sabato 17 settembre 2016

17 settembre 1991-17 settembre 2016: 25 anni di illusioni [Extra]

USA LA TUA ILLUSIONE*

 I due volumi di Use Your Illusion sono fra quanto di più affascinante, vario e misterioso abbia prodotto la storia del Rock.
Vertice di creatività, meno grezzo dei precedenti album, pieno di lati oscuri, non ammaestrabile, Use Your Illusion non ti fa sentire subito ''a casa'', non ti restituisce il gusto street di Appetite o la perfezione semiacustica di Lies. Ti spiazza e ti avvolge nella sua dimensione, e nonostante contenga cinque grandiose hits da classifica ci vogliono mesi di ascolti per districarsi nei suoi labirinti sonori.
Credo sia il disco- anzi, i dischi -che ho ascoltato di più in vita mia. Ci arrivai già da comprovato fan della band; mi ero costruito un immagine di loro e del loro mondo con i primi due album e col Greatest Hits uscito ad inizio 2004, per cui ascoltare i due Illusion fu come accedere ad un'inesauribile fonte di segreti: trenta pezzi quasi tutti belli o bellissimi, ma di non facile presa. Mi perdevo nella maestosità di Estranged e November Rain, ma le sensazioni che arrivavano erano diversissime da Welcome To The Jungle o Sweet Child O'Mine. Il suono del disco era differente, più pulito e raffinato, meno corrosivo ma più profondo e misterioso. You Ain't The First, con quelle voci catturate in presa diretta che mi sembrava di essere in giardino coi Guns, la forza riottosa del punk di Right Next Door To Hell, Perfect Crime e Shotgun Blues. Ma poi ascoltavo The Garden, Breakdown, Coma, So Fine e mi chiedevo che razza di musica fosse questa. Non gli sapevo dare un nome, e- specie da ragazzi -abbiamo bisogno di dare un nome alle cose, di classificarle per sentirci più tranquilli e al sicuro. Tutti i miei amici parlavano dei Guns N'Roses come di una band hard'n'heavy, ma nei due Use Your Illusion di heavy metal- per lo meno di quello che intendevano loro -se ne udiva assai poco. 
E poi la copertina. Bellissima. Fra quelle dei Guns, la più bella in assoluto, con quel particolare della Scuola di Atene ingigantito, muralizzato e reso sfrenatamente pop da Mark Kostabi, e ancora quei collages interni di quadri astratti, immagini di repertorio e foto di tutti coloro che avevano preso parte più o meno attivamente alla produzione del disco. L'immagine di copertina, molto forte e piena di suggestioni, lasciava spazio ad una galleria scollegata da ogni logica e gusto dell'epoca ma vincente nel suo insieme, proprio come la musica a cui si accompagnava. Quanto tempo ho passato a guardare i volti e a leggere i nomi di tecnici e musicisti, a scorgere i significati dei brani e i loro segreti. Non aveva proprio nulla a che fare con la grafica dei primi due album o coi simbolismi stradioli di tutto il movimento hair-street-sleaze-glam-metal di fine anni Ottanta. Nel corso degli anni, man mano che ascoltavo questi dischi, vedevo accrescere l’immagine della rock band isolata dal resto del mondo, in una casa grande e decadente, dove magari era stato allestito un gigantesco studio di registrazione: alla fine, i Guns di Use Your Illusion, così eclettici e già così divisi sul piano delle decisioni (basta leggere l'autobiografia di Slash per capirlo), si ritrovarono liberi di esprimere la propria creatività senza limiti e costrizioni, un po' come accaduto agli Stones di Exile on Main Street, ai Beatles del White Album o agli Zeppelin di Physical Graffiti. Tutti grandi doppi, tutti grandi fratelli-gemelli, tutti capolavori monumentali. E un'opera monumentale è anche Use Your Illusion, composta di mille piccole sfumature che hanno resistito benissimo al passare di due decenni. E' un disco che non ha mai finito con annoiarmi e di cui riesco ancora oggi a godere pienamente, un'altra isola di quel piccolo arcipelago nel quale ancora veleggio felice, quando nessun'altra esplorazione sonora riesce a portarmi via.



[* titolo orribile provvisorio]

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