domenica 28 maggio 2017

"One more silver dollar": in gloria eterna di Gregg Allman (1947-2017)

Ad ogni morte "illustre" mi dico che devo evitare di scivolare nel sentimentalismo da strapazzo, di sprofondare nel rimpianto di artisti più o meno celebri che per altro non ho quasi mai conosciuto personalmente, di incappare nella solita ragnatela della retorica, ma, di fondo, il mio essere un rocker con un innato senso del blues non mi permette niente di tutto questo. 
E così, all'infuori di un breve omaggio scritto in ricordo di Chris Cornell una decina di giorni fa sulla mia pagina Facebook, ho evitato di buttare giù fiumi di inchiostro più o meno lunghi o di sparar cazzate sulla "maledizione del grunge" (cosa che, purtroppo, è spettata ad una massiccia fetta dei quotidiani, i cui cronisti si sono dimostrati, come al solito, vergognosi). D'altra parte, tanti e bellissimi sono stati gli articoli, i post, i pensieri dedicati a Cornell: ne ho letti di splendidi scritti da fior fiore di critica e pure molti, perfino più accorati e commossi, redatti dai fans.
Ma quando stanotte, intorno alle 02:00, ho appreso della scomparsa di Gregg Allman, non ce l'ho fatta: ho aperto il portatile e iniziato a battere sui tasti per dare l'ultimo saluto a chi, assieme al fratello maggiore, ha regalato al mondo una delle band più influenti del rock di ogni epoca e il cui culto- parimenti a quanto accaduto nell'area psichedelica coi Grateful Dead -dura tuttora.
Gregg Allman (8/12/1947-27/05/2017)
Da ormai un anno gli appassionati erano in attesa del nuovo album solista di Gregg, quel Southern Blood che la Rounder Records aveva annunciato già nella primavera del 2016 e di cui si vociferava l'uscita a gennaio. La sua pagina Facebook, mai avida di contenuti e aggiornamenti, tendeva però a pubblicare sempre meno notizie sulla lavorazione del disco e di contro, sempre più frequentemente, notizie di annullamenti di concerti dovuti ai problemi di salute del cantante. Nonostante l'epatite C contratta nel 2007, alcuni problemi di cuore risolti con un defibrillatore e un operazione alla gola nel 2013, il Gregg degli ultimi anni sembrava comunque in gran forma: sia il tributo a lui dedicato nel 2014 (All my Friends) che l'ultimo doppio live Back to Macon, GA (2015), mostravano un anziano leone circondato da musicisti giovani e affiatati. Uno strenuo difensore della propria ultraquarantennale carriera solista con ancora unghie affilate e un'ugola in ottimo stato. Tuttavia, gli eccessi di una vita possono piombarti addosso tutti insieme: il cancro al fegato con cui lottava già da un po' ne è stato la prova, e Gregg Allman, una delle più belle voci di tutti i tempi, è morto ieri nella sua tenuta sulle colline di Savannah, in Georgia.
Gregg in studio pochi mesi fa con Don Was,
produttore di Southern Blood (la cui uscita è avvolta nel mistero).
Quale occasione migliore per riascoltare le sue canzoni più belle in questa domenica di fine maggio? E quale occasioni migliore per maledire un po' il destino, magari pensando che, sì, è un vero peccato non aver mai visto gli Allman dal vivo (anche solo per la loro quasi totale latitanza nel vecchio continente), ma è un peccato ancora più grande essersi persi anche Gregg in solitaria, dato che appena due anni fa, in un'inusuale trasferta olandese, aveva promesso al pubblico stipato dentro il club Paradiso un ritorno in terra europea. Chissà se fra quelle date avrebbe trovato spazio anche la nostra Italia. Non lo sapremo mai. 
Così come non sapremo se e quando, a questo punto, Southern Blood uscirà. Come per il precedente Low Country Blues (il più bel lavoro solista di Gregg dai tempi del formidabile esordio Laid Back del 1973) non ho aspettative, ma visti i frutti recenti sarebbe molto bello udire per un'ultima volta quella voce calda alle prese con un pugno di canzoni inedite incise- oh signore! -ai Muscle Shoals sotto la direzione di Don Was (che potrebbe, fra l'altro, cogliere l'occasione di tornare a occuparsi, finalmente, di un disco serio). 
Ha attraversato tanti inferni, Gregg Allman: la morte del fratello maggiore, la scomparsa dell'altro "fratello" acquisito Berry Oakley, la dipendenza da cocaina e alcool, i travagliati matrimoni e i conseguenti divorzi, due scioglimenti della band di cui, dal 1973 al 2000, ha condiviso la leadership con Dickey Betts, una carriera solista composta maggiormente da passi falsi che lo hanno più volte portato sulla strada della depressione e della disperazione, Ma come lui stesso ripeteva nella canzone che meglio di ogni altra ne rappresenta l'intera opera (e che fu scelta anche come titolo di un'antologia da consigliare ai neofiti, semmai ce ne fossero fra coloro che leggono il blog di un allmaniano docg quale è il sottoscritto), "the road goes on forever...": e così sia, Gregg.
Grazie delle tante, troppe canzoni che hai scritto, che ci hanno accompagnato lungo il cammino e che restano saldamente ancorate ai nostri cuori. E lo so, it's only Southern Rock, ma è la mia anima.



Nessun commento:

Posta un commento