PREMESSA
Ormai cerco sempre di preparare per tempo la "reliquia" mensile destinata a Trame. Dopo il lungo La canzone di Janie dello scorso mese, per questo marzo 2013 ho scelto una composizione più breve e leggermente più recente. A me non piace, ma non sempre si deve postare solo ciò che ci piace. Buona lettura.
L'ATTESA
Il
Nina Bar era un luogo alquanto isolato e insolito, specie se ci si
sofferma a pensare al tipico Internet Caffè dell'Italia del Nuovo
Millennio. Con i suoi interni in legno e trofei di caccia appesi alle
pareti rappresentava una sorta di ultimo baluardo collinare per quei
pochi avventori che ancora non si erano arresi ai cibi surgelati e
alle patatine fritte consumate come unica portata di un pranzo. Lando
e sua moglie Ida erano i proprietari del Nina dalla fine degli anni
'70, quando Franco (detto “Bocca”) glielo vendette per pochi
soldi, prima di ritirarsi in un monolocale freddo e maleodorante, ove
morì nel giro di qualche mese.
In
una sera di fine ottobre, Lando si ritrovò a versare Jeger nel
bicchiere di un avventore notevolmente più giovane dei contadini
che, alla stessa ora, si ritrovavano per il rituale del grappino e
briscola. Non avendolo mai visto prima, lo squadrò bene da capo a
piedi, rimanendo però sempre concentrato sul proprio lavoro: portava
scarpe da tennis che un tempo dovevano essere state bianche, jeans
scuri e stirati, un parka verde militare da cui spuntavano fuori una
cravatta nera e il colletto bianco di una camicia; nel tirare fuori
da una tasca interna il portamonete, lasciò intravedere anche una
giacca gessata color Bordeaux. L'esile e bianco collo induceva a
pensare che il ragazzo fosse magro; gli zigomi erano pronunciati, gli
occhi scuri e privi di espressione, il viso sbarbato, i capelli
castani non molto ben pettinati. Lando vide il giovane raccogliersi
nel palmo della mano destra molti più spiccioli di quanti ce ne
fosse bisogno e allungare lo sguardo dietro il bancone, verso la
piccola mensola dove erano esposte le sigarette. <<Un pacchetto
di Benson, per piacere...>> disse scandendo bene le parole e
lasciando intendere una dizione ottima. <<Effettuate servizio
ai tavoli?>> chiese all'anziano gestore indicando una minuta
sala ristorante alla sua sinistra. <<Sì... vuole mangiare
qualcosa?>> domandò Lando cercando di assumere una dizione
corretta quasi come quella del suo cliente. <<No, no...è che
aspetto un amico e volevo sapere se dopo potessimo ordinare da bere
al nostro tavolo...>>. La risposta fu secca:
<<Sicuramente...>>.
Fabri
si sedette al tavolo, di fronte ad un paniere con della schiacciata
secca. Ripensò a quando sua madre la portava a casa e lui ne
mangiava fino a scoppiare. Odiava questo tipo di ricordi, ma amava
vivere nel passato. Si accese una Benson e sentì che era la prima di
una lunga serie. Questa è una serata da sigarette spente in un
“crogiuolo di memorie” pensò. Buttò uno sguardo attraverso
la vetrata del bar, bagnata da poche gocce di pioggia autunnale, e
controllò se il suo Gran Cherokee del '97 desse fastidio a qualche
nuovo arrivato. Aveva comprato quella macchina nel terzo dei suoi
grandi trasferimenti nazionali, quando era andato ad abitare vicino
al lago di Santo Stefano con la bella Marianna. Si era improvvisato
pittore ed era riuscito, con una vendita di quasi tutte le sue opere,
a pagare in anticipo quasi un anno di affitto di una bella villa. Gli
ampi saloni straboccavano di oggetti d'arte di ogni tipo, giunti in
eredità da un ricco zio di Marianna: erano perlopiù cianfrusaglie,
che però Fabri riusciva a far apparire, agli occhi dei propri
ospiti, come autentici capolavori barocchi e ottocenteschi. Questo
era dovuto alla sua abilità retorica e alla sua conoscenza profonda
dell'arte. <<Non sono un falsario, ma un rivalutatore!>>
amava ripetere alla compagna. Il gioco andò avanti per diverso
tempo, con personalità illustri che si recavano sempre più
frequentemente in quel museo domestico e le entrate finanziarie che
andavano di pari passo con l'afflusso di visitatori. Le signore,
