giovedì 21 luglio 2016

Lucinda Williams a Pusiano (CO) il 19/7/16 [Extra]

Pusiano è un piccolo comune della provincia di Como che non arriva nemmeno a 2000 abitanti. Posto ai piedi delle Prealpi, in riva al lago omonimo e privo di una vera e propria "piazza", si snoda attraverso una lunga via principale, con due file di abitazioni, qualche parallela dove trovano spazio negozi e trattorie e un lungolago dove si praticano la pesca e il canottaggio. Non ci sono teatri e non c'è il cinema, ma non mancano tutte le attrazioni di ogni paesello italico: una farmacia, un ufficio postale, tre parrocchie. Logico che le attività estive si terranno in uno spazio "alternativo": nel caso dell'evento che mi porta qua (la prima turnè italiana di Lucinda Williams), sarà il Parco Comunale di Pusiano, antistante il grande Palazzo Beauharnais (edificato a partire dal XV Secolo e oggi sede del comune), a fare da cornice. Io e Sofia indossiamo le magliette di ordinanza (Lynyrd Skynyrd io, Nirvana lei) e partiamo di buon ora. Lei è libera da alcuni giorni dalle incombenze universitarie e veleggia in modalità relax, così le lascio occupare il sedile del passeggero della mia bluesmobile e le affido il delicato compito di scegliere la musica sul mio iPod. Il viaggio si rivela addirittura più tranquillo del previsto. Sperimento per la prima volta la variante di valico e in meno di due ore siamo già a Bologna. Per quanto non rispecchi ciò che realmente provo nei confronti di questa città, già dal primo avvistamento dell'uscita di Casalecchio inizio a cantare a squarciagola il ritornello di Odio Bologna di Trucebaldazzi.
Odio Bologna,
questa città è una fogna!
Odio Bologna, odio Bologna...


Cesso la mia esibizione goliardica solo nei pressi di Modena. Ci fermiamo in un Autogrill e realizziamo che, fuori dal mio condizionatore ambulante targato Skoda, fa un caldo micidiale. Per fortuna con noi viaggia lo splendido minifrigo da viaggio, collegato ai 12 volt della macchina e debitamente riempito di bottiglie d'acqua prima della partenza. Attraversiamo senza fretta la Pianura Padana e in un'ora e mezza siamo a Milano ad imboccare la Tangenziale Est, senza code o rallentamenti. All'esterno, la temperatura si aggira sui 35°. All'altezza di Cinisello Balsamo, mentre presto attenzione ad indirizzarmi verso la SS36, guardo il non-colore del cielo sopra di noi e butto un occhio verso una fila di palazzoni che sembra proseguire senza soluzione di continuità. Sembra incredibile che in meno di dieci minuti attraverseremo una superstrada panoramica immersa nel verde e con tanto di vista sulle montagne. Perfino il clima si ammorbidisce un po', quando arriviamo nella piccola Pusiano, dove Sofia ha prenotato una camera presso un elegante B&B chiamato La Pusianella, letteralmente in riva al lago. Trovo un posteggio all'ombra, di fianco alla villa ottocentesca in cui alloggeremo. Siamo abbondantemente in anticipo rispetto all'orario del check-in e, dato che sono le una e mezza passate, decidiamo di "svaccarci" su una spiaggetta vicina e allestire un micro-picnic. Non siamo i primi visitatori buscaderiani ad essere arrivati sul posto: un tizio di mezza età sonnecchia placidamente su una panchina del lungolago; ha l'indiano a cavallo dei Crazy Horse tatuato- molto bene, devo riconoscerlo -sul polso sinistro, una spilletta dei Cheap Wine affissa sullo zaino e indossa una t-shirt celeste di Billy Joe Shaver, outlaw texano cui dobbiamo lo splendido Old Fivers and Dime Like Me (1973). <<Siamo nel posto giusto!>>, esclamo un po' su di giri. 


