venerdì 6 aprile 2018

L'anima e le ali [Extra]

La settimana prima di pasqua comincia alla grande. Il martedì grasso è un ricordo lontanissimo, così come dal mercoledì delle ceneri sembra passato un anno. La pioggia, la neve, i quaranta giorni di digiuno e penitenze quaresimali (tanto rivendicati da chi la sera guarda Rete4 nella speranza che qualcuno se ne esca con una barzelletta sul ramadam) sono passati alla velocità del vento. E' un martedì pomeriggio, esco di lavoro, torno a casa giusto in tempo per farmi una doccia e alleggerirmi di abito e riparto alla volta di Siena: Martina si laurea in medicina alle 16:00 e io non posso mancare. Rotolo verso la superstrada con The Captain and Me, album di altissimo valore dei Doobie Brothers, a tutto volume nello stereo e mi chiedo come mai nessuno produca più musica così.
Quando ci siamo scritti nella chat di Facebook a metà mattinata, Martina mi ha detto che forse sarebbe venuta anche Luna. Luna lasciò scuola il 24 novembre 2007. Era un sabato ed era stata assente per buona parte della settimana. La aveva accompagnata sua mamma, che però si era dovuta fermare in segreteria a piano terra per sbrigare le pratiche del ritiro, mentre Luna era venuta a salutarci. Allora me ne resi conto solo in parte, ma fu uno dei primi veri fulmini a ciel sereno della mia vita. Avevamo legato molto negli ultimi due anni, e per quanto lei- come il sottoscritto -non sguazzasse in acque troppo limpide su un piano di rendimento scolastico, mai mi sarei aspettato che se ne andasse ad appena due mesi dall'inizio dell'ultimo anno. Non ricordo cosa le dissi, ma provai un gigantesco senso di dispiacere e abbandono. Ecco cosa scrissi allora sul diario:
Che orrore e che errore. Non ho molto da dire su questo adieux, ma è un saluto doloroso e come tale non me la sento di accettarlo per niente. Per quanto ne so e per il punto a cui sono arrivate le cose, potrei essere il prossimo. Il problema è che avevo talmente tante idee in testa che ora sono concretizzabili solo a metà. Sono davvero sconcertato: ma non poteva prendere una decisione del genere l'anno scorso? Sarebbe stato meglio. Quest'anno era ricominciato tutto in maniera più intensa, più solida, più bella. Cazzo, un anno fa eravamo legati ma non fino a questo punto! E ora, porca puttana, mi sento strano. Una settimana fa eravamo a giro insieme a congetturare il futuro, a fare acquisti, ecc. e ora? Ora sarà tutto diverso. 
Ormai sono abituato a veder progressivamente uscire dalla mia vita persone molto importanti e a decretarne l'assoluta insostituibilità; ho preso coscienza, da tempo, che numerose figure per me essenziali sono divenute poco più di presenze passeggere, spettri che risvegliano per qualche ora o- ad andar bene -per qualche giorno umori e sensazioni che pensavo sepolti fra l'adolescenza e la maturità. Ma all'epoca ero nuovo a questo genere di cose. Sette giorni prima di quel fatidico 24 novembre ero andato con Luna a Firenze. Non lontano dalla stazione c'era un negozio di street-wear, dove lei mi aveva fatto provare una maglietta e me l'aveva regalata per i miei diciotto anni. Poi eravamo tornati a casa sua a Certaldo, avevamo cenato, guardato Blow con Johnny Deep, fumato un paio di sigarette riflettendo sulle cose importanti della vita ed eravamo andati a letto. Dalla mattina in cui mi abbracciò sorridendo e salutandomi, ho rivisto Luna altre due volte: la prima, il 5 agosto 2008 a Siena, quando uscimmo a cena per festeggiare i diciotto anni di Maggie e lei, neopatentata, mi riaccompagnò a casa con una Ypsilon nuova di pacca annunciandomi il suo imminente trasferimento a Roma, e poi il 17 marzo 2017 a un'impegnativa cena di classe dove a fatica riuscimmo a domandarci cosa stessimo facendo di lavoro. Due cose di lei conservo ancora gelosamente: quella t-shirt da raver (che di estate ancora indosso con fierezza e piacere) e la compilation Land di Patti Smith, masterizzata su doppio cd e con le liner notes pazientemente ricopiate a mano. Per il resto, nè una telefonata, nè un messaggio: ma a entrambi deve esser stato bene così.
La discussione di Martina si protrae fino alle 17:30, ma io non smetto di tener d'occhio le due porte di ingresso dell'aula magna. Un altro paio di tesi dopo la sua e la commissione si ritira per discutere sui voti dei laureandi. Ne approfitto per uscire a fare una telefonata e a prendere una boccata d'aria ed ecco che me la vedo venire incontro: Luna, elegante e impeccabile come al solito, capelli più lunghi di come li ricordavo (lei che al liceo non disdegnava rasarsi) e un sorriso smagliante. Ci abbracciamo e iniziamo a parlare come si ci fossimo salutati all'uscita da scuola delle 13:30, poi le indico Martina. Mi domanda se hanno già letto il voto, ma le dico di no, che è arrivata in tempo. Il 110 viene annunciato meno di mezz'ora dopo: seguono l'alloro, gli abbracci, i baci, le strette di mano, lo spumante. Lasciamo Martina al suo momento di gloria (meritatissima), e ci fermiamo a ragionare con Riccardino: noto con piacere che Luna si ricordi di me come di un intenditore di musica e di un fine lettore. Finiamo in un angolo io e lei a parlare dei ching, dello smettere di fumare, della sobrietà, della collezione dei libri Adelphi della sua mamma, di una maglietta regalatale da una militante americana di Greenpeace mentre eravamo in Grecia (luglio 2005) e che tuttora indossa la sera per andare a dormire, delle nostre rispettive relazioni sentimentali e del loro auspicato futuro prossimo, della trilogia marsigliese di Izzo (che io non ho letto ma che mi consiglia), di una zuppa di pesce francese che pare sia molto buona, del fatto che anche lei, prima o poi, dovrebbe andare in Marocco, del prezzo incivile delle case a Firenze, della bellezza di non uscire più fuori la sera, del vuoto pneumatico del clubbing, e infine, per citare Ciccio De Gregori, "degli amici che vanno e ritornano indietro/ e hanno perduto l'anima e le ali". Martina non è mai stata fra questi, mentre Luna temevo che potesse esserlo. L'ho temuto per più di dieci anni. Erroneamente, ci convinciamo che una persona che sparisce o che per molto tempo non si fa vedere e non si fa sentire abbia qualcosa da nascondere, che la sua vita sia una merda, la sua personalità si sia disintegrata in mille pezzi, che i fallimenti abbiano di gran lunga superato i traguardi. Un timore precostituito da anni di malignità e cattivi pensieri (pantano nel quale, ahimè, sono immerso quasi quotidianamente e a livelli diversi) spazzato via in una manciata di minuti. L'anima è intatta, le ali non si vedono, ma sono convinto che sotto quel cappottino grigio, saldamente legate alla sua persona, ci sono ancora e funzionano bene.


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