anziane matrone piene di gioielli, si facevano spesso catturare dalla
parlantina pacata e mai fastidiosa di quel giovane dai modi garbati e
dal modo di apparire elegante e disinvolto, arrivando a rilasciare
assegni milionari. Questi colpi andarono a segno fin quando non si
presentarono svariati critici, che bollarono gli oggetti della villa
come “ciarpame” e scrissero su riviste e quotidiani la triste
storia di una giovane coppia che, per farsi spazio nel bel mondo, era
costretta a spacciare una pessima raccolta di oggetti d'arte per
capolavori a dei vecchi ricchi ed indifesi. Non ci furono multe o
processi, solo qualche scandalo. Marianna lasciò Fabri e tenne la
casa sul lago. Ripartito, andò a cercarsi nuovamente una ragazza
benestante e una professione che gli permettesse di assicurarsi un
buon posto nella società. Non era la prima volta che andava a finire
così, con la ragazza scomparsa e il giovane costretto a ricorrere a
nuovi trucchi. Eppure un tempo non succedevano queste cose ad uno
come Fabri, che già in giovane età aveva trovato l'amore e cercava
di assicurarsi un futuro. Nessuna ragazza con cui mise in atto i suoi
piani diabolici e le sue delinquenze fu mai amata realmente; solo la
prima, quella per cui se ne era andato da un paese che sorgeva
qualche chilometro sotto il Nina Bar, poteva aver ricevuto il suo
amore, tutto il suo amore. Peccato che la avesse uccisa senza pietà,
quando aveva scoperto che era sul punto di lasciarlo. Il cadavere era
stato bruciato da lui stesso e ogni traccia cancellata: era stato
bravo. Fuggì dunque dalle colline e iniziò la sua vita di
intraprendente falsario a giro per tutta la nazione. Allora aveva
compiuto da poco 18 anni: ne erano passati più di 10. Fabri era
ritornato al paese per costituirsi, per liberarsi dal pesante
fardello che gli albergava nel cuore da oltre un decennio. “L'amico”
che aspettava quella sera al bar non era altro che Ivano, il
carabiniere locale, il primo che avrebbe avuto l'onore di sapere la
vera storia. Ogni minuto passato senza che l'uomo di legge si
presentasse era, per il giovane, simbolo di ulteriore colpevolezza,
di un peccato sempre più difficile da espiare. Davanti a Fabri, una
delicata distesa di bicchieri prendeva forma sul tavolo, circondando
un posacenere ormai stracolmo di Benson. Le luci della saletta
ristorante erano veramente basse e scaraventavano gli avventori in
uno stato di sonnolenza inaudito; nessuno osava alzare gli occhi
verso la televisione, ma, ad un certo punto, Fabri lo fece. Si vide
dentro la scatoletta vetrata, a confessare tutto e ad essere ripreso
dai TG, poi nelle interviste carcerarie e con quei pezzi di merda che
lo invitavano ad ogni tipo di seminario per rimettersi in
carreggiata, per ritrovare la retta via. La galera era il posto per
lui, un posto che sapeva di meritarsi, un soggiorno che aveva
rimandato per tanti anni. Guardò nuovamente attraverso la vetrata:
nessuno. Pensò di fuggire anche dal Nina Bar, da Ivano il
carabiniere, dal paese in cui aveva trovato l'amore che gli aveva
rovinato una vita: era abituato a fuggire e amava farlo. Meditò a
lungo se andarsene anche quella sera e tornare fra altri 10 anni, ma
non voleva più scomparire. La testa gli doleva all'inverosimile a
causa di quel flusso di pensieri; ci voleva la medicina. Estrasse dal
parka una confezione di Aspirina e buttò giù tre pasticche di fila,
accendendosi una sigaretta subito dopo. <<Mi scusi...>>
disse quando Lando passò vicino alla porta <<gradirei un altro
bicchierino...>>. Il proprietario lo guardò con aria
compassionevole e si diresse verso il bancone. Gli occhi vuoti di
Fabri, forse senza senso e liberi da ogni traccia di felicità, si
illuminarono per la prima volta quando vide arrivare un Defender con
i lampeggianti sopra e con scritto “Carabinieri” sulla fiancata.
Lando si avvicinò al forestiero imbambolato, con un bicchiere di
Grand Marnier nella mano sinistra e un tovagliolo bianco in quella
destra. <<Questo lo offre la casa...>> sibilò.
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