Esistono due tipologie di film: i film e i film di Nanni Moretti. E Mia madre è senza alcun dubbio un film di Nanni Moretti, nuovo capitolo di quella filmografia totale che va avanti da trentanove anni e che, fondamentalmente, segue il proprio autore nel suo naturale percorso di crescita. Perchè, si sa, il cinema di Moretti è un cinema perennemente autobiografico, anche laddove il suo personaggio sembra starsene più in disparte (Il caimano, Habemus Papam) o dove- come nel caso della regista Margherita (Buy) in Mia madre -trova incarnazione in un altro corpo, di sesso opposto ma a lui comunque legato: infatti (ovviamente?), nel film, Margherita ha un fratello che si chiama Giovanni (Moretti), che lascia il lavoro pur di assistere la madre malata terminale e di prepararsi a quel momento della vita, doloroso ma inevitabile, che coincide con la dipartita di un genitore. Quello stesso genitore, la madre, che è in assoluto uno dei protagonisti di tutta l'opera morettiana. Emancipata ma assente in Io sono un autarchico, oppressa e incompresa in Ecce Bombo, odiata e malmenata in Sogni d'oro, imperdonabile suicida in La messa è finita, divinizzata in Palombella rossa (<<le merendine di quando ero bambino non torneranno più...>>), reale (del resto di Agata Apicella, vera mamma di Moretti, si trattava) in Aprile.
A quattordici anni dall'osannato, premiato, ma criticabile La stanza del figlio, Moretti torna a parlare di morte e di dolore, ma lo fa con uno sguardo completamente diverso. Contamina il dramma con la commedia brillante, parla del proprio amore per il cinema, si mette accanto al proprio alter ego protagonista (allo stesso modo Margherita istruisce i suoi attori, spronandoli a mettere i veri se stessi a fianco dei loro personaggi), sceglie di non raccontare tanto il lutto quanto la preparazione ad esso. Il tutto senza farsi mancare i tic, le ossessioni, i personaggi istrionici (John Turturro, formidabile nel ruolo di american actor cialtrone e sopravvalutato), le frasi già pronte a divenire di uso popolare (il suo cinema ne è pieno), la scena di danza (il suo sogno è sempre stato quello di saper ballare), i sogni (d'oro), lo scooter, il cibo (in ospedale i tagliolini si attaccano, le paste corte no), il dibattito da evitare (<<No, il dibattito no!>>), la critica ad ogni forma di retorica, la psicanalisi, la città, il film nel film (Noi siamo qui, cronaca di un'occupazione di fabbrica e di conseguenza unica"costola" di riflessione politica in Mia madre). Tutte entità dell'universo morettiano, un mondo governato da regole severe ed egoriferite. Nanni dirige attori di primaria grandezza (su tutti, Giulia Lazzarini nel ruolo della madre) con primaria grandezza. E' davvero uno splendido quarantenne diventato un sessantenne cupo e- a sua detta -inadeguato, ma gira con la libertà e la fantasia degli esordi. Perchè ogni film di Moretti è un film sofferto ma totalmente libero, e al di sopra della media (anche perchè la "media", nazionale e spesso anche internazionale, è di imbarazzante pochezza). Del resto, cinque pellicole di fila portate al Festival di Cannes, una Palma d'Oro, Orsi, Leoni, Nastri, David e compagnia bella parlano per il proprio autore. Niente automobili linde offerte come sponsor, niente sovvenzioni bancarie, niente placements commerciali ridicoli. Nanni si è già confuso, prendendosi in giro anche solo come interprete, con quel mondo (Caos calmo) e con una realtà che non è la sua. La sua, quella in cui è ambientato pure Mia madre, è tutta un'altra cosa.
Per fortuna.
A quattordici anni dall'osannato, premiato, ma criticabile La stanza del figlio, Moretti torna a parlare di morte e di dolore, ma lo fa con uno sguardo completamente diverso. Contamina il dramma con la commedia brillante, parla del proprio amore per il cinema, si mette accanto al proprio alter ego protagonista (allo stesso modo Margherita istruisce i suoi attori, spronandoli a mettere i veri se stessi a fianco dei loro personaggi), sceglie di non raccontare tanto il lutto quanto la preparazione ad esso. Il tutto senza farsi mancare i tic, le ossessioni, i personaggi istrionici (John Turturro, formidabile nel ruolo di american actor cialtrone e sopravvalutato), le frasi già pronte a divenire di uso popolare (il suo cinema ne è pieno), la scena di danza (il suo sogno è sempre stato quello di saper ballare), i sogni (d'oro), lo scooter, il cibo (in ospedale i tagliolini si attaccano, le paste corte no), il dibattito da evitare (<<No, il dibattito no!>>), la critica ad ogni forma di retorica, la psicanalisi, la città, il film nel film (Noi siamo qui, cronaca di un'occupazione di fabbrica e di conseguenza unica"costola" di riflessione politica in Mia madre). Tutte entità dell'universo morettiano, un mondo governato da regole severe ed egoriferite. Nanni dirige attori di primaria grandezza (su tutti, Giulia Lazzarini nel ruolo della madre) con primaria grandezza. E' davvero uno splendido quarantenne diventato un sessantenne cupo e- a sua detta -inadeguato, ma gira con la libertà e la fantasia degli esordi. Perchè ogni film di Moretti è un film sofferto ma totalmente libero, e al di sopra della media (anche perchè la "media", nazionale e spesso anche internazionale, è di imbarazzante pochezza). Del resto, cinque pellicole di fila portate al Festival di Cannes, una Palma d'Oro, Orsi, Leoni, Nastri, David e compagnia bella parlano per il proprio autore. Niente automobili linde offerte come sponsor, niente sovvenzioni bancarie, niente placements commerciali ridicoli. Nanni si è già confuso, prendendosi in giro anche solo come interprete, con quel mondo (Caos calmo) e con una realtà che non è la sua. La sua, quella in cui è ambientato pure Mia madre, è tutta un'altra cosa.
Per fortuna.
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