Ci dividiamo dell'ottimo tabbouleh preparato da Sofia, fresco e leggero, proprio quel che serve in una giornata torrida come questa. Mentre mangiamo, nel piccolo parcheggio, fa la sua comparsa un Volkswagen California nero di inequivocabile provenienza austriaca. Scende un biondo sulla quarantina, scalzo e coi capelli arruffati. Porta con sè una caffettiera e una padella, le adagia entrambe sotto un alberello e inizia a spogliarsi, guardandosi attorno. Nota due cartelli apposti sul muro accanto: uno enuncia l'obbligo della licenza di pesca, l'altro mette in guardia i bagnanti definendo pericoloso il fondale del lago. Ci domanda se il cartello indica il divieto di balneazione e noi, faticosamente, cerchiamo di spiegargli che non è proprio così: può fare il bagno, ma facendo attenzione perchè il fondale è pericoloso. Sorride e in un batter d'occhio è già in acqua a nuotare. Noi ci godiamo la vista del lago.

Pusian Lake
Poco prima delle 15 incontriamo la signora Carla, gentilissima e competente gestrice del B&B. Non è aperto da molto e gli ambienti, restaurati di fresco, sono davvero notevoli. Le camere ampie e fresche. La Pusianella occupa circa metà della villa, mentre nell'altra ala vivono lei e la madre. La zona adibita a bed and breakfast conta appena tre alloggi, uno occupato da noi, un altro da Hanne, una sfegatata fan norvegese che ha seguito Lucinda per tutto il suo tour europeo, e l'ultimo da James Maddock, il songwriter britannico che gli organizzatori hanno contattato per l'opening act del concerto. Di Maddock avevo scaricato Wake Up and Dream all'epoca dell'uscita (2011), ma qualche sua canzone già alla fine degli anni Novanta aveva ottenuto un piccolo successo, supportata dall'inclusione nello score del telefilm Dawson's Creek

Ingresso a La Pusianella
Dopo una doccia e un riposino, andiamo a sederci nella veranda del B&B. Troviamo Hanne, con la quale facciamo le dovute presentazioni, cui seguono le solite chiacchiere di circostanza. Ci racconta di come è stata Lucinda finora, delle grandi serate inglesi precedenti, di questa band che la accompagna, del loro incontro in un backstage danese anni prima. Poi passa a domandarsi come mai abbia aspettato tanto a venire in Italia. La Williams è a giro dalla metà degli anni Settanta, con un esordio discografico risalente addirittura al 1979, ma non era mai scesa fin qui, alla "periferia dell'impero". Cerco di spiegarle che questa assenza prolungata è dovuta un po' all'incomprensione di determinati generi, un po' all'ottusità degli ascoltatori nostrali e un po' al fatto che i suoi primi dischi ad essere stati segnalati e venduti in Italia risalgono agli inizi degli anni Novanta. Io stesso- racconto ad Hanne -ho ascoltato Lucinda Williams per la prima volta nel 2007, nei titoli di coda di una puntata di Dr. House. Lei ricollega subito e cita West, l'album che appunto contiene Are You Alright?. Ci confrontiamo sugli ultimi anni di carriera di Lucinda, che ha inciso il proprio capolavoro assoluto a 61 anni, quel doppio Down Where The Spirit Meets The Bone incoronato a destra e a manca come miglior disco del 2014, e che a gennaio è tornata con The Ghosts Of Highway 20, l'album promosso in questa turnè. Mentre chiacchieramo passa, furtivo, James Maddock: indossa una canotta che riprende disegno e colori della bandiera brasiliana, un cappello da pescatore, bermuda e infradito. Con lui, tenuta sulle spalle, la sua chitarra acustica. Guardo l'orologio e l'apertura dei cancelli, fissata per le 19:45, è vicina. Perciò, salutiamo Hanne e ci auguriamo a vicenda buon concerto.
Una puntata veloce ad un baretto che organizza l'aperitivo sul lago ci permette di incontrare molti altri avventori, alcuni simpatici, altri un po' meno. C'è un tipo con una t-shirt di Townes Van Zandt a cui offrirei da bere a prescindere, un altro (boriosissimo) che sembra avere il dono dell'ubiquità da quanti concerti asserisce di avere visto nell'ultimo mese. Mi viene in mente Calboni che, sulla strada per Courmayeur spara balle talmente grosse da far sorgere, nel povero Fantozzi, allucinazioni competitive. Ci alziamo e ce ne andiamo quando racconta di avere visto Neil Young in un memorabile (e fittizio) concerto del 1971. Ora, al di là che Neil Young nel 1971 di concerti memorabili ne avrà tenuti almeno un centinaio (basti pensare che sia il set acustico registrato negli studi della BBC che il Live at Massey Hall risalgono a questo anno), il tizio in questione dimostra sì e no l'età del mio babbo (60 anni) e onestamente non ce lo vedo un quindicenne norditalico degli anni Settanta a seguire il suo idolo per le Americhe di quell'epoca. Per inciso, Neil Young prima del 1982 non ha mai suonato in Italia. Poi non so.


