<<Non ho bisogno di un biografo, né per me né per la mia famiglia. Come ho detto un'infinità di volte, ho sempre respinto attraverso i miei avvocati tutte le richieste di scrivere la storia della mia vita eccetera, e i miei legali hanno sempre bloccato ogni tentativo di altri, letterario o cinematografico che fosse. Non permetterò mai, mai, mai una cosa del genere>>. Parole pronunciate, nel 1993, da Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista fiorentina scomparsa nel 2006 e di certo poco bisognosa di presentazioni ulteriori.
I suoi avvocati, così attenti e amorevoli, devono avere evidentemente chiuso lo studio, dal momento in cui è stato permesso alla premiata ditta Procacci&Co. di produrre e distribuire, sia in televisione (due puntate mandate in onda su RAI1 il 16 e il 17 febbraio) che al cinema (il film dura 106 minuti, è uscito il 3 febbraio ed è la versione di cui sto scrivendo), questo terrificante L'Oriana, una biografia ai limiti del tragicomico sul personaggio della Fallaci.
Vittoria Puccini è una macchietta che odora di parodistico, la regia di Marco Turco è un'offesa verso chi bussa da un ventennio alla porta di Viale Mazzini e non ha spinte per superare nemmeno i custodi. L'adattamento cura molto le parti che possono suonare politicamente corrette e riduce alla durata di pochi secondi la parte finale della carriera della Fallaci, forse giudicata "poco costruttiva" da chi questo cesso di biopic lo ha finanziato di tasca propria. La stampa destrorsa ha tirato su un bel vespaio sull'argomento, ma ha omesso un particolare di non poco conto: se anche L'Oriana avesse affrontato con sereno realismo e un minimo di onestà intellettuale in più gli ultimi anni di vita della Fallaci, sarebbe comunque stato un film di merda.
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