La cosa che più apprezzo, da sempre, nel cinema di Iñarritu è che ha un notevole spessore di cose da dire e da lasciare e che riesce sempre a portarmi oltre quel genere di decine di visioni assorbite e succhiate via in un momento ogni mese. E' una dote che è andata perdendosi nel tempo: un po' perchè molti grandi maestri sono morti, un po' perchè troppi pochi ne sono rinati nell'ultimo ventennio.
Come nel caso dell'ultimo Antonioni, non tutti i film del regista messicano sono stati, per me, dei colpi messi a segno (continuo a detestare 21 grammi e non ho amato troppo neanche il recente Biutiful), ma sicuramente ci troviamo sempre di fronte a un cinema di pensiero, pura rarità in un'epoca di non-pensiero. Un'epoca che Birdman, prodotto da Fox e candidato a nove Oscar, riesce a descrivere perfettamente pur mantenendo il fascino di un'opera fuori dal tempo e dagli schemi. Obbiettivamente, chi se lo poteva aspettare un film che racconta di un attore da blockbuster in rovina (Michael Keaton nel ruolo dell'anno) che decide di tirare su uno spettacolo a Broadway tratto da Di cosa parliamo quando parliamo di amore? di Carver? E poi l'ambizione dell'attore non ancora famoso Mike Shiner (Edward Norton), i problemi con la figlia ex-tossica Sam (Emma Stone), la simpatia del manager Jake (l'attore dal nome impronunciabile è meglio conosciuto come "Alan di Una notte da Leoni"), l'idea del super-eroe che si insinua- fisicamente -nel cervello del protagonista e lo fa diventare il paladino della città, l'azzeramento dello scarto percettivo fra vita e teatro. E' tutto perfetto, tutto posato, dalla musica alla scenografia, fino alla geniale illuminazione di costruire il film in un lungo, tortuoso, falso piano-sequenza. E perfino la comicità è fantastica, perchè alla fine Birdman è veramente una commedia: tosta, nera, pirandelliana, ma comunque commedia.
Iñarritu riprende la sua indagine sulla condizione umana e allarga le proprie mire, condannando aspramente lo star-system statunitense e ribaltandone i luoghi comuni per mostrare il proprio punto di vista. Lo fa esibendo una dote che mi piace avvicinare a Lynch o a Tarantino, e cioè costruendo la scena di modo che somigli alla Terra, solo spostata in un'altra dimensione. Il modo in cui si presenta il mondo di Birdman (che poi è il mondo di Babel, quello di 21 Grammi e prima ancora quello di Amores perros) oscilla fra l'allegorico e il disgustoso, ma Iñarritu non se la sente di dare spiegazioni compiute: lui che da sempre è un noto moralista (il sottotitolo del film è Le imprevedibili virtù dell'ignoranza) che non rilascia moralismi.
Molto probabilmente il cinema tradizionale ha davvero fatto il suo tempo (qualcuno se ne è accorto da tempo, basta guardare Inland Empire o Maps To The Stars per rendersene conto) e Birdman è un'altra di quelle opere d'arte che arrivano da non si sa bene dove al solo scopo di rammentarcelo. Come dimostra il Birdman seduto sul cesso, alla fine del film, non siamo più noi a guardare i super-eroi, ma i super-eroi a guardare noi, ad assicurarsi che il livello di ossessione per la nostra immagine sia alla giusta temperatura e che si stia davvero tutti morendo.
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