Non ho una grande competenza in ambito concertistico. Sono poco pratico di grandi eventi e, non amando nè Jovanotti, nè i talent show, nè una buona fetta di certi rumorosi gruppi imprescindibilmente e obbligatoriamente "impegnati", le mie zone riservano sempre poche sorprese appetibili. Non ne faccio un dramma: prendo quello che viene e accetto di non avere quasi nessuno con cui condividere le mie passioni musicali. La mia sarà pure una sonnacchiosa cittadina di provincia, ma qualche bel locale dove si ascolta buona, se non ottima musica, per fortuna, esiste. In più, grazie alla vicina presenza dell'accademia musicale Siena Jazz, ho avuto la fortuna di crescere andando spesso a vedere concerti di alto livello, appartenenti a generi e autori lontani dai diktat imperanti in quest'era di cacciatori di pokèmon. Qua al Buscadero Day, invece, mi sembra di essere entrato in un contesto familiare che si discosta dai soliti luoghi comuni sull'esperienza della "musica d'insieme". Vuoi per questa veste che mi ricorda tanto le sagre paesane delle mie parti, vuoi per le cucine aperte in un cortile adiacente al palazzo comunale dove sta per iniziare il concerto, vuoi per l'innumerevole serie di strette di mano, baci e abbracci a cui assisto, mi sento totalmente a mio agio. Molte persone si rivedono stasera dopo pochi giorni. C'è chi ha ancora la pelle d'oca dopo l'appuntamento milanese del Boss, chi è venuto dall'estero, chi ha aspettato Lucinda Williams per anni, chi ha portato i bimbi piccoli al loro primo concerto rock. E poi c'è chi è andato a vedere Neil Young con i Promise Of The Real. Non importa dove: l'importante è essere andati e aver comperato la maglietta. Pare che il concerto sia stato meraviglioso. Willie Nelson che arriva sul palco a sorpresa in più serate. Questo gruppo  di giovani e giovanissimi che dal vivo funziona meglio che sul disco. Insomma, un tour grandioso sotto ogni punto di vista. Osservo, con lieve invidia, decine di magliette contraddistinte dalla sigla "NO GMO".

