Nel 1984, un 26enne Tim Burton girò una macabra parodia del Frankenstein di Shelley, dove il piccolo Victor riportava in vita il suo cane Sparky, morto in un incidente. Questo cortometraggio (26 minuti) prodotto dalla Walt Disney fu un cocente insuccesso di pubblico, tant'è che Burton fu addirittura licenziato dalla casa produttrice.
Nel 2013, un Tim Burton invecchiato non bene e reduce da sei pellicole una più scadente di un'altra firma Frankenweenie 3D, lungometraggio animato prodotto ovviamente dalla Disney (qui ci sta bene un <<W la coerenza!>>) e ultima grande delusione per chi, come me, ha creduto nel talento di Burton (pur riconoscendone anche i grossi limiti) fino al meraviglioso Big Fish.
Essendo miope e portando ormai sempre più spesso gli occhiali, non amo vedere film in 3D: anzi, se posso li evito con tutto me stesso. Tuttavia, il 3D ha saputo regalarmi anche grandi emozioni (su tutte, Tron Legacy, l'unico film in cui lo stesso 3D è funzionale alla storia), dalle pirotecniche sparatorie degli ultimi Resident Evil fino al più recente Lo Hobbit di Jackson. Frankenweenie parte col piede sbagliato, visto che propone un 3D totalmente inutile, fastidioso e applicato ad un cartone in stop-motion bianco e nero. Quindi, la "forma" già fa schifo. Il disegno è il solito disegno sviluppato da malati di mente e destinato ad altrettanti malati di mente: e cioè agli unici che ancora hanno il coraggio di spendere belle parole per queste bimbe anoressiche vestite di nero, bianche come mozzarelle, con gli occhi a palla cerchiati da spesse occhiaie. Va bene, a fine anni '90, ai tempi di Nightmare Before Christmas, poteva essere un'idea originale, ma quando si inizia ad applicarla ai film con attori in carne ed ossa e a qualsiasi altro cartone animato creato da Burton&co., rompe le palle. Gli unici che forse fanno un po' di soldi grazie agli imbecilli innamorati di questo mondo pseudo-goth-dark sono i tatuatori, felici come pasque di realizzare in serie teschi sorridenti, mostriciattoli e spose cadavere varie. Ma tanto, al di là della cupezza delle sue figure, Frankenweenie è una storia profondamente disneyana, con l'immancabile happy-end, la morale carina e "il mostro che è il buono e i buoni sono i mostri". Anche quest'ultimo meccanismo è affascinante, sì, ma dobbiamo prendere atto che non vi si può costruire sopra un'intera carriera cinematografica. La trama del film può funzionare, ha delle buone idee, ma lo svolgimento è più adatto ad un corto di mezz'ora scarsa (quindi alla forma della pellicola originale) che a un'ora e mezza di dialoghi noiosi e prevedibili quanto l'agnello in tavola a Pasqua; i personaggi sono piatti, morti, senz'altro adatti al pubblico "cadaverico" dei burtoniani d.o.c., che vi si ritroveranno con sommo piacere; non c'è un minimo di senso del ritmo, della tensione; nulla.
Insomma, mi viene da parafrasare una celebre battuta del compianto Groucho Marx: "Grazie, ho trascorso una piacevole serata al cinema. Ma non è questa".
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