PREMESSA
Non necessariamente un blog deve rispondere a tutta una serie di ferree regole autoimposte. Così, ho deciso di raddoppiare la rubrica Trame di settembre e di accantonare, momentaneamente, i vecchi racconti onirici ritrovati di recente. Presento così questo racconto pensato inizialmente per un fumetto e scritto in questi giorni di febbre autunnale.
Buona lettura.
FANNULLOPOLI-BOMBURGO:
ANDATA E ANCHE RITORNO
«Non
mi rompere il cazzo! Sto per partire e torno martedì! E guai se dici
che mi hai sentito. Ricorda che sono in malattia!».
Nonostante
il frastuono dei reattori che si riscaldano in pista, gli annunci
stridenti in più lingue, le alte grida da suk
emesse dai viaggiatori, l’autostrada a pochi metri affollata di tir
e la normale dispersione fisica del suono, persino nell’enorme
centro commerciale che fronteggia l’aeroporto di Fannullopoli,
ricetto speculare di una fauna simile, avranno sentito questa compita
risposta. A sbraitarla è stata un’arruffata tardoventenne
disabbigliata come le raccoglitrici di telline che decorano certi
arzigogolati e inutili centrotavola di Capodimonte. Chiude a scatto
un vecchio cellulare a conchiglia, raccoglie uno zainetto Seven che
reca ancora scritte a pennarello scolorite inneggianti ai Blue,
guarda le due amiche che ancora ridono per la sua uscita e insieme si
allontanano rapidamente in uno sfarfallio di infradito verso chissà
quali mete da cui torneranno con ricordi bollenti e una vaginite. Il
signor Candido Bucaneve, rappresentante presso una ditta di materassi
artigianali, cerca di memorizzare il suo viso. E' sicuro che in
settimana prossima la ragazza sarà
ospite di qualche piagnucolosa trasmissione firmata Santoro.
Finisce
di bere un cappuccino che costa come un caffè preso ai tavolini del
Florian e si accorge di essere entrato in contatto con il mondo dei
neoproletari on the move,
un microcosmo di cui ha sempre sentito parlare, ma che non pensava
esistesse veramente.
In base ai racconti di alcuni colleghi più abituati di lui alle
trasferte, si aspettava di vedere tutto
ciò che ora effettivamente ha davanti agli occhi. E che sente
intorno a sè, dato che neppure chiudendo gli occhi l’oscenità
scompare: anzi, risulta amplificata dalle urla scomposte e dalla
maleducazione generalizzata.
L’idea
di aeroporto assorbita da vecchi film e dai giornali di gossip di
molti anni fa si sintetizzava nell’espressione del jet-set: infatti, l’aereo
era un mezzo così costoso che solo una ristretta élite poteva
permetterselo, mentre per gli altri esisteva la cuccetta da seconda classe o sugli interregionali. E questo aveva come conseguenza un intero codice di
comportamento; l’eleganza soffusa- e spesso solo presunta -delle
classi più ricche dettava le regole di un galateo supernubilare;
silenzio, distacco, una certa noia e vesti di livello adeguato. I
ricchi volavano per rapidità, non perché avevano fretta: non
provavano l’ansia di arrivare subito per non perdere nemmeno un
minuto di quella follia vacanziera che contraddistingue tutti quelli che
adesso circondano il signor Bucaneve. I ricchi volavano anche per non mescolarsi con
il resto del mondo. Per questo si rinchiudevano in certe riserve
protette dell’eleganza. I night, i concorsi di equitazione, i
quartieri-zoo come Milano 2 e gli aeroporti. Il jet-set
arrivava al gate silenziosamente, scivolando nella stessa afa che ci
opprime anche questa mattina, senza mai sudare. Arrivavano in
perfetto orario, e mai troppo tardi da dover subire l’umiliante
chiamata dagli altoparlanti mentre il pilota impreca. Mai troppo
presto, come fanno quelli che poi si spogliano e si sdraiano su tre
sedili e iniziano a dormire e russare perché giunti con cinque ore
di anticipo mentre gli amici li fotografano e postano subito il jpg
su Facebook per mostrare a chi è rimasto a casa quale vita da
globetrotter stiano conducendo. I ricchi giungevano solo con quel
breve anticipo sufficiente a volteggiare nel gate, fare da elemento
scenografico di fronte alle vetrate oltre le quali scorrevano, con
altrettanta grazia e silenziosità, le fusoliere argentate di poche
linee aeree dai loghi evocativi.