Una delle decine di tshirt dei recenti concerti di Neil Young
Sofia ordina due birre gelate e va a prendere posto. Io spulcio i menù, temendo le solite truffe legalizzate tipiche di ogni concerto "serio e rispettabile". Vengo smentito clamorosamente: il cibo, oltre a non essere venduto dai soliti paninari in confronto ai quali McDonald's è un bistrot pluristellato, è pure buono. Io ordino un hamburger al formaggio con patatine di contorno, lei un'insalata di farro: il tutto a un prezzo estremamente popolare. Proseguo, divertito, il mio censimento delle magliette più belle. Al tavolo con noi sopraggiungono quattro dylaniani di origine controllata e garantita. A parte una priva di data, tutte le altre maglie sono ricordi del Never Ending Tour risalenti alle annate 2004-2015. Comunque c'è poco da fare: "chi si assomiglia, si piglia". Spunta fuori una specie di Kit Carson fuori servizio e non resisto dal fotografarlo. <<Perchè anche io non mi sono portato il cappello da cowboy?!>>, domando a Sofia, che subito mi accarezza la testa con aria compassionevole.
Kit Carson on tour
Affiorano poi, piano piano, i primi personaggi di spicco della scena critica e musicale che ruota attorno al Buscadero. Daniele Tenca, un cantante che apprezzo molto, prende posto proprio dietro al nostro tavolo. Alcuni addetti stampa si aggirano con gli immancabili pass attorno al collo, mentre i fotografi scattano qualche immagine di noi affamati rockers. <<Speriamo di finire sul numero di ottobre...>>, penso mentre vedo avvicinarsi un paio di baffi bianchi che ho rivisto più volte sia sulla rivista che sui miei libri. Mauro Zambellini, il cronista musicale che prediligo e a cui debbo molto in termini di passione e scoperte, si sta dirigendo, col volto coperto dagli occhiali da sole e un cappellino da baseball, verso il nostro tavolo. Sulle prime non sono sicuro che sia lui, ma quando da un'altra tavolata si alza, in segno di saluto, il grido <<Zambo!>> tutti i miei dubbi vengono spazzati via. Sofia mi invita alla calma e mi consiglia di non apparire esagitato, ma per me è come incontrare Lester Bangs, Sam Peckinpah e Tex Willer tutti fusi insieme. Anzi, non so se Zambellini abbia mai annoverato Bangs fra i suoi maestri: in verità il loro stile (e il loro approccio alla musica) è molto diverso. Fatto sta che Mauro Zambellini- giornalista, autore radiofonico, impareggiabile saggista del southern rock, autore di preziosissime guide all'ascolto e dell'unica biografia al mondo dedicata a Willy De Ville -è davanti a me adesso e, dopo essersi guardato intorno, mi domanda <<Scusi, è libero>>. Dunque questo tipo con addosso una t-shirt "firmata" Stax Records sta indicando proprio il posto di fianco a me. <<Sì, certo>>, gli rispondo. Si toglie il cappellino e lo lancia sulla sedia accanto alla mia, dopodichè fa cenno di avvicinarsi ad una signora coi capelli biondi. <<Mi scusi, ma lei è Mauro Zambellini?>>. Lo so che è lui, ma non voglio apparire troppo irruento. Risponde di sì, ci stringiamo la mano, decidiamo di darci del tu e lo ringrazio di tutto. Va a ordinare da mangiare. La signora bionda ha due birre in mano. Le appoggia sul tavolo, si presenta come Chiara e si siede con noi. Meno di un mese fa, parlavo di riviste e giornalisti con Marino e Sandro Severini dei Gang e dell'amicizia che li lega a Zambellini da molti anni, e stasera mi ritrovo a cena con lui e la sua compagna. Parliamo di aeroporti, di rock, di country, di Neil Young e del fatto che entrambi continuiamo ad amare Psychedelic Pills (2012), di Alessandro Portelli e dei suoi Taccuini americani, del Buscadero, di Ligabue, del colesterolo, del fatto che ad andare in moto dopo una certa età può far venire la febbre, di Lucinda Williams e di quale fra i suoi due ultimi dischi ci sia piaciuto di più (lui mi ha confessato di prediligere The Ghosts Of Highway 20), di Chris Stapleton, del momento in cui ho deciso di mettere una maglia dei Lynyrd Skynyrd, dei laghi, del traffico. I Buick 6 iniziano a suonare. Grazie, Mauro, è stato un piacere conoscerti, cenare e parlare con te.
Io & Mauro Zambellini
Effettivamente, il concerto sta davvero iniziando. Uno scalo veloce al bagno e poi ci dirigiamo verso il parco. Regna un'atmosfera bellissima. Contemplo il cielo e il tramonto sul lago, sospiro. I Buick 6 fanno la gioia di Sofia eseguendo ben due covers dei Nirvana. Suonano per una mezz'ora. Nel frattempo, raggiungiamo il punto merchandise curato dalla Appaloosa Records, l'etichetta che assieme al Buscadero organizza l'evento. Le magliette non son niente di che, il cd di Lucinda l'ho comprato a inizio anno e dunque mi dirigo su altre cose. C'è questo ultimo Live in Italia di James Maddock, David Immergluck (dei Counting Crows) e Alex Valle (attualmente suona il dobro per Francesco De Gregori) che mi colpisce subito e già che ci sono, sempre di Maddock, recupero Live at Rockwood Music Hall del 2010. Prezzi eccellenti. Mi accorgo poi che sono accorse persone di ogni tipo e di ogni età. C'è perfino qualche bikers, col casco legato in vita e il gilet di jeans ricoperto di toppe. Ancora passeggini e ancora persone con le maglie di Neil Young. Nelle vicinanze del mixer si va costruendo una cricca di personaggi più psichedelici, contraddistinti da monili dei Grateful Dead e, come nel caso di uno di loro, da una maglia messa in ricordo del recente concerto dei CRB all'Alcatraz di Milano. Per chi scrive, si è trattato di uno degli eventi musicali più interessanti del 2016.

