È strano come si possa non possedere alcuna fede calcistica eppure detestare gli esponenti di quel mondo. Non dico tutti, ma almeno quelli molto famosi di cui è impossibile non avere notizie passive, poiché la loro presenza deborda oltre le pagine dei quotidiani dedicate agli eventi da stadio. Dilagano così in quelle di gossip per i loro frequenti nuovi amori, in quelle degli spettacoli perché si mettono a cantare o fare i dj per beneficenza, in quelle della cronaca nera perché, da perfetti bietoloni, finiscono invischiati in scandali economici. E tra le sezioni Sport, Spettacolo e Cronaca dei quotidiani ci sono enormi pagine pubblicitarie in cui i protagonisti sono quegli stessi calciatori, il cui faccione sovrasta il prodotto che a volte non appare neppure. Succede spesso, e la cosa grave è che succede a chi, come me, non solo non si interessa di calcio, ma neanche legge quotidiani sportivi. Oggi, tanto per dirne una, è il turno di Totti: bravo ragazzo, bella moglie, bella famiglia, ignorante- ops, volevo dire "umile", scusate -e fieramente attaccato al vessillo della Roma. Tanto è forte questa sinergia che il Corriere.it (giornale da cui ci si dovrebbe aspettare ben poco di romano) dedica al rinnovo del contratto un servizio da prima pagina di Cronaca.
Ma Totti lo saprei riconoscere, mentre il vero problema è rappresentato da quei calciatori che conosco solo perché fanno la pubblicità a qualcosa, quelli che solo dopo un po’ mi vengono additati come eroi da stadio e non un come semplici modelli. Così mi rendo conto della mia ignoranza in due casi. Primo caso: quando ogni anno regolarmente sento il nome del vincitore del Premio Nobel della Letteratura e mi accorgo di non aver letto mai nulla di suo, anzi di ignorarne persino il nome. È umiliante vedere il giorno dopo che tutti gli scrittori interpellati dai redattori degli inserti culturali, scevri da ogni ombra di invidia, dimostrano una precisa conoscenza, delle istanze, delle problematiche e del valore dei premiati. Secondo caso: quando c’è qualche calciatore su un giornale, in tv, o addirittura a giro per la strada e io non lo riconosco.
Ma è risaputo che ignorare ogni elemento dell’universo calcistico resta sempre un classico dello snobismo, il modo più sicuro per segnare il territorio tra il popolino affamato di circenses e te stesso; e, per quanto forzato, vorrei poter ammettere che questo atteggiamento di rifiuto della sfera di cuoio ha una sua origine extraterrestre, ma non è così. Capita, quando finisci in classi piene di ragazzini che vivono solo in attesa dell'intervallo per sfogarsi sul pallone, oppure quando rischi di essere lasciato da fidanzate amareggiate dal fatto che tu non conosca il termine "fuorigioco". Condannato a subire la non-stop calcistica che dal sabato al lunedì invade tutti i media, costretto a condividere gli angusti spazi dei mezzi pubblici con persone che compiono l'esegesi della Gazzetta come se fosse un passo oscuro della Torah, mi sono spesso interrogato su come io abbia potuto vivere in questo bagno di calciofilia senza esserne contagiato.
Il 9 luglio del 2006 divenni il caso di un piccolo tabaccaio nei pressi della stazione Santa Maria Novella a Firenze: infatti ero l'unico presente solo per acquistare sigarette e biglietti dell'autobus per tornare a casa (corsa non garantita a causa della finale), e non per vedere la partita in un minuscolo e traballante apparecchio che era stato adagiato sopra le stecche di Winston. Mi furono rivolte occhiate cariche di odio, forse perchè non domandai <<Quanto stiamo?>> o perchè non mi imbambolai come gli altri avventori. E intanto, fuori, i turisti tedeschi più giovani venivano assaliti da nuovi mostri di Firenze, e quelli anziani- il cui gesto più patriottico era stato leggere Novalis sulla scalinata di Santo Spirito -venivano privati di ogni diritto e incarcerati a Sollicciano. Ricordo che quella notte feci come Marcel all'inizio di Un amore di Swann e andai a letto presto.
Tuttavia, mentre nel 2006 provavo solo disinteresse nei confronti di questi ragazzotti estrogenati, unti e fragili, oggi le cose sono cambiate, e i miei sentimenti- complici una serie di esperienze dirette e indirette legate al calcio e ai calciatori -sono diventati più intensi. Alla fine di tutto, odio i calciatori perchè sono adorati e perchè si perdonano loro le cadute nella tossicodipendenza (un calciatore è un "debole", un suo coetaneo non sportivo sarebbe un "delinquente") e gli si offre la gratuità nei ristoranti. Ma mi vendicherò prima o poi.
Da qualche parte in superstrada la sera del 9 luglio 2006 (notare la gioia per questa Italia che si appresta a vincere il suo terzo mondiale di calcio) |
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