J. Baudillard, Le strategie fatali
Una scritta bianca su sfondo nero ci informa che la versione di Nymph()maniac a cui stiamo per assistere è stata tagliata e montata dal produttore e che Lars Von Trier l'ha solo approvata, senza intervenire direttamente in sede di montaggio.
Gli spettatori di quasi tutti i paesi in cui l'ultima fatica (mai termine è stato più appropriato) del regista danese è stata distribuita vedranno questa versione: vietata ai minori di 14 anni e suddivisa in due volumi, uno da due ore, l'altro da due ore e mezza. Il tutto mentre i nostri vicini francesi, al contrario, si godono la versione uncut, quella proibita, messa all'indice a causa dell'alto, altissimo contenuto di membri maschili. Anzi, di "cazzi", per dirla col vocabolario di Joe (C. Gainsbourg), la ninfomane protagonista del film che viene raccolta- piena di lividi e sangue -in un vicolo dal colto Seligman (il grande Stellan Skarsgard), unico personaggio disposto ad ascoltare una vicenda umana malata, ordinaria e sincera, scandita in cinque diversi capitoli che somigliano ad un romanzo di formazione o ad un percorso iniziatico, rituale. Come rituale è tutta la produzione di Von Trier, specie negli ultimi anni, dove il suo camuffamento "autoriale" condotto sul cinema di genere ha dato frutti molto diversi da loro: mi riferisco al brutto Antichrist (che però, come semplice horror, era eccezionale) e al fantastico e ancora incompreso Melancholia (ovvero una bella copia di Roland Emmerich che incontra Tarkovskij). Tuttavia, Nymph()maniac non sembra volersi legare troppo a queste opere che lo precedono: anche solo per il semplice fatto che, fermandosi al piano superficiale, non è un film di genere. Perciò tanto vale dirlo da subito: Nymph()maniac vol. 1 non è un film porno, nè un porno girato da un grande regista. Coloro che non riescono ad affrontare certe cose o decidono di sminuirle o addirittura di cancellarle sono i primi a cadere nella trappola del pregiudizio; il tutto per la somma gioia di Von Trier, pescecane nordico, anarchico destrorso, visionario che non si vergogna di filmare le interiora della razza umana.
Siamo solo di passaggio: lo sa bene Von Trier e lo sanno bene i personaggi del suo film, che, pur nella sua moltitudine di membri in erezione, amplessi e orgasmi multipli, può essere ridotto al canovaccio nordico e bergmaniano della sonata a due voci, una che racconta, l'altra che ascolta. Non è il nostro mondo, quello di Nymph()maniac, bensì un qualcosa di ben più reale: nonostante ciò, la collocazione geografica è soltanto suggerita, il tempo è messo in un angolo, e il sesso- che nel nostro tempo è ovunque e in ogni forma, svilito a grezzo strumento di marketing -cessa di essere fasullo. Basta con le donne "gommate" che sembrano uscire dalla clinica di Fuga da Los Angeles: nulla sembra più vero della vagina di Stacy Martin, il cui personaggio ha capito perfettamente che cos'è il sesso e come sfruttare il potere conferitogli, così come sa benissimo come comportarsi nei confronti dell'essere maschile, spesso gretto e stolto. Ed è ancora una volta su quella linea di confine fra l'iperrealismo e l'onirico che Von Trier costruisce tutta la sua lectio, smontata e mutilata di mezz'ora per la gioia dei censori, ma comunque riuscita, grazie anche ad una schiera di attori tanto perfetti (la Thurman, su tutti) quanto impensabili in determinati ruoli.
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