IL GIGLIO INFRANTO
Il momento si stava avvicinando. Il tempo era passato, e così le
generazioni. Avevano iniziato in due soltanto; ormai erano migliaia,
e il sottosuolo era il loro regno. Nel buio, vedeva i suoi figli
numerosi come le luci nel cielo che aveva visto la prima notte che
era giunta in quel mondo; e, nell’oscurità, sentiva la loro fame.
Le piccole creature sotterranee e quelle appena maggiori che
sottraevano di nascosto alla luce non bastavano più. Loro bramavano
gli esseri più grandi, gli strani animali con due sole zampe che
brulicavano all’aria aperta come loro nel sottosuolo. Ne sentiva
l’odore; erano così tanti: una riserva di cibo quasi infinita per
i suoi figli.
Con
suoni che solo loro potevano udire, dette i primi ordini: dovevano
sapere cosa li aspettava lassù. Dovevano conoscere meglio le
creature che controllavano quel mondo, prima di strapparglielo.Nei
mesi successivi gli abitanti di Firenze si accorsero di qualche
piccolo cambiamento. Molte persone che per tutta la vita avevano
combattuto contro infestazioni di topi, soprattutto gente che
possedeva case vicino all’Arno, notò che il numero dei roditori si
era ridotto, e che continuava a diminuire. Entro la fine di marzo
erano quasi scomparsi. Molti lo trovarono strano, ma nessuno si
preoccupò troppo: i subdoli invasori pelosi non erano certo molto
amati.Poi
toccò a cani e gatti: con l’avvicinarsi dell’estate il numero di
randagi calò sempre più velocemente, per poi lasciar spazio alla
scomparsa degli animali domestici. Firenze venne tappezzata di avvisi
di ricompense e si elaborarono teorie di tutti i tipi, incluse la
presenza di un laboratorio clandestino che usava gli animali come
cavie o di una setta satanica che li usava per dei sacrifici. Ma
nessuno, in fondo, si preoccupò troppo. E,
mentre in superficie la popolazione continuava la sua vita, sciamando
avanti e indietro per le strade, sotto i loro piedi qualcosa
cresceva. Mentre gli uomini di sopra non vedevano e non sentivano
nulla, nel sottosuolo qualcosa cresceva. Cresceva, e si moltiplicava.Le
nuvole di un luglio afoso e caldo non sorgevano più dai monti e
dalle foreste, quasi fossero solo sogni da contemplare attraverso i
finestrini del grande aereo su cui aveva viaggiato il diciottenne
Julian Grant. Era in viaggio da circa due giorni: partito dalla sua
Des Moines, aveva raggiunto Atlanta, per poi cambiare aereo e
arrivare a Roma, dalla quale si era diretto alla volta della stazione
di Santa Maria Novella, Firenze, tramite un treno di dimensioni
talmente piccole che il giovane temeva di aver sbagliato e di esser
finito sui servizi ferroviari delle poste. Non ebbe nessun problema,
nonostante gli aborigeni non tendessero a parlare molto la sua lingua
e talvolta potesse apparire difficile chiedere spiegazioni anche a
chi di dovere. Un grande cartellone della stazione fiorentina segnava
i 39°(ed erano appena le dieci del mattino) quando Julian scese dal
vecchio treno e, con una valigia e uno zaino, si diresse verso
l'uscita. Pensò che l'Italia, per ora, al di là di qualche
paesaggio, non infondesse poi maggiore allegria rispetto al suo
paese. <<Taxi!>>. Montò e non ci volle molto a capire
che il tassista non sapeva una parola di inglese; Julian si era
tenuto pronto un discorso in lingua italiana, ma ora non esisteva
verso di farglielo tornare in mente, e dunque si limitò ad estrarre
dalla sua agenda un biglietto col nome della via dove si trovava il
suo appartamento: -Via...de... dell'Anguillara, per piacere.-. Il
tassista rise e partì.Via
dell'Anguillara era vicina all'Arno, a Piazza della Signoria e a
Santa Croce, e Julian Grant non aveva mai visto nulla di simile in
quasi vent'anni spesi sul pianeta terra; tutto in quel luogo aveva un
ordine estetico diverso da quello cui era abituato. E' vero che le
cose erano più piccole rispetto all'Iowa, ma egli si era già
innamorato di tutto quel microcosmo appassionato che passava
attraverso quella via, dei colori, della puzza di orina di gatto,
dell'odore (mai sentito precedentemente) di una qualche verdura
rustica che andava a sposarsi perfettamente con i rifiuti
indifferenziati e i gas di scarico degli scooter. I suoi genitori
avevano optato per un bilocale di via dell'Anguillara su consiglio di
un amico che lavorava per una rete televisiva di Des Moines e che per
anni aveva tenuto un appartamento per le vacanze estive proprio in
quella parte della città. Julian si era dimenticato che i suoi scopi
includevano lo studio, ma aveva anche rimosso qualsiasi ricordo dei
suoi genitori, della sua città, dei suoi amici,
dei sandwiches tanto buoni preparati dalla mamma, dei campi di mais che
vanno oltre l'occhio di un uomo, del latte freddo portato in tavola
la mattina, della sua casa che sembrava nuova anche se aveva appena quarant'anni. Se Bill mi vedesse ora, verrebbe nel mio
appartamento a fare casino con qualche ragazza tettona e del bourbon! pensava. Bill era il suo fratello maggiore, ma non si vedevano quasi
mai.
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