Ho lasciato che i giorni passassero, fra un film buono e una zotta completa, e infine mi sono deciso ad andare a vedere Mad Max: Fury Road. Un film di cui tutti stanno parlando benissimo, molto atteso dai fans della saga, ottimamente accolto al Festival di Cannes (era la pellicola di apertura) e costato, letteralmente, anni di fatica al suo autore, un genialoide settantenne australiano di nome George Miller.
Il papà di Mad Max (e di Babe maialino coraggioso, e di Happy Feet) ha infatti impiegato circa tre lustri per pensare, scrivere, dirigere e farsi produrre il quarto film di una serie bellissima ma che forse continua ad essere poco conosciuta, almeno in Italia.
Da parte mia, amo molto il primo film, che additai come miglior chase-movie di sempre in una lista sulle pellicole automobilistiche di qualche anno fa e che, oggettivamente, ha fatto breccia nella cultura popolare di tutto il mondo (dal semi-plagio orientale di Ken il guerriero ai post-apocalittici italiani degli anni '80, passando per gli innumerevoli omaggi presenti in Fast & Furious e i videogiochi post-Fallout, fino a certi passaggi di quel La strada che ha valso il Pulitzer, nel 2007, a Cormac McCarthy).
Comunque sia, vado al cinema.
Ebbene, mi bastano gli otto minuti precedenti la comparsa del titolo per capire che sono davanti ad un grande film e mi basta arrivare alla fine del primo tempo per accostare Mad Max: Fury Road a ciò che oggi il cinema è mediamente in grado di offrire e realizzare che sto guardando un capolavoro. Il miglior film uscito finora quest'anno, curato in ogni più minimo dettaglio, emozionante a livello di immagine, innovativo sul piano della narrazione.
Tom Hardy è immenso, Charlize Theron meravigliosa. Le riprese non hanno uno sbafo, idem la colonna sonora, la sceneggiatura, le location (per chi fosse rimasto folgorato o pensasse che sono "fatte ai'ccompiute' ", il film è stato girato in Namibia e in Australia). Inoltre, ci si sente delle vere merde- passatemi il termine -di fronte a ciò che un uomo di settant'anni è riuscito a concepire, da solo, sotto un mero punto di vista di immaginazione. Un sogno che prende forma e che odora di polvere, acciaio, fuoco e sangue. Nulla che non avessimo già visto in Interceptor (1979), Il guerriero della strada (1981) e Oltre la sfera del tuono (1985), ma che comunque sa di fresco e non risulta essere "soltanto" il reboot di una delle più belle saghe cinematografiche di ogni tempo, ma un qualcosa di ben più valido. Un'opera d'arte dotata della giusta dose di anarchia, meraviglia e follia, da vedere, amare e rivedere fino a quando non ci si sente sazi.
Solo per poi chiederne ancora.
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