Nel 2008, Guillermo del Toro nota in un festival horror Mama, un cortometraggio girato in un unico piano sequenza e diretto dal regista di clip pubblicitari Andres Muschietti. Neanche cinque anni dopo, è proprio del Toro a dare fiducia a Muschietti e a produrre il suo esordio cinematografico: il frutto della collaborazione è La madre, un lungometraggio nato proprio come sviluppo di Mama.
E, manco a dirlo, del Toro stravince la scommessa.
La storia di due bambine ritrovate in un casa nel bosco, le domande che sorgono attorno alla loro misteriosa sopravvivenza, la difficile condizione in cui gli zii adottivi si ritrovano, sono solo i pretesti narrativi architettati da Muschietti per affrontare un discorso antico quanto la civiltà stessa: l'amore materno morboso, folle, incompreso e incomprensibile. Lo fa portando a casa un film horror eccellente in pressochè tutto, dalla recitazione "difficile" delle bambine alla bravura di Jessica Chastain (che di film in film, si rivela come una delle interpreti più versatili in circolazione), da una fotografia sobria a degli effetti speciali molto visionari ma mai abusati (il finale "naturalista" è l'unico momento dove la fantasia vola alta, svelando appunto il lato più deltoriano del film). La madre non è tuttavia un Labirinto del fauno diretto da un altro regista, nè un cinefumetto da lettori Vertigo: è un horror genuino, sincero, fatto da qualcuno che dimostra di avere davvero qualcosa di valido da raccontare e di crederci fino in fondo. E se dunque, da un lato, il film ha portato alla ribalta un talento registico da non sottovalutare, dall'altro ribadisce che del Toro sa essere un ottimo talent-scout e un bravo produttore: scrivo "bravo", perchè non saprei definire altrimenti un autore che finanzia un esordiente senza pretendere che questi adotti per forza il suo stile, la sua impronta. Muschietti non esige la spettacolarità, non viene dal fantasy, nè sembra essere interessato all'horror più "fumettistico" (penso al recente Non avere paura del buio, altra produzione di del Toro diretta proprio dal fumettista Troy Nixey); piuttosto, si dimostra essere più devoto ad un cinema horror oscuro, introverso e fiabesco. I quindici milioni di budget, la presenza di una computer-grafica scarna e poco invasiva, sono solo l'ennesima riprova che non contano i soldi, ma il mestiere, la sensibilità e tutti gli altri aspetti che possono fare di un regista pubblicitario un autore.
Se lo studino bene quei mestieranti di Hollywood intenti a puntare miliardi su assurdi remake, reboot e resticazzi: le idee ci sono, e persone in grado di saper lavorare bene anche. Basta avere un po' di fiducia.
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