Ha dovuto aspettare tredici anni Enzo D'Alò prima di vedere sul grande schermo quello che avrebbe dovuto essere il suo terzo lungometraggio animato, cioè Pinocchio. Troppo tempo è passato, anche a causa di quella costosissima porcheria firmata Benigni, causa di numerose traversie iniziali. Allora D'Alò si dedicò ad altro, portando avanti prima Momo (2001), poi Opopomoz (2003). E dopo ben nove anni di lontananza dal cinema, il regista napoletano ha fatto capolino all'ultima edizione del festival di Venezia, dove il suo Pinocchio è stato- misteriosamente -presentato. Alcuni cinici critici hanno detto che se Lucio Dalla (autore della colonna sonora e voce del Pescatore Verde) non fosse morto, forse Pinocchio non sarebbe mai uscito. In realtà, dobbiamo ringraziare i produttori francesi, belgi e lussemburghesi, gli unici che si sono preoccupati di preservare una perla di animazione come questa.
La storia è fedele al libro molto più di quanto lo fosse quella della versione disneyana o il film di Benigni, e la cosa più bella è che Pinocchio è un cartone italiano fino al midollo. I bellissimi personaggi partoriti dalla fantasia di Collodi sono calati in scenografie che sono delle piccole opere d'arte (non a caso, l'autore è Mattotti), le voci sono perfette (perfino Rocco Papaleo che doppia Mangiafoco risulta efficace) e le canzoni scritte da Dalla non risultano mai "pesanti" o becere, anche se per me, al cinema, i punti più bassi si toccano sempre quando qualcuno canta.
Insomma, qualunque sia l'età dello spettatore, il Pinocchio di D'Alò (dedicato al padre del regista e a tutti i "babbi babbini del mondo") convince, colpisce e commuove, dimostrando che D'Alò è tornato al grande schermo con la sua opera migliore dai tempi del bellissimo La freccia azzurra e con un Pinocchio in grado di fare compagnia a quel vecchio capolavoro di Comencini. Consigliatissimo
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