Candido
Bucaneve si guarda intorno e non vede nulla di tutto ciò: è qui da
quaranta minuti, e osserva i bivacchi che costellano il gate, simboli
dell’ineleganza naturale di un neoproletariato che sta ormai
conquistando il mondo. E questo stesso neoproletariato è adesso in
fila davanti al gate 6, il più famigerato, il più angusto, quello
da cui si decolla per l'aeroporto iperperiferico di Bomburgo. L’aereo
attende appena fuori dalla vetrata e Candido si domanda come quel
modesto velivolo possa accogliere l’infinito serpentone che si
snoda a pochi metri da lui. La coda lo sommerge, lo ingloba ed egli è
accerchiato al punto che riesce a indovinare indole e speranze di
ognuno di quei viaggiatori, tutti individui convinti che l’intero
Regno Bomburghese, si
rispecchi
in poche zone di una capitale conosciuta attraverso i racconti di chi
li ha preceduti. Aspiranti designer italofobi, intimiditi
frequentatori dei GREST oratoriali alla loro prima avventura volante,
fan sfegatate degli One Direction stoltamente convinte di scoparsi a
breve una nazione di maschi graziosi come i loro idoli, legioni di
quarantenni sessualmente ambigui in look Mengoni (capello bananato e
occhiale fluo) che appena possono volano lassù da amici pakistani
con laundrette e che già al gate assumono un'aria di sufficienza e
disprezzo verso la madrepatria.
E Candido si diverte, gioca a fare l'Arbasino di serie C appuntando
quello che vede su un taccuino nero.
Però
anche lui
sta andando a Bomburgo, una città in cui mai avrebbe pensato di
andare e in cui è convinto che si annoierà a morte, circondato
soltanto da sosia di questi signori semiaddormentati che stanno per
volare con lui.
Avrebbe
dovuto farsi affibbiare dai capi altre destinazioni, tipo la Spagna. Però, davanti al gate
da cui si decolla per Valencia aveva sfiorato una ventina di uomini
tra i trenta e i quaranta che forse dicevano cose molto divertenti
viste le frequenti risate. Peccato che Candido Bucaneve non capisca
il dialetto stretto delle valli camune. I bermuda a quadri si
sprecavano e anche le camicie a fiori. Tra tutti quegli
indistinguibili spiccava però il re della compagnia, uno più
anonimo degli altri, ma il cui petto era attraversato da una fascia,
simile a quella dei sindaci, o anche meglio a quelle che pendono
dalle corone funebri, visto che il nastro era fregiato da una scritta
dorata: Addio
al Celibato–settembre 2013.
Era rimasto a fissarli per un po’, certo che sarebbero scomparsi di
lì a poco non essendo che una proiezione delle sue più profonde
angosce. Invece no, esistevano davvero. Trenta trentenni tutt’e
trenta trotterellanti verso tre giorni di delirio alcolico-sessuale
da veri maschi, lontano da mogli, fidanzate, madri, suocere, a
celebrare gli ultimi istanti di libertà del loro amico prima che
anche questo cetriolone si asfaltasse in una esistenza di mutui
capestro, mogli capricciose e pranzi domenicali dalla suocera.
Vedendolo sparire oltre il gate, Candido gli ha augurato lo stesso
destino di Daniel, l’amico di Elton John che andava sempre in
Spagna e che, vola oggi vola domani, alla fine precipitò con tutto l'aereo:
ad ogni modo, sempre meglio della vita che lo attende tra qualche
giorno, dopo il banchetto nella raffinata Villa Tropicana Resort,
dove, con la neomoglie Tizzy, avrebbe salutato parenti e amici come
da partecipazione stampata su cartoncino bristol in caratteri
Edwardian.
<<Leaving
for Bomburg immediate boarding!>>, chiamano, e il signor Bucaneve
va.
L’aereo
sta decollando ed è troppo tardi per tornare indietro. Candido
avrebbe dovuto pensarci prima e annullare l’intera trasferta, pur
sapendo di non aver diritto ad alcun rimborso; anzi, avrebbe dovuto rinunciare all'incarico. È sempre così:
appena la segretaria ha premuto “enter” e PayPal ha avviato la procedura di
pagamento è stato assalito dai rimorsi, dai sensi di colpa, dalla
nausea per quello che lo aspettava. Improvvisamente, ripensa a certi
lunghi camion che incontra sulla strada per Lavalava, simili a grosse
gabbie dalle cui sbarre spuntano i grugni di maiali portati nei
salumifici locali. I suini non sanno quale destino li aspetta e sono
felici di quella trasferta, magari si parlano tra loro, si dicono
cose come «Io amo molto viaggiare» oppure «Ogni tanto si deve
staccare la spina». Sembrano quasi salutare Candido con una pazza
allegria grufolante mentre lui li sorpassa, dando loro appuntamento
in un futuro panino.
