PREMESSA
Vi starete chiedendo cosa ci faccia il logo della Double "B" Production in cima al primo post della rubrica Trame del 2014.
Finora siete stati abituati a vederlo capeggiare- in grande -in alcuni post delle Ombre elettriche, in particolare in quelli che si occupano di cinema di genere, e più precisamente di classifiche e consigli per la visione di filmoni, filmetti e filmacci: dunque non vi aspettavate di certo che la Double "B" si dedicasse anche all'esercizio letterario.
E invece è proprio così; anzi, vi diremo di più: il nostro sodalizio nasce proprio in ambito letterario, ai tempi del liceo, e va proseguendo dagli anni a venire. Nel 2009 iniziamo a spedire manoscritti a concorsi e piccoli editori, oltre a scrivere il nostro primo racconto "a quattro mani" (lo chiamammo da subito così per creare un'assonanza con un tipo di sonata per pianoforte di gran moda nei primi dell'Ottocento), un mistery-horror dall'eloquente titolo Il killer degli Urali.
E invece è proprio così; anzi, vi diremo di più: il nostro sodalizio nasce proprio in ambito letterario, ai tempi del liceo, e va proseguendo dagli anni a venire. Nel 2009 iniziamo a spedire manoscritti a concorsi e piccoli editori, oltre a scrivere il nostro primo racconto "a quattro mani" (lo chiamammo da subito così per creare un'assonanza con un tipo di sonata per pianoforte di gran moda nei primi dell'Ottocento), un mistery-horror dall'eloquente titolo Il killer degli Urali.
E visto che la smania del creare non passava, decidemmo di partecipare ad un concorso triestino di fantascienza, dove però si richiedeva un racconto che avesse un minimo di cinquanta cartelle. Avevamo sei mesi per scriverlo e ce la prendemmo con tutta la calma del mondo (esattamente il contrario di quanto fatto precedentemente). Redigemmo un severo piano di lavorazione e- come i veri professionisti -iniziammo a prendere appunti e a raccogliere materiale su un'idea un po' folle: gli alieni che invadono Firenze.
Dai frutti di questa idea nacque Il giglio infranto, che ci costò un'immane fatica (cinque mesi di scrittura effettiva, settantadue cartelle consegnate giusto in tempo e nemmeno una lettera di "Ci dispiace ma il vostro lavoro..."), ci fece fumare molte sigarette e discutere anche sui particolari più inutili, fino a diventare molto più simile ad un romanzo breve che ad un racconto lungo.
Oggi decidiamo di riprenderlo in mano, apportando qualche correzione e alcuni cambiamenti per poterlo pubblicare sul blog suddividendolo in capitoli.
Speriamo che il risultato vi piaccia. Buona lettura.
Speriamo che il risultato vi piaccia. Buona lettura.
IL GIGLIO INFRANTO
Capitolo I
Le
colline di Fiesole erano coperte di neve, come se un candido manto di
cotone fosse caduto sui boschi, sui campi e sui vitigni sopra
Firenze. Solo pochi chilometri separavano quei luoghi di pace dalle
luci e dalla confusione del carnevale fiorentino, ma sembravano
appartenere ad un altro mondo. Dopo due giorni di intense nevicate
che avevano coperto la città medicea, per la gioia dei bambini,
quella notte, per la prima volta da giorni, il cielo era punteggiato
di stelle. Il freddo era intenso, e se in città nessuno sembrava
accorgersene a causa della festa, nella campagna non c'era anima viva
fuori di casa.
Perciò
nessuno notò una scia dorata attraversare il cielo; e, anche se
qualcuno l’avesse notata, l’avrebbe scambiata per una stella
cadente fuori stagione. Neanche i radar dell’aeroporto di Peretola
la inquadrarono: un segno passò sui loro schermi, ma scomparve
talmente in fretta da essere ignorato.
E
così, nessuno vide una fiammata attraversare l’aria sopra Firenze;
si confuse con le luci della città. E nessuno vide lo schianto, o il
fuoco, o gli alberi caduti. Nel silenzio ovattato della neve, nessuno
sentì. Un cratere fumante nel terreno rimase come unico segno che
qualcosa era accaduto.
