Finora ho fatto in tempo ad appassionarmi, seriamente, a meno di dieci cose: fra queste potrà sicuramente annoverarsi il cinema, ma non i motori. Che siano i miei o quelli degli altri, i motori non mi sono mai interessati. Verso i tredici, quattordici anni gli amici avevano gli album dei motorini 50cc, le cui pagine venivano sfogliate fino a sgretolarsi nella ricerca del ciclomotore adatto a loro, ma non a me. Ma mentre alle medie il sillogismo Lui ha il motorino→Lei tromba solo quelli col motorino→Lei tromba Lui pareva ancora funzionare, al liceo a nessuno già importava più niente di sgassanti e rumorosi macinini a due ruote, e al massimo poteva valere la regola Lui ha già la macchina→Lei tromba solo quelli con la macchina perchè si è rotta le scatole di spendere i soldi in biglietti dei mezzi urbani o perchè i suoi genitori sono stufi di accompagnarla ovunque a giro per il mondo→Lei tromba Lui. Peccato che neanche l'automobile- simbolo dell'entrata nell'età adulta -riuscisse ad esercitare una certa influenza su di me, tant'è che la patente l'ho presa quasi ventenne. Ora che però mi avvio verso il quarto di secolo senza sapere praticamente nulla di automobili mi rendo conto che un buon film di automobili "vere" e incentrato sul mondo dell'automobilismo, forse, non lo avevo ancora visto.
Ecco, ora posso dire di essere stato accontentato: Rush è e sarà per un pezzo il film sull'automobilismo reale e sul mondo sportivo dei motori. Lo è perchè innanzi tutto non si prodiga, a livello tecnico, in assurde sfide contro la fisica; tutto è perfettamente realistico e fuso con la realtà dei fatti (numerose riprese d'epoca si accavallano fra quelle del film, talvolta senza neanche far percepire allo spettatore la differenza). E poi un biopic doppio (Lauda e Hunt) riuscito non si vedeva da un pezzo, per quanto Ron Howard ci avesse provato, già nel 2008, con Frost/Nixon: il duello. Rimanendo su Ron Howard, possiamo solo complimentarci: da A Beautiful Mind in poi la sua sempre altalenante carriera aveva teso esclusivamente al brutto (nessuno mi ha mai convinto che Cinderella Man è un buon film sulla boxe, nè tantomeno un buon film), toccando talvolta livelli inaccettabili. Invece in Rush ritroviamo tracce di quel cinema americano "antico" nella forma (fondamentale, in questo, la fotografia di Mandle, storico collaboratore di Boyle, Von Trier e Vinterberg) e nei contenuti (i due sportivi diventano supereroi, rockstar, dei dell'Olimpo, gladiatori, protagonisti di rispettivi drammi privati). L'adrenalina, la spettacolarità e la computer-grafica ci sono, ma non si vedono, e non si vedono perchè non sono abusate, ma perfettamente credibili: i piloti di quegli anni rischiavano la vita più di quelli di oggi, ed è un dato di fatto. E in tutto questo Chris Hemsworth si taglia la barba, appoggia il martello e impugna bottiglie di scotch e pacchetti di sigarette; scende da Asgard sulla terra avido di gloria, soldi e femmine, e risulta bravissimo. Così come Bruhl nei panni del freddo, risoluto e calcolatore austriaco Lauda si dimostra un interprete maturo e ormai proiettato verso una carriera internazionale. Infine, abbiamo una splendida Olivia Wilde nei panni della signora Hunt (sembra ieri che baciava Mischa Burton su una spiaggia...) e un immancabile Pierfrancesco Favino (ormai paragonabile al prezzemolo, nel suo essere ovunque).
Concludo facendo i complimenti ad un ritrovato Hans Zimmer come compositore dell'ottima colonna sonora e allo sceneggiatore Peter Morgan, che ha deciso di inserire la scena caciarona e "italianissima" dei napoletani (si trovano a Trento ma hanno l'auto targata Firenze) che raccolgono Lauda e la bella Marlene, intenti a fare l'autostop. Che momenti!
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