L’atmosfera
a bordo è altrettanto grufolante e i panini non appartengono a un
ipotetico futuro, ma al presente. Il naso dell’aereo non ha ancora
toccato il primo strato di nuvole e già il passeggero seduto al
fianco di Candido ha estratto dalla borsa un involto argentato.
Appena stracciata la stagnola, l’aria s’impregna di un odore
perforante di salamella. Il povero signor Bucaneve si domanda dove il
passeggero abbia mai comperato quel simbolo di antiche feste de
l’Unità e come possa divorarlo con tanta golosa avidità a
quest’ora del mattino. Poi nota che dal taschino della giacca
spunta un passaporto inglese, gli vengono in mente i disgustosi
breakfast d’Albione e solo allora tutto gli appare più chiaro. Sui
voli low-coast tutto è a pagamento e tutto costa molto: ecco perché
la tendenza dei passeggeri è quella di presentarsi muniti di
frittata con cipolle, usanza che finora veniva attribuita solo alla
seconda classe del treno Palermo-Francoforte.
La
parola d'ordine è una e una sola: isolarsi. Candido ha già
indossato gli auricolari e acceso l’iPod, benché sia vietato l’uso
di ogni apparecchiatura digitale nella fase di decollo; ha aperto un
fumetto per concentrare lo sguardo sulla fila dei caratteri
tipografici inseriti nei baloon, senza dover per forza leggere.
Purtroppo non può contrastare l’effluvio di salamella perché non
sa rendere autonomamente disponibile la maschera per l’ossigeno, ma
un particolare di non poca importanza attira la sua attenzione: la
storia che si appresta a leggere, Paperino
e il re del fiume d'oro,
è ispirata ad un racconto di John Ruskin, che è stato un po’ il
padre degli odierni viaggi modellati. Prima
di lui, infatti, solo i rampolli dei nobili si dedicavano al Grand
Tour e passavano un lungo periodo svenendo davanti alle chiesette
toscane. Dopo le guerre napoleoniche, anche i grandi borghesi fecero
proprio quel vezzo e iniziarono a fingersi vittime della fascinazione
artistica. Ruskin, figlio di un mercante di sherry, non aveva nobiltà
né una preparazione culturale particolarmente approfondita,
risultando dunque perfetto per vestire i panni della guida del tempo
nuovo. I suoi testi non sono esplicativi, tecnici, storico-critici,
ma si basano solo sulle impressioni del momento che lui ricavava
davanti a un’opera d’arte, ed egli non diceva al branco cosa
vedere, ma anche come vederlo. Esaltati da questa sensibilità
acquisibile a prezzo contenuto, i progenitori dello stesso inglese
che, al fianco di Candido, sta attaccando il secondo panino con
salamella iniziarono a venire in Italia per provare esattamente ciò
che Ruskin aveva imposto loro di provare.
Oggi
manca una figura simile, un Ruskin che guidi le impressioni della
massa. Su LinkedIn direbbero che è una “posizione libera”, e
magari potrebbe rivelarsi proprio il signor Bucaneve
l'individuo-chiave di questa rinascita delle croniche
di
viaggio.
L’entusiasmo
però dura poco ed egli si rende conto che il nostro tempo non ha
bisogno alcuno di una figura simile, visto che quel ruolo è già
coperto in maniera liquida dai blogger di viaggi, dai redattori degli
inserti sul lifestyle di Repubblica, dalla gamma di esperienze
pregresse di colleghi e amici che hanno già vissuto certe cose che
anche tu devi vivere, pena la morte civile. In maniera molto più
democratica di quanto avvenisse ai tempi di Ruskin, oggi si è tutti
faro e illuminato, indicatore e indicato, insegnante e discepolo allo
stesso tempo. Inoltre il diktat emozionale non è più limitato solo
all’arte, ma si estende ai consigli di turismo gastronomico diffusi
da soubrette in disfacimento o dalle indicazioni sui locali
imperdibili di Shangai impartite da dj che non hanno mai lasciato
Borgofiorito.