Una
voragine di quasi dieci metri di diametro feriva il suolo della
collina; una nube grigiastra si levava sopra le cime degli alberi,
mischiandosi al fumo nero del fuoco delle piante. Al centro dello
squarcio si poteva vedere uno strano oggetto di colore rosso intenso.
Aveva una forma pressoché sferica, grande più o meno come un
pallone da spiaggia, butterato da strane protusioni. Il rosso
appariva venato da strisce arancioni, e volute di vapore si alzavano
dalla sfera. Sembrava incandescente; la caduta attraverso l’atmosfera
aveva alzato la sua temperatura a livelli inauditi.
I
minuti passarono, e il colore cambiò in fretta, schiarendosi;
sembrava che il calore emanato dell’oggetto stesse calando a
velocità scientificamente impossibile, rivelando un colore azzurro
intenso, con venature blu. Il vapore cessò di salire, l’oggetto si
raffreddò. Per parecchi minuti non accadde nulla.
Poi
sembrò che la strana sfera si animasse: tremò, e l’aria si riempì
di un ronzio; infine, dalla parte superiore, iniziò a salire un filo
di fumo verdastro, mentre un’area di alcuni centimetri iniziò a
incresparsi, poi parve cominciare a sciogliersi; delle gocce, come di
cera, scivolarono verso il basso. In meno di due minuti si era
formata una piccola apertura; entro dieci, era larga quasi quindici
centimetri, e continuava ad allargarsi, come se un acido stesse
sciogliendo la superficie.
Quando
la strana reazione chimica cessò, l’apertura era ampia una ventina
di centimetri. Passarono altri minuti, poi qualcosa comparve sul
bordo, qualcosa di sottile e scuro; un’altra forma uguale spuntò
accanto alla prima; subito dopo, una figura, delle misure di un
volpino, si issò sul margine e saltò a terra. Nell’oscurità, la
sua forma era indefinibile, ma, tranne che nella grandezza, non
somigliava affatto ad un cane. La creatura girò quella che sembrava
essere la sua testa verso l’oggetto sferico ed emise un verso
stridente, simile a quello di una cicala, ma stranamente più
inquietante. Entro un minuto una seconda, misteriosa figura atterrò
accanto alla prima.
Scambiandosi
i loro strani stridii, i due esseri si arrampicarono sul bordo del
cratere, e, quasi fossero stati spinti da un misterioso istinto,
iniziarono a scendere verso valle, verso le luci di Firenze.
La
città medicea era in festa. Le strade erano piene di gente allegra e
sgargiante nei costumi di Carnevale. Piazza della Signoria era
gremita, i bambini correvano da ogni parte, schivando, spesso di
pochi centimetri, gli adulti, che sembravano divertirsi quasi quanto
loro.
Tutti
erano troppo coinvolti per notare due strani esseri che si muovevano
furtivi negli angoli più bui delle strade. Non si spostavano a caso:
erano decisi, parevano avere una destinazione misteriosa. Nessuno li
vide.
O
meglio: una persona scorse qualcosa; un solo uomo, vestito da
crociato, una birra nella mano destra, la sinistra poggiata sull’elsa
della spada. I suoi occhi registrarono un movimento: un’ombra
nell’angolo tra due vie. Scomparve prima che il suo cervello avesse
il tempo di elaborare l’immagine, e quando si rese conto che c’era
stato qualcosa, quel qualcosa era già scomparso.
Si
convinse di aver visto solo due cani randagi, nient’altro; bevve
altre quattro birre quella sera, ma anche nella poca lucidità della
sbornia incipiente il suo cervello tornò diverse volte a chiedersi
come aveva potuto immaginare che quegli animali avessero troppe zampe
per essere cani.
Scesero
giù, sempre più giù, lontani dalle luci, nella calda oscurità.
Una parte della loro natura li attirava dove c’erano tutte quelle
creature viventi; l’odore di quegli esseri era un richiamo quasi
irresistibile, ma il loro istinto li spingeva a scendere sempre di
più. Erano troppo piccoli, ed erano soli. Ci sarebbe stato tempo,
più avanti, ma per il momento, dovevano solo andare più giù.
Trovarono
il luogo che cercavano: ampio, caldo, sicuro. Era il posto migliore
dove stabilirsi, dove attendere il momento giusto.
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