Che B.B. King stesse male si sapeva.
Da vent'anni soffriva di diabete e di recente aveva subito un paio di ricoveri in quel di Las Vegas, città dove abitava da tempo. Il fatto poi che non fosse più un giovanotto non ha di certo giovato alle sue condizioni di salute.
Tuttavia, neanche in questi ultimi anni si era mai risparmiato e aveva continuato a comporre, incidere e tenere concerti. Dotato di una tecnica sopraffina in cui tutto era affidato al sound icastico della sua fedele Lucille (al secolo, una Gibson ES355) e ad un inquieto vibrato, B.B. King ha portato avanti per oltre sei decenni il suo show, uno spettacolo che affondava le radici nel fango del Mississippi, ma anche nella musica gospel, nella melodia di Memphis, nell'intrattenimento umoristico da vero uomo di spettacolo e in un senso della tensione drammatica rigoroso ed essenziale.
Influente maestro di musicisti di ogni credo, razza e colore, superstar del blues prestata a salotti jazz e aperta a collaborazioni più hard o pop (dagli U2 a Slash), asso delle classifiche da metà degli anni Cinquanta in poi, titolare di una discografia streminata e talvolta povera di lavori realmente significativi, forse perchè vedeva l'album come una mera raccolta di singoli da piazzare in classifica. Ciò nonostante me la sento di consigliare vivamente tre suoi dischi:
Indianola Mississippi Seed
(MCA, 1970)
★★★★
Il primo album di B.B. King in grado di comprendere e far convivere al meglio tutte le vibrazioni della sua musica. Nove brani, quaranta minuti di esplosivo mix fra blues, R&B, jazz e rock prodotto e missato al meglio dal fido Bill Szymczyk. Forse il perfetto punto di incontro fra la tradizione del Mississippi e quella del sound di Memphis in un disco degli anni Settanta.
(MCA, 1971, Live)
★★★★★
Ebbene sì: il mio disco preferito di B.B. King è questo superbo live registrato nel carcere di Chicago, ma musicalmente non ha nulla a che vedere con lo stile del blues di quella città. Il "Re" inforca la sua Lucille e accompagnato da una band coi fiocchi suona i suoi più grandi successi come mai prima di allora. Un capolavoro.
One Kind Favor
(Geffen Records, 2008)
★★★★
42esimo e ultimo album in studio del "Re", che, pluriottantenne, si diletta con materiale di Blind Lemon Jefferson, Howlin' Wolf, T-Bone Walker e John Lee Hooker. Superba la produzione di T-Bone Burnett per un disco fresco e- almeno all'epoca -inaspettato. Così come inaspettata fu la vittoria del Grammy per il miglior album blues del 2008.
Con lui se ne va uno degli ultimi (se non l'ultimo) bluesman che ha toccato con mano la miseria in cui la "musica dell'anima" è nata e si è sviluppata. Riley B. King era il suo vero nome, quello con cui si esibiva alla fine degli anni Trenta agli angoli delle strade della natia Itta Bena, Mississippi. Si racconta che fu suo cugino, Bukka White, a consigliargli di partire per Memphis, dove avrebbe cambiato nome, chitarra e vita. Una vita lunga, costellata di soddisfazioni e segnata da un inossidabile, cocente amore per il blues.
Sia pace all'anima sua.
Nessun commento:
Posta un commento