Breve premessa
Secondo dei quattro racconti onirici del 2005, si intitolava inizialmente Viaggio a Londra e non vantava una forma prosaica ottima: anzi, diciamo che assomigliava molto di più ad un appunto per qualcosa da sviluppare in maniera più ampia. Tuttavia, a parte la grammatica, non ho toccato niente.
Vorrei aggiungere che quando lo scrissi non ero ancora mai stato a Londra e quel poco che conoscevo della città lo avevo visto al cinema o in qualche fumetto. Non è un caso, forse, che quella qui narrata sia una Londra decadente che si porrebbe meglio in un futuro cyber-punk che in un passato dal sapore più arbasiniano. Buona lettura.
RIBELLI IN VIAGGIO
L'autobus blu- quello che ci aveva chiamati anche altre volte -scende me e Nick a Londra in una bella mattinata di sole, una di quelle con le nuvole grandi, che si estendono a perdita d'occhio sopra i tetti dove ballavano gli spazzacamini. La piazza è piena di piccioni e, cosa piuttosto inusuale se paragonata ai nostri centri storici, viene divisa da un fiume che le scorre in mezzo. Dei turisti tedeschi accanto a noi blaterano qualcosa del tipo <<Nebenfluss der Themse>>, <<affluente del Tamigi>>, ma a noi interessa poco; preferiamo incamminarci, passare sopra un ponte antico quanto l'Inghilterra e raggiungere il Big Ben.
<<Siamo a Londra!>>, esclama Nick mentre le campane di Westminster battono dieci rintocchi. Contemplo gli alberi e le statue gotiche che circondano il parlamento, e penso a quanti inglesini sono venuti nel nostro paese a svenire per tutto l'Ottocento e come a me di svenire, in questo momento, me ne importi poco. I miei pensieri anti-romantici sono interrotti bruscamente da una voce italiana e molto, troppo familiare: si tratta dell'amico di famiglia Robberto, rigorosamente immerso nel suo gilet da esploratore del fine settimana. Credendo forse di non essere stato riconosciuto, sorride e si toglie i Ray-Ban col mirino, facendo scivolare, allo stesso tempo, la sigaretta di plastica (deve smettere di fumare) da un lato all'altro della bocca. E' accompagnato da Rose, moglie e fedele compagna di tante avventure. <<Il mondo è piccolo!>>, dicono i coniugi mentre ci indicano una squadra di venti individui accampata in un parco là vicino. <<Siamo qui con tutto l'ARCI, se volete aggregarvi>>, dice Robberto. Scuotiamo la testa cercando di non risultare offensivi e prendiamo congedo.
Nick spende mezz'ora di monologo sul seguente concetto: l'odio che si prova quando all'estero si incontrano persone conosciute.
Facciamo una bella passeggiata, ci fermiamo al London Eye e a qualche negozio di souvenir, fino a giungere di fronte ad un grande palazzo di cemento armato: si tratta, stando a ciò che dichiara la guida di Nick, del British Museum. <<Voglio entrare!>>, dico, e subito Nick mi indica una porta minuscola, oltre la quale si intravede un guardiano visibilmente già sbronzo, nonostante non siano ancora battute le dodici. Nonostante le nostre validissime e pregiate student-cards, l'ingresso va pagato, e profumatamente, ma non mi importa. Tuttavia, inizio a pensare di aver speso male le mie sterline quando, una volta dentro, vedo solo croste alle pareti e del pessimo vasellame rinchiuso dentro orribili teche. <<Questo non è il British Museum, cazzo!>> dico io, e me ne vado.
Siamo fuori. Io sto cercando di calmarmi e vedo che le poche sterline che avevo sono già sparite. Nick si scusa e si definisce una persona che non si intende di arte.
Chiediamo ad un passante dov'è possibile trovare un albergo ed egli ci indica un condominio dall'altra parte della strada nel cui seminterrato viene ospitata una sorta di subhotel.
Arriviamo alla "hall" del subalbergo Moneypennyinn e parliamo con una squatter che parla un italiano eccellente e pare non avere altro addosso se non un giubbotto di pelle nero. Siamo finiti nella più grande fogna del regno unito, costellata di scale scricchiolanti, moquette sporca di liquidi non ben identificati e travi del soffitto muffite: insomma, il tipico ambiente folkloristico dove i titolari, per evitare la morte, ti dicono <<Il Moneypennyinn è un albergo storico. Sid Vicious veniva qui a farsi le prime pere...>> e altre frasi pubblicitarie simili. Ad ogni modo, afferriamo le chiavi della suite Jack the Ripper e ci avventuriamo in un corridoio in discesa, dove c'è una lampadina funzionante per cinque fulminate. Entrati in camera, si pone un problema: una coppietta british di poco più grande di noi è sul tavolo di fronte all'ingresso e ci sta dando dentro di santa ragione. Visto il lerciume di posto dove siamo finiti, io sono per rimanere in corridoio e aspettare che finiscano, ma Nick non è così tollerante: sbarba un pezzo di battiscopa dal muro ed entra dentro prima minacciandoli e poi percuotendoli in varie parti del corpo. Le coperte in cui arrivò la peste nera del Trecento dovrebbero somigliare a quelle del Moneypennyinn, ma sono talmente stanco che dormirei sullo sterco di mulo.
<<Abbiamo dormito troppo!>> è la frase con cui, all'alba, Nick mi butta giù dal letto.
La sita di ritorno ha già il motore acceso quando riusciamo a prenderla. Il mezzo si infila in un bosco fitto e nebbioso. Dopo minuti che potrebbero essere ore che potrebbero essere giorni di viaggio, una ruota scoppia. L'autobus si ferma in mezzo al bosco e noi proseguiamo a piedi.
Siamo ribelli e cercheremo di esserlo sempre, ma a casa ci aspettano per cena, e non vogliamo deludere le nostre famiglie.
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