Sonata Arctica,
Pariah's Child (Nuclear Blast, 2014)
★★
Per i profani, certi generi musicali si riducono a monoblocchi di chitarre elettriche sferraglianti, in cui riecheggiano lotte sanguinose delle brume nordiche tra gente vestita di pelliccia con nomi impossibili da pronunciare. In cielo svolazza almeno un drago, mentre nei boschi si aggirano stregoni e folletti. Il power metal nordeuropeo pone indissolubilmente l'ascoltatore di fronte a tutto questo mondo di miti e leggende, e sta a chi vi si avvicina compiere un passo in più e superare i pregiudizi che circondano un determinato genere: solo in questo modo, si potrà finire ammaliati da questa musica infinita che talvolta arriva a distendersi in vere e proprie "saghe discografiche", per un totale di decine di canzoni.
I finlandesi Sonata Arctica (si chiamano così perchè provengono da Kemi, cittadina lappone situata poco sotto il Circolo Polare), sin dall'uscita di Ecliptica (Century Media, 1999), hanno saputo destreggiarsi benissimo in quella selvaggia regione dell'heavy metal che è il power. Sulla scia del successo dei ben più celebri connazionali Stratovarious, hanno abbracciato un metallo più melodico e scritto testi sempre molto "fantasyosi", senza però mai dimenticarsi che il loro background culturale risiedeva in quei piccoli club dal gusto anglofilo dove suonavano prevalentemente cover di Queen, Genesis, Metallica, Black Sabbath e Kiss. Ma dal momento in cui quel background ha preso il sopravvento (mi riferisco alla produzione a cavallo fra il 2007 e il 2012), la musica dei Sonata Arctica, almeno per me, ha cessato di esistere: ed è per questo che il 28 marzo non sono uscito di testa di fronte alla copertina col vecchio logo e, soprattutto, col vecchio lupo (simbolo originario del gruppo e segnale di un ritorno alle origini nel sound della band di Tony Kakko) di Pariah's Child, ottavo album in studio della band finlandese. E sono molto contento di non avere "fanneggiato", perchè Pariah's Child, per quanto voglia tornare ai fasti di un capolavoro come Reckoning Night (un album che band in giro da più tempo dei Sonata Arctica si sognano beatamente), ha veramente poco di quel vecchio stile power metal che tanto mi mandava in brodo di giuggiole fino a qualche anno fa.
Certo, il singolo The Wolves Die Young (uscito a febbraio) fa davvero presagire un gran bel disco, elegante, spontaneo e mai pacchiano, ma la fregatura è dietro l'angolo. Risulta palese che Tony Kakko e i ragazzi vogliano davvero trasportare i fan più accaniti dentro ai propri booklet, lì sulla neve polare, in compagnia di quel corvo e di quel lupo; peccato che, allo stesso tempo, vogliano anche proseguire lungo la strada degli esperimenti più progressive in stile Unia. E così, ecco saltare fuori pezzi che non sono "nè carne nè pesce", da Half Of A Marathon Man a Blood, fino alla lunga Larger Than Life. Ironia della sorte, forse gli unici brani meritevoli di essere trasferiti nei nostri iPod sono proprio quelli meno "puristi" (penso a X-Marks The Spot o a Cloud Factory). Di fronte però ad una ballata talmente infima in tutto e per tutto da chiamarsi Love non si può che convincersi che i Sonata Arctica abbiano perso la bussola, ed è inutile che sguinzaglino il loro caro vecchio lupo per fiutare la giusta pista da seguire: pare servire a ben poco.
Nessun commento:
Posta un commento