CRB's Fan

I Buick 6 sono alla fine della loro breve setlist. Continuano ad arrivare viaggiatori, ascoltatori, rockers. C'è un tipo che ha tutta l'attrezzatura per registrare i bootleg. So che esistono delle vere e proprie comunità nel mondo di questi incisori artigianali, ma è la prima volta che ne vedo uno di persona. Sono molto curioso e provo ad avvicinarmi, ma non sembra molto incline alla compagnia e decido di girare al largo. I Buick 6 sono un trio basso, chitarra, batteria messo sotto contratto dall'etichetta di Lucinda Williams, la quale già da due anni se li porta dietro nei concerti. Hanno molto poco dello stile minimale, quasi "lanoisiano" dell'ultimo album. In studio sceglie dei chitarristi che arrivano dal jazz, mentre sul palco ci sono questi musicisti cowpunk che tirano fuori il lato più chiassoso e duro del rock di Lucinda. Non male davvero questo inizio di serata strumentale. Il batterista picchia duro. Un cinghialotto con tanto di cappello di ordinanza.

Butch Norton, batterista dei Buick 6
I Buick 6
Al termine del primo set, la gente si rilassa. C'è chi torna a prendere da bere e chi ne approfitta per andare al bagno. La serata è calda, l'atmosfera è bella. C'è spazio per muoversi, per respirare, per sdraiarsi. E' un festival a dimensione umana e non c'è calca. Iniziano a circolare delle sedie di plastica verdi. Alcuni ascoltatori più anziani ne approfittano. Non ci vedo nulla di male, ma ho ventisei anni (quasi ventisette) e ai concerti rock sto in piedi o sdraiato, mai seduto. Guardo Sofia e le indico una coppia in prima fila, sussurrandole che magari un giorno anche noi saremo in quel modo.

La coppia più bella del mondo
Una bella luna si staglia alta nel cielo, mentre James Maddock sale sul palco. Si è cambiato d'abito rispetto a prima al B&B. Adesso ha una camicia di jeans con dei dettagli ricamati pieni di colore. Sono lui e la sua chitarra. Cinque canzoni tirate e secche, cantate con quella voce roca, calda e appassionata che ricordavo.
James Maddock solo on stage
Sono contento di aver preso quei due cd. Guardo Sofia, che sembra apprezzare molto. Sono felice: lei, essenzialmente, è qui per me e per le mie passioni. Vederla partecipe pur essendo esente da sensazionalismi particolari mi riempie di gioia.
Sofia ascolta James Maddock
Provo una sensazione di benessere e mi rilasso. Ascolto Maddock, ma mi metto pure a guardare la gente che passeggia su e giù per il parco. La morsa del caldo sembra allentarsi man mano che il cielo diventa più scuro. James saluta il suo pubblico e presenta la sua eminente collega come la più importante cantautrice americana del nostro tempo. Di lì a cinque minuti sarà di nuovo in giro con la canotta brasiliana, le infradito e il cappello da pescatore a firmare qualche disco e bere diversi boccali di birra. Del resto, viene da Leicester, mica da Nomadelfia!