Candido
rimette a posto il fumetto e ripone l'iPod nel bagaglio a mano,
attorcigliando svogliatamente le cuffiette. Osserva fuori dal
finestrino e pensa al clima: l’idea del freddo lo perseguita da
sempre, sin da quando si è reso conto di come, per gli altri, lui si
doveva rapportare al caldo. Quando sapevano che i suoi genitori erano
di origini meridionali, gli abitanti di Fannullopoli iniziavano a
esaltare il calore mediterraneo, calore che lui non aveva mai
conosciuto, avendo respirato solo la nebbia diaccia che allora
avvolgeva la Valle dell'Iride. Come se poi le estati fannullopolitane
non fossero più torride e soffocanti di quelle marine e ventilate
del sud. Le cose erano peggiorate quando aveva iniziato a rapportarsi
con gli stranieri; in particolar modo, con quelle scollacciate
ex-sovietiche convinte che tutta l’Italia fosse un solo, enorme
golfo di Napoli. Sarà stato per reazione o forse perché era nato a
febbraio oppure perché in inverno, a scuola, viveva i suoi unici
momenti di socialità, ma aveva iniziato a detestare il caldo. Gli
anni Ottanta- quelli che che lo avevano accolto nel mondo dei giovani
adulti -lo avevano aiutato a coltivare quell’odio. A quei tempi,
Candido sognava di intraprendere la carriera di cantante, ed era uno
dei giovani più ferrati in ambito musicale: suonava svariate ore al
giorno, cantava in un paio di band, andava ai concerti e comprava
vagonate di dischi. Dal momento in cui si imbattè nei Visage che
cantavano di estati piovose in stazioni grigie, il suo immaginario si
era affollato di cantanti e musicisti che sulle copertine dei loro
dischi erano perennemente bardati in cappotti pesanti come armature.
La criofilia del signor Bucaneve aumentò quando, come
rappresentante, dovette adattarsi ai trentacinque gradi dell’afa di
certe amene località di provincia, dove era costretto ad indossare
ridicole camiciole dalle maniche corte e a rinchiudersi nel bozzolo
di stupidi completi pagati due lire; e solo in auto, immerso
nell'aria condizionata al massimo del suo potenziale, riascoltava
quei vecchi dischi provenienti da un mondo in cui, per lui, si
usavano solo pesanti stoffe
e si viveva in mezzo alla nebbia e al grigiore.
Nessuno
obbedisce alle indicazioni registrate che intimano di non muoversi
fino all’arresto completo del vettore. Tutti liberati delle cinture
di sicurezza, hanno prontamente riattivato i cellulari e si sono
avventati sulle cappelliere in attesa di sapere verso quale
portellone dovranno ammassarsi per riconquistare la libertà. Appena
Candido esce dall’aereo, viene avvolto da un semiautunno
appiccicoso che i locali considerano forse un clima più estivo che
autunnale, visto che si aggirano svestiti come George Michael e
Andrew Ridgley nel video di Club
Tropicana:
è
quindi ovvio che a Bomburgo si ammalino spesso.
Ma
ora non è tempo di pensare agli usi e costumi locali, bensì al
lavoro per cui il signor Bucaneve è stato mandato fin lassù:
chiudere un importante affare con un arredatore di prestigio del
posto. E così, Candido si ritrova su un autobus che compie un giro
di circonvallazione senza mai fermarsi, un anello lunghissimo che dal
ridotto centro di Bomburgo attraversa prima una spessa fascia di
edifici decadenti, negozi chiusi, fabbriche abbandonate, take away
indiani che occuperebbero per mesi i NAS, e poi si perde in una
periferia fatta di casette e capannoni tutti uguali, tanto che sarà
dura trovare l'azienda in cui lo aspettano. Però lui è un
professionista: ha le indicazioni salvate sul suo BlackBerry
aziendale, anche se, in questo preciso istante, sembra distratto
dalla rassegna di umanità che la strada gli sta offrendo. In giro,
infatti, non si vedono tracce dello stile di rock band che da
cinquant'anni vengono ascoltate in tutto il mondo, così come a
nessun angolo Candido riesce a scorgere famosi attori teatrali ed
eleganti modelle. Anzi, tutto ciò che egli vede sono ragazze grandi
almeno il doppio delle sue connazionali, contraddistinte da deretani
giganti e pance strabordanti.
