Biopic, questo sconosciuto.
Un genere difficile da sempre, che si espone pericolosamente alla rovina a causa della sua esposizione ai luoghi comuni, sottoposto ad attente analisi da parte del pubblico riguardanti la somiglianza fra attori e personaggi reali, talvolta superabile da pellicole successive che approfonderanno meglio certe vicende. I passati Golden Globe (e di conseguenza gli imminenti Oscar) sono stati simili a una lunga rassegna di film biografici: dagli appannaggi del genio di The Imitation Game e La teoria del tutto fino al magnifico American Sniper (che è prima una biografia, e poi un film di guerra), tante sembrano le vite di figure realmente esistite ad avere suscitato l'interesse di Hollywood negli ultimi mesi.
E poi c'è Selma di Ava Du Vernay, un perfetto caso di "film necessario" (ogni tanto le tagline ci indovinano!), intelligente, veritiero e riuscito. Qualità che non sempre convivono pacificamente fra loro. La pellicola racconta della marcia di protesta che il dottor Martin Luther King Jr. (David Oyelowo) intraprese nel 1965, quando la sua lotta per i diritti dei neri negli USA era già divenuta celebre ed egli aveva già ricevuto il Premio Nobel, recandosi da Selma a Montgomery, in Alabama. Ai margini il difficile e ipocrita dialogo con le istituzioni bianche, le persecuzioni razziali, gli omicidi, la follia legalizzata da sceriffi e giudici (a loro volta pilotati dall'odioso governatore Wallace, che offre una nuova straordinaria prova attoriale a Tim Roth) e perpetrata dai rednecks gretti e conservatori.
La regia della Du Vernay è asciutta, secca, ma neanche troppo documentaristica: a confronto, la Bigelow è un esempio lontano. La macchina da presa non regala virtuosismi e le scene di folla (ovvero quelle della marcia) appaiono semplici ma comunque importanti. Qualche eccesso di lirismo nella descrizione del rapporto fra King e la moglie Coretta (Carmen Ejogo) lo si può trovare, ma non danneggia di certo una sceneggiatura limpida che fila via liscia come l'olio per poco più di due ore. Il risultato non è quello di un capolavoro, ma di un qualcosa che comunque merita di essere vista e che si pone nettamente al di sopra della media dei film di genere.
All'interno di Selma si trova non solo la crème de la crème degli attori afroamericani emersi negli ultimi quindici anni (e pure qualche veterano di lusso, tipo Oprah Winfery), ma anche una fotografia (reale) su un paese che non sembra l'America, ma che lo è. O meglio, lo era, visto che proprio grazie a persone come Martin Luther King il paese più potente del mondo ha saputo progredire un minimo sui piani di cultura e pari opportunità. Le battaglie che King e i suoi colleghi della SCLC portavano avanti nel 1965, potevano giustamente apparire come roba da medioevo a chi viveva nella vecchia Europa.
Un film che non è melenso, ma riesce comunque a penetrare sottopelle. Ricostruzione storica impeccabile, anche se il presidente Johnson (il grande Tom Wilkinson) da ultimo diventa forse un po' troppo bonaccione. Colonna sonora di livello, e mi riferisco più alla eccellente selezione di brani gospel e R&B che non all'effettivo soundtrack approntato, fra gli altri, da Common e John Legend, entrambi premiati ai Golden Globe per la migliore canzone (Glory, udibile nei titoli di coda).
In sala, a vederlo, eravamo in due.
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