Moonshine Daydream in Pusiano
La notte cala sugli avventori del Buscadero Day. Andrea Parodi, direttore della Appaloosa Records, sale sul palco, presenta Lucinda Williams e augura buon ascolto a tutti. Solo successivamente apprendo che Parodi è riuscito ad organizzare tutto questo nonostante la scomparsa del padre a poche ore dal concerto. Seguono venti minuti di niente. I tecnici trafficano col mixer. L'impianto audio è ottimo e gestito in maniera molto professionale, mentre le luci sono poco curate. A pochi metri da me passa Paolo Carù, gestore dell'omonimo, celeberrimo negozio di dischi di Gallarate, fra i padri fondatori del giornalismo musicale rock italiano alla fine degli anni Settanta e personalità chiave (e pure un po' controversa) della società editoriale Ultimo Buscadero srl. Lo accompagna, come al solito, la moglie Anna. Una transenna si alza magicamente e i due accedono indisturbati al backstage. Quello che non posso immaginare e che verrò a sapere in seguito è che anche la nostra vicina di camera, Hanne, è riuscita a intrufolarsi nel camerino di Lucinda, omaggiandola di tre bottiglie di amarone della Valpolicella. Poi, alle 22:20, Lucinda Williams fa il suo ingresso sul palco. Più grossa di come appare nelle foto di copertina dell'ultimo album, un cappello da cowgirl con dei dettagli luccicanti, il collo ricoperto di collane e una gigantesca croce ben in evidenza. Porta una camicia a quadri ben aperta sul davanti, messa a far intravedere un body nero lucido.

Ladies and Gentlemen, Lucinda Williams!
Si parte bene, con Lucinda che potrebbe apparire lievemente sbattuta, forse per il viaggio, forse per qualcos'altro. Protection è uno dei capolavori del capolavoro (Down Where The Spirit Meets The Bone), ma nonostante venga trascinata magnificamente dalla grinta di Norton e Sutton (al basso), la cantante sembra in difficoltà di fronte al suo pubblico. Di certo non si possono avanzare colpe al clima: a Lake Charles, la cittadina della Louisiana da cui proviene, questa temperatura sarebbe la minima stagionale. La situazione migliora subito con la splendida Drunken Angel, uno dei migliori momenti tratti dal suo primo grande successo, quel Car Wheels On A Gravel Road che le valse un Grammy nel lontano 1998, e con le prime chiacchiere che anticipano West Memphis, in cui inizia a svettare maggiormente la chitarra di Stuart Mathis. Per niente spiccata la resa di Those Three Days, tant'è che decido di distrarmi per qualche foto "di contorno".
Lucinda dal fondo
Mi allontano proprio quando riparte con uno dei pezzi che sento maggiormente miei: Car Wheels On A Gravel Road, una delle grandi pagine del rock degli anni Novanta. The Ghosts Of Highway 20 per sola chitarra e voce mi commuove, e lo stesso dicasi della successiva Lake Charles cantata col solo ausilio di Mathis alla sei corde. Parla poco la Williams tra un pezzo e l'altro. Anche il nuovo Bitter Memory, uno dei momenti più cupi della serata, non viene introdotto in alcun modo. C'è spazio per un ricordo rivolto ai suoi genitori (entrambi poeti, entrambi deceduti nell'arco degli ultimi dieci anni ed entrambi molto presenti nella sua vena cantautoriale) subito prima di lanciarsi in Dust, notevole ma meno riuscita che su disco. Sobbalzo sulle atmosfere che i Buick 6- senza essere un gruppo ipertecnico -riescono a creare nella galoppata di Burning Bridges, con la voce di Lucinda meno tetra dei pezzi suonati poco prima. Foolishness è un altro picco di questa umida serata, con tanto di "sfanculata" rivolta al candidato presidente Donald Trump. Il concerto si avvia verso la fine con Changed The Locks. La nostra inizia a scavare a fondo nel proprio passato e torna all'omonimo Lucinda Williams, album del 1988 che ha conosciuto una bella ristampa deluxe alcuni anni fa. Il brano è una sorpresa molto gradita, specie dagli ascoltatori più anziani, e per me poteva essere anche la degna conclusione del concerto. Tocca invece ad Essence, una canzone che sopporto poco, mettere il punto sul concerto di Lucinda. Il pubblico guarda allontarsi lei e i Buick 6 per poi vederli tornare poco dopo per due bis, uno valido e uno no: Should I Stay Or Should I Go l'avevo ascoltata su YouTube ed è magnifica, mentre non si può dire lo stesso di Rockin' In The Free World, che ha però una presa immediata sul pubblico che per la prima volta in tutta la sera si concede un momento di pura caciara. Lucinda saluta timidamente, forse lievemente impaurita da un pubblico tanto ampio, lei che preferisce l'atmosfera intima dei club alle folle da stadio. Troviamo anche il tempo per una psychedelic selfie di fine concerto.

