martedì 14 gennaio 2014

Il giglio infranto (Capitolo II) [Trame]



IL GIGLIO INFRANTO 
Capitolo II

Il  momento si stava avvicinando. Il tempo era passato, e così le generazioni. Avevano iniziato in due soltanto; ormai erano migliaia, e il sottosuolo era il loro regno. Nel buio, vedeva i suoi figli numerosi come le luci nel cielo che aveva visto la prima notte che era giunta in quel mondo; e, nell’oscurità, sentiva la loro fame. Le piccole creature sotterranee e quelle appena maggiori che sottraevano di nascosto alla luce non bastavano più. Loro bramavano gli esseri più grandi, gli strani animali con due sole zampe che brulicavano all’aria aperta come loro nel sottosuolo. Ne sentiva l’odore; erano così tanti: una riserva di cibo quasi infinita per i suoi figli.
Con suoni che solo loro potevano udire, dette i primi ordini: dovevano sapere cosa li aspettava lassù. Dovevano conoscere meglio le creature che controllavano quel mondo, prima di strapparglielo.Nei mesi successivi gli abitanti di Firenze si accorsero di qualche piccolo cambiamento. Molte persone che per tutta la vita avevano combattuto contro infestazioni di topi, soprattutto gente che possedeva case vicino all’Arno, notò che il numero dei roditori si era ridotto, e che continuava a diminuire. Entro la fine di marzo erano quasi scomparsi. Molti lo trovarono strano, ma nessuno si preoccupò troppo: i subdoli invasori pelosi non erano certo molto amati.Poi toccò a cani e gatti: con l’avvicinarsi dell’estate il numero di randagi calò sempre più velocemente, per poi lasciar spazio alla scomparsa degli animali domestici. Firenze venne tappezzata di avvisi di ricompense e si elaborarono teorie di tutti i tipi, incluse la presenza di un laboratorio clandestino che usava gli animali come cavie o di una setta satanica che li usava per dei sacrifici. Ma nessuno, in fondo, si preoccupò troppo. E, mentre in superficie la popolazione continuava la sua vita, sciamando avanti e indietro per le strade, sotto i loro piedi qualcosa cresceva. Mentre gli uomini di sopra non vedevano e non sentivano nulla, nel sottosuolo qualcosa cresceva. Cresceva, e si moltiplicava.Le nuvole di un luglio afoso e caldo non sorgevano più dai monti e dalle foreste, quasi fossero solo sogni da contemplare attraverso i finestrini del grande aereo su cui aveva viaggiato il diciottenne Julian Grant. Era in viaggio da circa due giorni: partito dalla sua Des Moines, aveva raggiunto Atlanta, per poi cambiare aereo e arrivare a Roma, dalla quale si era diretto alla volta della stazione di Santa Maria Novella, Firenze, tramite un treno di dimensioni talmente piccole che il giovane temeva di aver sbagliato e di esser finito sui servizi ferroviari delle poste. Non ebbe nessun problema, nonostante gli aborigeni non tendessero a parlare molto la sua lingua e talvolta potesse apparire difficile chiedere spiegazioni anche a chi di dovere. Un grande cartellone della stazione fiorentina segnava i 39°(ed erano appena le dieci del mattino) quando Julian scese dal vecchio treno e, con una valigia e uno zaino, si diresse verso l'uscita. Pensò che l'Italia, per ora, al di là di qualche paesaggio, non infondesse poi maggiore allegria rispetto al suo paese. <<Taxi!>>. Montò e non ci volle molto a capire che il tassista non sapeva una parola di inglese; Julian si era tenuto pronto un discorso in lingua italiana, ma ora non esisteva verso di farglielo tornare in mente, e dunque si limitò ad estrarre dalla sua agenda un biglietto col nome della via dove si trovava il suo appartamento: -Via...de... dell'Anguillara, per piacere.-. Il tassista rise e partì.Via dell'Anguillara era vicina all'Arno, a Piazza della Signoria e a Santa Croce, e Julian Grant non aveva mai visto nulla di simile in quasi vent'anni spesi sul pianeta terra; tutto in quel luogo aveva un ordine estetico diverso da quello cui era abituato. E' vero che le cose erano più piccole rispetto all'Iowa, ma egli si era già innamorato di tutto quel microcosmo appassionato che passava attraverso quella via, dei colori, della puzza di orina di gatto, dell'odore (mai sentito precedentemente) di una qualche verdura rustica che andava a sposarsi perfettamente con i rifiuti indifferenziati e i gas di scarico degli scooter. I suoi genitori avevano optato per un bilocale di via dell'Anguillara su consiglio di un amico che lavorava per una rete televisiva di Des Moines e che per anni aveva tenuto un appartamento per le vacanze estive proprio in quella parte della città. Julian si era dimenticato che i suoi scopi includevano lo studio, ma aveva anche rimosso qualsiasi ricordo dei suoi genitori, della sua città, dei suoi amici, dei sandwiches tanto buoni preparati dalla mamma, dei campi di mais che vanno oltre l'occhio di un uomo, del latte freddo portato in tavola la mattina, della sua casa che sembrava nuova anche se aveva appena quarant'anni. Se Bill mi vedesse ora, verrebbe nel mio appartamento a fare casino con qualche ragazza tettona e del bourbon! pensava. Bill era il suo fratello maggiore, ma non si vedevano quasi mai.






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