La generazione di
italiani nati negli anni sessanta è stata la prima ad avere un forte
collante, ovverosia la televisione nazionale. Le memorie delle
generazioni precedenti erano fortamente cittadine o regionali. E lo
stesso è successo dopo l'atomizzazione prodotta dalle tv privata,
che ha riportato il nostro paese all'età dei Comuni.
Fabio Fazio, nato a
Savona nel 1964 e dunque appartenente alla generazione televisiva
degli anni sessanta, entra in RAI a diciotto anni, come imitatore in
un programma radiofonico. Il primo ricordo che ho di lui risale agli
anni di Quelli che il calcio...
su RAI 2, quando Fazio- allora 33enne -era già una colonna portante
della RAI milanese. Poi ci fu la conduzione dei due festival di
Sanremo e di conseguenza la sua consacrazione definitiva. Ma Fabione
aveva altro in mente.Infatti, se andassimo a rivedere certi suoi
programmi di fine millennio (Anima mia,
tanto per dirne uno) sarebbe possibile notare come Che
tempo che fa risulti la
concretizzazione dell'interesse di Fazio per qualcosa che non si
limita ad essere “solo” varietà. E il grande problema emerso in
questi dieci anni (la prima puntata andò in onda nel 2003) di
fortunatissima programmazione a me sembra essere l'attenzione
destinata dal conduttore ligure esclusivamente a un certo emisfero
dell'universo culturale. Dunque Fazio, pur abbandonando la
televisione considerata “leggera”, ha creato comunque un vuoto
catodico, osannato, talvolta, da telespettatori che difettano di
intelligenza. A questa schiera appartengono, per esempio, quei
redattori de L'Espresso che, nel 2010, definirono Fazio un conduttore
di “garbata comicità”, elogiandone lo stile e spendendo tempo e
litri di inchiostro per tracciare un profilo dell'autore dove
trovavano spazio numerose altre perle ossimoriche, tipo “un
intervistatore senza domande”. Insomma, più che un articolo degno
di un autorevole settimanale italiano, sembrava un unico, lungo
trailer di Maccio Capatonda. Queste definizioni mi facevano ridere
allora come adesso, perchè in Fazio non ho mai intravisto neanche un
briciolo della comicità che gli veniva attribuita: al massimo, lo
potrei considerare ironico, ma di un'ironia timida, imbranata,
penosa. Per quanto riguarda invece il suo ruolo di intervistatore, si
potrebbe parlare di Fazio come della famosa “ultima ruota del
carro”, visto che in questi programmi esiste una squadra di
scrittori che lavora sull'ospite e prepara, con largo anticipo, una
serie di domande; dopo questo passaggio, si va in studio, dove Fazio
provvederà a fare quelle domande. Il fatto che a Che tempo
che fa vengano poi invitate
sempre le stesse persone e che queste persone, oltre che famose,
siano quasi sempre amiche del conduttore rende impossibile qualunque
contraddittorio: ed è questa la formula definitiva in grado di
rendere uno show di RAI 3 uno dei programmi più politicamente
corretti della televisione e di farlo piacere a tutti, anche quando i
toni si inaspirscono, gli autori si schierano e le risate del
pubblico diminuiscono.
Mi riferisco, ovviamente, a Vieni
via con me, il kolossal
socio-televisivo in quattro puntate “ft. Roberto Saviano” andato
in onda nel novembre 2010 e replicato, col nome di Quello
che non ho, su La7 nel maggio
2012.
