In un certo senso, si può dire che la storia di Iceman l'aveva già raccontata il Boss in una splendida outtake del 1978 poi inserita in Tracks. Frasi quali "I'm the Iceman, Fighting for the Right to Live" oppure "Got My Arms Open Wide and My Blood Is Running Hot" farebbero pensare che Sprigsteen quasi conoscesse, almeno di fama, il famigerato conterraneo Richard Kulinski (1935-2006), detto Iceman per due motivi: il primo, una grande freddezza nel lavoro e nella vita (anche se si scioglieva solo per amore delle figlie e della moglie), il secondo, la pratica adottata dalla fine degli anni Settanta in poi e mirata al congelamento dei cadaveri delle proprie vittime.
Non era un tenerone, Kulinski, e per rendere l'idea ci voleva un film all'altezza del personaggio, un'opera che scavasse a fondo e ne delineasse la complessa psicologia e l'inquietante monumentalità fisica. Entrambi questi aspetti sono stati resi nel migliore dei modi da The Iceman, film diretto nel 2012 dall'israeliano Ariel Vromen e con protagonista Michael Shannon, attore feticcio di Jeff Nichols e interprete che ci riporta con gli occhi e col pensiero al cinema degli anni Sessanta (quanti cattivi da film di Hitchcock sarebbe potuto essere, questo omone largo due metri e alto tre?). Intorno a lui, una sfilza di grandi caratteristi: da Ray Liotta a Winona Ryder, da Chris Evans (ma quanto è bravo poi Chris Evans quando si sceglie i progetti e non si traveste da coglione?) a James Franco.
Vromen carica tutto sul protagonista, lasciando indietro sia gli stilemmi del classico gangster-movie (anche se qua e là esce fuori qualche debituccio verso Scorsese, ma credo sia inevitabile) che quelli del thriller oscuro e "invecchiato" à la Zodiac. E non c'è redenzione in The Iceman, o almeno non nel personaggio di Michael Shannon, che è un delinquente polacco vestito male e pure un po' antipatico, lontano da quei banditi fortissimi che bucano lo schermo e divengono modelli da imitare. Kulinski è un operaio, uno che lavora senza tregua per mantenere una famiglia: c'è chi lo fa scaricando container in un porto, c'è chi lo fa collezionando omicidi. Un bel po' di omicidi.
I colpi di scena sono molto calibrati e tutto il film percorre due binari: quello violento e quello intimo, privato, riguardante il Kulinski marito fedele e padre devoto. E se fotografia e montaggio si avvicinano più al cinema francese, la totale assenza della struttura narrativa che vede il Bene contrapporsi al Male appartiene maggiormente al cinema (e più in generale alla cultura) orientale. Vromen ne ha un po' per tutti, specie nel monologo finale, girato in un primo piano scurissimo che mostra un killer ormai distrutto e rassegnato a finire la propria esistenza in carcere. Non è il film del mese nè un capolavoro, questo The Iceman, ma fa parte sicuramente di quella fitta schiera di film americani che vorremmo vedere più spesso e che o arrivano con cocente ritardo o finiscono sottotitolati, per la gioia di pochi, in qualche sito di streaming. Consigliatissimo però a chiunque, perchè chiunque sia abituato al concetto di "buon film" potrà sicuramente trovarci qualcosa di buono.
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