Joy è il primo film di David O. Russell che davvero non mi convince. Non lo dico per il soggetto (il film è una biografia, molto romanzata, della vita di Joy Mangano, inventrice fra l'atro del mocio autostrizzante), nè per il cast (la Lawrence sempre più bella e sempre più brava, Bradley Cooper in gamba, De Niro decente), nè per certe scelte di regia più "piccole" rispetto a quelle che avevano fatto The Fighter o American Hustle dei grandi film.
Il film funziona malissimo come biopic: c'è questa Cenerentola moderna che dopo tante angherie trova la sua posizione all'interno del sogno Americano (e con me un film che denigra le soap ma al contempo difende i valori delle televendite senza metterli in discussione già casca male), ma l'approfondimento psicologico del personaggio- un personaggio che soffre e si sacrifica -è paragonabile a quello di un nuovo personaggio di una qualsiasi puntata di Don Matteo (e lo stesso si può dire dei suoi sgradevoli familiari).
Il film funziona male come commedia: meno humour rispetto alle ultime prove di Russell non alleggerisce di certo le due ore e passa di durata. Anche le situazioni parodistiche della telenovela preferita dalla madre di Joy non divertono, non pungono, non fanno pensare.
Infine, il film funziona male anche come dramma: la morte della nonna Mimì promoter/voce narrante/angelo custode della povera Joy è piatta, sciatta e buttata lì, come intervallo per lacrime sensibili.
E io sono un musicofilo consumato, ma stavolta non mi sono bastate Stray Cat Blues, I Feel Free e- oh mio Dio -Racing In The Street per pianoforte solista a farmi sciogliere un po'. Se non sapessi che Russell pensava da tempo a questa storia e voleva realizzarla da anni, avrei pensato di trovarmi di fronte ad un'operetta su commissione girata con la mano sinistra. E la mano sinistra di Russell, diciamocelo, non sarà mai la mano sinistra di quello che continua ad essere il suo più grande punto di riferimento: Martin Scorsese.
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