VOLCANO CHOIR, "Repave" (Jagjaguwar, 2013)
★★★★★
Non li conoscevo.
Non sapevo minimamente che musica facessero, nè che, nel 2009, il loro album di debutto (Unmap) fosse stato ben accolto dalla critica alternativa.
Non lo sapevo perchè a me la critica alternativa fa cacare.
Non lo sapevo perchè a me piacciono gli Iron Maiden, e l'indie inteso come la critica alternativa lo intende poteva non esistere.
Tuttavia, conoscevo Justin Vernon (leader dei Bon Iver) e il veterano Jon Mueller.
Così, grazie ad un link consigliato su YouTube e una copertina di forte impatto stile sturm und drang, ho messo le mani su questo Repave, e ho capito un sacco di cose: una di queste è che non siamo pronti, come uditorio, a certa musica, e non parlo di musica "complessa", di musica "difficile", di musica "elitaria".
I Volcano Choir fanno un rock alternativo semplice di bassobatteriachitarratastierevoce, e non è di certo la semplicità a mancargli. E allora perchè canzoni come Tiderays, Comrade o Almanac (tanto per pescarne solo tre fra le otto che vanno a comporre l'album) appaiono, anche dopo tre, quattro ascolti, delle perle a cui il nostro orecchio non sembra abituato? Perchè un disco di quaranta minuti scarsi sembra rappresentare il futuro di ciò che rimane dell'alternative rock? Perchè i suoni e le parole sembrano perfettamente amalgamati in questa particolare operetta pre-autunnale?
Forse è davvero tutta una sensazione, una fregatura, un'idea stagionale che scomparirà presto, ma a me questo Repave sembra il miglior disco rock sentito negli ultimi mesi.
Poi molto probabilmente sbaglio.
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