Psychedelic Selfie
Temporeggiamo sull'erba e aspettiamo che il grosso della gente se ne sia andata. La Pusianella dista 200 metri dal parco e la raggiungiamo in pochi passi. Nè Hanne nè James Maddock sono ancora rientrati al B&B. Ci fermiamo a guardare il lago, così silenzioso e immobile al chiaro di luna. Sofia crolla quasi subito e prima di seguirla a ruota, la sveglio e la invito ad andare a letto in camera. E' stata una lunga giornata e siamo cotti come fegatelli. 
Sofi's sleeping

Al mattino mi alzo presto e scopro che ci attende una sontuosa colazione, e guardate che "sontuosa" non è un aggettivo che uso per darmi un tono e via. Di rado, in una struttura bed and breakfast, mi è ricapitato di alzarmi e trovare una tavola per gli ospiti simile.

Prima colazione a La Pusianella
 Ovviamente, mi lancio sulle uova cotte col burro e il latte. Contemporaneamente, parliamo dei progetti per la mattinata.

Io e le uova
La sera prima, Zambellini mi ha caldamente consigliato il lago di Como. La settimana scorsa, un conoscente ci ha parlato molto bene di Bellagio, ridente cittadina a circa diciotto chilometri da Pusiano che sembra essere una specie di Forte dei Marmi lacustre. Salutiamo Hanne e, a malincuore, La Pusianella e saliamo a bordo della bluesmobile. Inforchiamo di nuovo la SS36 per uscire quasi subito, diretti al lago di Como. Qua faccio essenzialmente tre cose.
1. Mi imbatto- senza essere preparato -nella patria della Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare.
Un albergo che prende il nome dalla Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare
2. Ammiro un paesaggio immedesimandomi al meglio nel Renzo dei Promessi sposi.
Visions of Renzo
3. Familiarizzo con un serpente acquatico.
Snakes Everywhere
Nel pomeriggio, dopo una lunga deviazione montanara a causa di un assurdo incidente (un tir incastrato nel mezzo di una strada palesemente più stretta del tir stesso), ci riavviciniamo all'hinterland milanese. Sofia prende la cd-bag e tira fuori Harvest, che forse è più da andate che da ritorni, ma in questo momento ha proprio colpito nel segno. Mi perdo due brani centrali e fondamentali solo perchè ricevo un paio di telefonate. Sulla conclusiva Words imbocchiamo l'A1 assieme a tanti altri disgraziati e viene prontamente inserito Rust Never Sleeps, bellissimo ma forse meno adatto all'atmosfera. Fuori il sole batte fortissimo. C'è di tutto sull'autostrada del sole a quest'ora. Gente che va a lavoro, a fare l'amore, ad ammazzarsi, ad ammazzare qualcuno. C'è gente che va da qualche parte per il solo gusto di andare e gente che in realtà non va da nessuna parte. Guardo Sofia seduta accanto a me, medito e mi sento solo fortunato. Butto dentro il The River restaurato a fine 2015 per i suoi trentacinque anni, gradito regalo natalizio dei miei genitori. Questo flusso inarrestabile di  bellezza ci tiene compagnia fino a Bologna, quando oso fare una battuta su Wreck On The Highway e penso ad alta voce <<Mica porterà sculo, 'sta canzone...no?>>. Al Cantagallo scendiamo a comprare dell'acqua fresca, dato che quella con cui siamo partiti ha ormai raggiunto la stessa temperatura- e forse anche lo stesso sapore -del piscio di un gatto. Mentre giro la chiave e inserisco la prima, Sofia mi ripassa la cd-bag. Li squadro tutti, anche quelli che abbiamo già messo. Sono fiero della selezione che ho effettuato. Alzo la testa, contemplo il sole battere sugli appennini e guardo il cartello su cui sta scritto "Firenze". Penso ad una degna conclusione per questi due giorni ed estraggo un disco che mi sta particolarmente a cuore e che non amo condividere con chiunque. Ma con Sofia, che mi ha portato a vedere un concerto di Lucinda Williams, so che me lo posso permettere.


[P.S.: per quanto riguarda il censimento delle magliette, posso definirlo finito. Vince un signore occhialuto che indossava questa:
]





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