Ci
sono stanze disordinate e dai muri scrostati che teniamo nascoste ai
visitatori, preferendo accoglierli nel salotto buono. È una tipica
tendenza italiana che i bomburghesi hanno applicato in un altro
settore: mostrano al mondo Kate Moss e poi nascondono, a fatica,
questo eccesso di carni che non è floridezza emiliana, ma un grasso
malefico e insano come i cibi fritti che le girls
consumano a ogni ora. Adele e Susan Boyle dunque non sono eccezioni,
sono la regola. Lo spettacolo più indecoroso è vederle sfilare alle
otto di sera, mentre in gruppo si preparano a una notte di follie.
Mescolano burlesque e puttanesque, girano in gruppi dai nomi come The
Anal Sphincters, identificate da t-shirts troppo aderenti e qualcuna
brandisce enormi falli rosa gonfiabili.
Il
signor Bucaneve ha da poco concluso l'affare, assicurando alla sua
azienda lavoro per un mese e mezzo e riuscendo così a dare un senso
a questo viaggio da incubo. Decide di riavvicinarsi al centro, di
raggiungere il suo albergo e di mangiare qualcosa, ma dopo un’ora
di circo alcoolico andrà a letto per poter vivere una notte con le
parti noiose tagliate. Verrà ridestato spesso da scoppi di urla e
dal frastuono dei locali, automaledicendosi per aver scelto un
albergo a cento metri dal vicolo-cloaca in cui è ubicato qualche
club esclusivo. Quindi, sveglia alle 6.30, salutato dallo stesso
cielo chiaro e livido contro cui aveva chiuso le tende alle 23,
perché a queste latitudini in estate la notte è piccolissima.
Check-out subito e fuga nel vuoto umido della zona pedonale, con
tutti i negozi chiusi, i bar inesistenti e un velo d’acqua viscida
che ricopre tutto senza far luccicare nulla; ritrova le stesse
ragazze, sfatte, che tornano a casa. Sono seminude nonostante il
clima da ritirata di Russia, ancora più incerte su brutti tacchi che
prima o poi le uccideranno, riempite da quantità di alcool micidiali
anche per un marinaio e si sostengono a vicenda. <<E gli
uomini?>>, si chiede Candido guardandosi attorno. Del resto, ha
visto solo un esercito di donne deformi e volgari che lo hanno fatto
rimpiangere le tamarre che ascoltano Emma Marrone nel centro
commerciale Terronava. Eppure gli uomini, per quanto sparuti, anonimi
e intimiditi dalle valchirie che ieri sera li assalivano se si
sentivano fissate, ci sono, esistono e hanno un solo interesse
divorante: il calcio. Perché se i Beatles sono icone rare come un
cartello di attraversamento cervi nel centro di Sassari, il Bomburg
F.C. è un’onnipresenza angosciante. Non si parla che di calcio,
non si legge che di calcio; il novanta per cento dei polpacci
maschili è tatuato con il crest
della squadra locale. Il calcio è un tale tarlo che persino il
cameriere asiatico di un ristorante giapponese nascosto in uno
scantinato, dotato di un vocabolario inglese che non supera le venti
parole, quando scopre che il signor Bucaneve viene da Fannullopoli,
gli domanda se conosce Balotelli.
Ma Candido non conosce Super-Mario, e l'omino con gli occhietti a
mandorla non vende il caffè.
Così,
nell'attesa che catene tipo Costa's o Starbucks aprano i battenti, il
rappresentante ripensa a quanto ha visto, rilegge i suoi appunti di
viaggio e capisce che le sfilate delle donne sassoni sono la
dimostrazione che Elisabetta I, Vittoria, Elisabetta II e la Tatcher
non potevano che nascere e ottenere il potere qui. Gli torna in mente
Candy Bovini, quella compagna di scuola che, trent'anni prima,
leggeva solo poesie di letterate bomburghesi avulse dal mondo: anche
lei era obesa e ubriaca, e spesso veniva ritrovata appoggiata ai muri
del centro di Fannullopoli, inutilmente sostenuta da un paio di
amiche che dopo l'orale della maturità erano sparite e non avevano
più voluto sapere niente di lei. Giustificava il suo nome cafone col
fatto che era di madre anglosassone- cosa assolutamente non vera -e
si sforzava di emulare l'accento straniero quando meglio poteva.
Candido se la immagina dietro il bancone del gastropub appena aperto:
ormai si è dimenticata anche quelle tre parole di madrelingua, non
legge più Virginia Wolf, ha dei gravi problemi di memoria da quando
è stata rimpatriata da Ibiza in coma etilico e deve avere il fegato
ridotto come le strade di Bomburgo a quest'ora. Però Candy adesso è
felice, e alle scuole superiori non lo era. E neanche il signor
Candido Bucaneve voleva esserlo.