Vieni via con me è
stato la prova definitiva che oggi molti intellettuali provano un
particolare autocompiacimento quando parlano di “censura” o di
“regime”, e non perchè abbiano vissuto la dittatura Fascista o
perchè siano stati realmente censurati, ma perchè basta pronunciare
certe parole con toni vittimistici per accrescere il proprio
prestigio. La RAI “garbata”, censoria e democristiana degli anni
cinquanta e sessanta non avrebbe mai permesso a Fazio e Saviano di
registrare e mandare in onda in prima serata uno show dove si
affrontano certi argomenti: eppure loro, pur avendo carta bianca sui
contenuti e consenso della direzione, devono comunque comportarsi da
vittime, unici e soli “illuminati” in un panorama televisivo
culturalmente ingiusto e vuoto. In più, Vieni via con me
ha provato definitivamente la
passione di Fazio per il “sistema lista” (fattore con cui aveva
già flirtato negli anni novanta), anche se le origini di questa
storia d'amore non vanno ricercate, a mio avviso, né nel libro di
Umberto Eco Vertigine della lista
(uscito per Bompiani pochi mesi prima della messa in onda del
programma), né nell'hobby della catalogazione di Nick Hornby (spesso
citato da Fazio come altro maestro di vita), ma piuttosto in una
lettura adolescenziale del giovane Fabio: Bouvard e
Pécouchet di Flaubert, un
romanzo pubblicato postumo dove due anziani si divertono a catalogare il mondo
disciplina per disciplina.
Tipica espressione di Fabio Fazio |
Se
mostrassimo una foto di Fabio Fazio a dieci persone e chiedessimo
loro di attribuirgli una virtù a caso, cinque di queste direbbero
<<la bontà>>, e altre cinque <<la giovinezza>>.
Cominciamo col dire che Fazio, in reatà, non è buono, né tantomeno
buonista, e non ha mai mancato di dimostrarlo: un individuo buono
tende all'ecumenismo, e non all'esclusione culturale. E in secondo
luogo, Fazio non è più giovane, né moderno: anzi, rifugge la
modernità, ne parla spesso male e nasconde la propria cultura
ponendosi (spesso in maniera ridicola) svariate gradinate sotto ai
suoi ospiti. Tuttavia, non è un cialtrone, ma un professionista, una
persona competente. I veri cialtroni sono i componenti del novanta
per cento del suo pubblico: individui dai dodici ai novantanove che
non si sono mai interessati a niente e che, di punto in bianco,
diventano colti, razionali e aperti, perchè così dice di fare
Saviano a Vieni via con me e
perchè così andava fatto. Tutti bravi, tutti altruisti, tutti
attenti alla pace nel mondo: persone che passano le giornate a
celebrare i simboli culto della sinistra dell'ovvio, dal logo di
Emergency (<<perchè mi hanno regalato la maglietta>>)
alle stringhe arcobaleno delle sneakers (<<perchè la tonalità
di viola è uguale a quella delle Converse>>). Seguire Fazio è
dunque un atto di cialtroneria, così come comprare Zero
zero zero senza leggerlo oppure
come mettere “mi piace” ad una pagina Facebook credendo di
risolvere così i problemi del mondo. Assurgere a simboli del
cialtronismo culturale è il destino che spetta anche a tutta la
schiera di Fazio: pensate a Michele Serra, ennesimo messia che si
prende cura della salvezza di un popolino che, dal canto suo, vuole
solo risparmiarsi la fatica della lotta.
E chissà quali idoli ci proporrà, a partire dal 29 settembre, il buon Fabio. Un giorno sarà Grillo, un
giorno Marchionne, un altro giorno ancora sarà Saviano: tutti probabili
salvatori del Belpaese, tutti ospiti di Fazio, tutti idoli di una
massa instabile, come la vox populi
che canta all'inizio di Turandot,
o come quelli che- secondo un altro fortunato best-seller -urlavano
prima <<Osanna!>>, e una settimana dopo <<Crucifige!>>.
E dietro a tutti questi fenomeni mediatici, Fabio Fazio, una figura minore che ha
capito quali sono i desideri diffusi nel nostro paese oggi e che basta una
patina di impegno sociale, un accenno di fuga dal paese e l'imparziale denigrazione dello stato
delle cose per fare ascolti record con uno show televisivo. Perchè questo è Fabio Fazio: “solo un conduttore televisivo”.
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