In molti si domandano se Fast & Furious sia solo una saga che da tredici anni a questa parte appaga il cervello di milioni di menomati sparsi in tutto il mondo oppure un qualcosa che è partita come un chase-movie classico e al passo coi tempi ed è arrivata al punto di essere, semplicemente, bigger than nature, più grande della sua stessa natura.
Da parte mia, so che i primi tre film della serie, i più classici (il primo è un chase-movie adattato agli anni 2000, il secondo un perfetto incrocio fra action e buddy-movie, il terzo è un sub-documentario automobilistico) e i più verosimili, si sono rivelati nel corso degli anni non tanto la regola, quanto l'eccezione. Perchè Fast & Furious ha dismesso relativamente presto i panni di franchise su gare clandestine e belle ragazze in shorts ed è divenuta un'epopea gigantesca, zeppa di personaggi sopra le righe, movimenti esagerati, dialettica tamarra, musiche semi-ascoltabili e automobili che sfidano ogni legge della fisica. In poche parole: Fast & Furious è una delle saghe più trash mai prodotte per il grande schermo e della "serietà" non gliene frega più una beata sega a nessuno.
Però, pur ammettendo che spegnere i neuroni e godersi lo spettacolo più verro e abbietto sia l'unica via percorribile, bisogna dire che i capitoli 5 (2011) e soprattutto 6 (2013) di questa Bibbia delle cazzate mostravano svariati segni di cedimento: le location "da shogno" erano ridotte se non assenti, le macchine si erano fatte bruttine, l'azione finiva con l'annoiare e la CGI aveva preso il sopravvento su tutto il resto. E così, non è rimasto che cambiare regista (da Justin Lin a James Wan, uno dei nuovi masters of horror, da me assai poco amato) ed esagerare ulteriormente tutto l'esagerabile. Ne deriva un settimo film colossale sia nella durata (137 minuti) che nella forma, coatto oltre ogni limite e con tanti pregi e pochi difetti. Il pregio più grande? Non c'è un'inquadratura che sottenda serietà o smanie realiste, e ciò nonostante risulta essere il capitolo con meno effetti digitali della serie.
Il passaggio di testimone da Lin a Wan funziona alla grande: il regista di Insidious sa esattamente dove mettere la macchina da presa e non perde un colpo, regalando il Fast & Furious meglio girato dai tempi del primo film. Ma soprattutto, a Wan interessa riunire tutti i tasselli (anche geografici) della storia: finalmente, arriva l'aggancio definitivo con Tokyo Drift e finalmente si dà libero spazio all'immaginazione, fra supercar che volano e scazzottate filmate magistralmente. E poi ci sono quell'incapace di Statham, The Rock e Vin Diesel che se le danno di santa ragione, e la Lykan Hypersport che vola attraverso tre grattacieli degli Emirati Arabi, e Kurt Russell che beve la birra, e cose, persone e palazzi che esplodono con una frequenza improbabile, e una pioggia di culi inaudita, e dei dialoghi talmente spacconi da mandare a casa tutta la restante produzione action del mondo.
Riuscire a gestire tutta questa materia senza renderla noiosa e fine a se stessa (come nel caso di Fast & Furious 6, ad esempio) non è un compito semplice. Bisogna saperlo fare e ora come ora, nel mondo, in pochi ci riescono, ma Wan dimostra di conoscere le regole del gioco e di seguirle intelligentemente. Così come riesce a inserire al meglio un sentito omaggio finale a Paul Walker, vero e proprio tuffo nel mondo dei ricordi e compendio di tutta la saga. Mai verboso e mai banale.
Però, pur ammettendo che spegnere i neuroni e godersi lo spettacolo più verro e abbietto sia l'unica via percorribile, bisogna dire che i capitoli 5 (2011) e soprattutto 6 (2013) di questa Bibbia delle cazzate mostravano svariati segni di cedimento: le location "da shogno" erano ridotte se non assenti, le macchine si erano fatte bruttine, l'azione finiva con l'annoiare e la CGI aveva preso il sopravvento su tutto il resto. E così, non è rimasto che cambiare regista (da Justin Lin a James Wan, uno dei nuovi masters of horror, da me assai poco amato) ed esagerare ulteriormente tutto l'esagerabile. Ne deriva un settimo film colossale sia nella durata (137 minuti) che nella forma, coatto oltre ogni limite e con tanti pregi e pochi difetti. Il pregio più grande? Non c'è un'inquadratura che sottenda serietà o smanie realiste, e ciò nonostante risulta essere il capitolo con meno effetti digitali della serie.
Il passaggio di testimone da Lin a Wan funziona alla grande: il regista di Insidious sa esattamente dove mettere la macchina da presa e non perde un colpo, regalando il Fast & Furious meglio girato dai tempi del primo film. Ma soprattutto, a Wan interessa riunire tutti i tasselli (anche geografici) della storia: finalmente, arriva l'aggancio definitivo con Tokyo Drift e finalmente si dà libero spazio all'immaginazione, fra supercar che volano e scazzottate filmate magistralmente. E poi ci sono quell'incapace di Statham, The Rock e Vin Diesel che se le danno di santa ragione, e la Lykan Hypersport che vola attraverso tre grattacieli degli Emirati Arabi, e Kurt Russell che beve la birra, e cose, persone e palazzi che esplodono con una frequenza improbabile, e una pioggia di culi inaudita, e dei dialoghi talmente spacconi da mandare a casa tutta la restante produzione action del mondo.
Riuscire a gestire tutta questa materia senza renderla noiosa e fine a se stessa (come nel caso di Fast & Furious 6, ad esempio) non è un compito semplice. Bisogna saperlo fare e ora come ora, nel mondo, in pochi ci riescono, ma Wan dimostra di conoscere le regole del gioco e di seguirle intelligentemente. Così come riesce a inserire al meglio un sentito omaggio finale a Paul Walker, vero e proprio tuffo nel mondo dei ricordi e compendio di tutta la saga. Mai verboso e mai banale.
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