Uso questo 5 marzo 2013 come pretesto per parlare di Lucio Battisti, che oggi avrebbe compiuto settant'anni. Lo avrebbe fatto senza magari abbandonarsi a "nostalgici" e ipocriti festeggiamenti paratelevisivi, come sono invece soliti fare i suoi colleghi. Infatti, il suo ritiro dalle scene e il suo volontario stato di isolamento difficilmente avrebbero trovato una qualche forma di rispettosità in questi tempi duri, dove quella scorza di privacy rimasta è venuta meno, sotto i colpi dei nuovi signori del gossip (televisivo o stampato, non fa alcuna differenza). Basta rivedere i pochi interventi televisivi (su YouTube ci sono praticamente tutti) per capire che Battisti, nella sua timidezza geniale e giustificata, era destinato a sparire dalle scene, a ritirarsi da tutto e da tutti e a comporre musica vent'anni avanti a quella di chiunque altro, sia per forma che per contenuti. Collega di falsi santoni che dai loro attici proclamavano rivoluzioni e ritorni alla natura, Battisti non solo abbandonò coraggiosamente il pubblico, ma fu il primo vero isolazionista moderno italiano.
Come ho letto alcuni giorni fa, "nella storia della Musica Italiana, dopo Giuseppe Verdi c'è stato solo Lucio Battisti": è assolutamente vero. Non parlo, ovviamente, di stile o genere, quanto di come il pubblico ha recepito e successivamente "metabolizzato" la musica dell'uno e dell'altro. Infatti, tutti conoscono almeno un'aria di Verdi, così come chiunque ha presente l'incipit de La canzone del sole, e non solo; che vengano suonate a La Scala o da "cinque madrigalisti moderni", le arie verdiane risultano essere meravigliose, così come le canzoni di Battisti saranno sempre bellissime, sia che le reinterpretino cover band di livello (gli Innocenti Evasioni), sia che le strimpellino dei campeggiatori abusivi intorno a un falò di ferragosto. Eppure, proprio le canzoni degli esordi, quelle apparentemente più semplici e pensate per un pubblico popolare, risultano già nettamente avanti: si parla del 1969-1972, anni in cui vengono dati alle stampe Lucio Battisti, Vol. 2, Emozioni, Amore e non amore, Vol.4 e Umanamente uomo: il sogno. Sono forse gli unici dischi nei negozi a non parlare di politica (la regola del tempo era <<Chi parla di politica è di sinistra, chi non ne parla è fascista>>). La qualità musicale è senza precedenti: Battisti mette in musica le storie di vita quotidiana di Mogol, e lo fa rinunciando alla "coverizzazione" di chi lo ha preceduto, dimostrando non solo una grande autonomia artistica ma anche una grande padronanza di mezzi e linguaggi prevalentemente sconsciuti ai musicisti italiani del tempo. Le travolgenti ondate psichedeliche poste alla fine di Anna, gli archi de I giardini di marzo, l'avveniristico finale di Non è Francesca, i pezzi strumentali contenuti in Amore e non amore. A critici imbecilli e ascoltatori rincoglioniti sarebbero bastate le <<discese ardite>> o il vestito <<nero con i fiori non ancora appassiti>> per bollare Lucio Battisti (che, badate bene, non scriveva i propri testi) come portavoce canoro dell'estrema destra, e lui per primo non avrebbe mai impedito loro di pensarla in quel modo: un comportamento, il suo, da vero artista liberale e coraggioso, specie se si pensa ad un decennio in cui tutto doveva essere politicizzato. E mentre i testi passano sempre di più in secondo piano, la musica diventa sempre più importante per Lucio: album di altissimo livello come Il mio canto libero (1972) o Il nostro caro angelo (1973) lo dimostrano. Ma è con Anima latina (1974) che Battisti si supera: fonde il progressive rock con i ritmi del Sud, non rilascia alcun singolo, azzera i ritornelli, tiene bassissime le tracce vocali, fa trionfare il proprio genio compostivo. Ad oggi, Anima latina andrebbe considerato come un punto di non ritorno per la musica italiana, un capolavoro assoluto in cui era già presente l'ultimo Battisti. Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera (1976), Io tu noi tutti (1977), Una donna per amico (1979) e Una giornata uggiosa (1980) sono, da una parte, nuove occasioni di grandi esperimenti (da R&B al Funk, dalle primitive batterie elettroniche ai synth in grande abbondanza), dall'altra mostrano che oramai i testi di Mogol sono solo un "pretesto", un riempitivo per composizioni sempre più grandi. Così, i due "divorziano", e Battisti pubblica il suo album più odiato, E già (1982). Senza dubbio, i testi di Velezia (la moglie di Lucio) sono abbastanza penosi, ma lasciamoli da parte e concentriamoci sui muri di sintetizzatori, sulla qualità del primo disco synth-pop italiano (a quei tempi solo in Inghilterra facevano cose simili) e sul fatto che, mentre Lucio cantava Windsurf Windsurf, a Sanremo trionfava la Felicità di Al Bano.
Passano ben quattro anni prima che nei negozi faccia capolino un altro disco di Battisti, e quando succede è una rivoluzione: Don Giovanni è il primo dei cinque album nati dalla collaborazione col poeta Pannella. Stavolta musica e testo vanno di pari passo, stravolgono e annullano la forma canzone e si affacciano su universi elettronici nuovi e inesplorati. Nascono album veramente meravigliosi, difficili e isolazionisti, come L'apparenza (1988) e La sposa occidentale (1990, e in certi passaggi suona praticamente techno). Il pubblico si allontana, lasciando perdere le venature minimal e dub del successivo Cosa succederà alla ragazza (1992) e il definitivo, funebre Hegel (1994), evitato e definito "inascoltabile" dagli stessi che quattro anni dopo avebbero gridato <<Lucio era un genio!>>.
Spero che la ricorrenza di questi suoi mancati 70 anni non trovi sfogo in discorsi del tipo <<Se Lucio fosse vivo...>> o <<Se Lucio facesse questo...>>. Non pensiamo a ciò che Battisti potrebbe fare da 70enne: cogliamo piuttosto i frutti ormai maturi del suo lascito artistico. E fidatevi, sono frutti molto saporiti.
Passano ben quattro anni prima che nei negozi faccia capolino un altro disco di Battisti, e quando succede è una rivoluzione: Don Giovanni è il primo dei cinque album nati dalla collaborazione col poeta Pannella. Stavolta musica e testo vanno di pari passo, stravolgono e annullano la forma canzone e si affacciano su universi elettronici nuovi e inesplorati. Nascono album veramente meravigliosi, difficili e isolazionisti, come L'apparenza (1988) e La sposa occidentale (1990, e in certi passaggi suona praticamente techno). Il pubblico si allontana, lasciando perdere le venature minimal e dub del successivo Cosa succederà alla ragazza (1992) e il definitivo, funebre Hegel (1994), evitato e definito "inascoltabile" dagli stessi che quattro anni dopo avebbero gridato <<Lucio era un genio!>>.
Spero che la ricorrenza di questi suoi mancati 70 anni non trovi sfogo in discorsi del tipo <<Se Lucio fosse vivo...>> o <<Se Lucio facesse questo...>>. Non pensiamo a ciò che Battisti potrebbe fare da 70enne: cogliamo piuttosto i frutti ormai maturi del suo lascito artistico. E fidatevi, sono frutti molto saporiti.
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