die arricchendole di chitarre e testi un po' più studiati. Poi mi fermo a pensare e mi viene in mente che Liam Howlett, Keith Flint e Maxim Reality hanno tutti, abbondantemente, superato i quaranta, e che l'età in questo genere musicale pesa parecchio di più che in tanti altri. Ma non è comunque una scusa convincente.
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