"Truants Move On... Cannot Stay Long
Some Die Just To Live... "
Pearl Jam, Immortality
Uno smile con la bocca serrata in un sorriso irregolare che lascia fuori un pezzetto di lingua e con due piccole "x" al posto degli occhi stampato su un felpone nero. Il cappuccio è obbligatorio: serve ad essere misteriosi, schivi, malinconici, scontrosi, arrabbiati. Le due taglie di troppo e un lavaggio non molto frequente accentuano il tutto.
Some Die Just To Live... "
Pearl Jam, Immortality
Uno smile con la bocca serrata in un sorriso irregolare che lascia fuori un pezzetto di lingua e con due piccole "x" al posto degli occhi stampato su un felpone nero. Il cappuccio è obbligatorio: serve ad essere misteriosi, schivi, malinconici, scontrosi, arrabbiati. Le due taglie di troppo e un lavaggio non molto frequente accentuano il tutto.
Una felpa così puoi trascinarla in lungo e in largo per un campo di lavanda, puoi lasciarcela per un pomeriggio intero, ma sarà tutto inutile: continuerà ad emettere quell'odore di sigaretta rubata alla mamma e fumata di nascosto in un cesso di scuola. Una felpa così merita di assorbire gli schizzi di una lattina di birra scadente aperta con mano indecisa ma al contempo avida di spremere fino alla fine quel contenitore di inebriante nettare luppoloso. Una felpa così puoi prestarla ad amici provenienti da tutti gli strati sociali e anche all'Omino Bianco in persona, ma continuerà ad odorare di polline nei secoli dei secoli. E' una felpa dei Nirvana, e non ci si può far niente: la prima felpa dei Nirvana non si scorda mai.
Non ho problemi a raccontarlo, nè mi vergogno: il grunge è entrato nella mia vita sottoforma di un capo di abbigliamento (passato di moda già dieci anni fa, certo, ma pur sempre di abbigliamento si parla). Gli integralisti non approverebbero, ma i pochi integralisti rimasti abitano dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, in una città più grande e più brutta di quella dove vivo io. O al massimo abitano a Perugia, che è gemellata con questa città più grande e più brutta dove sono state inventate certe band, certe felpe e anche certe camicie da boscaiolo che oggi costano care e spesso compaiono subito dopo i due punti e la stramba parola anglosassone dress-code.
Avevo delle compagne di scuola che, a quattordici anni, riempivano i propri pesanti diari di frasi estrapolate dalle canzoni delle band stampate su queste fepe. <<Tutta colpa del "male di vivere">>, dicevano. Poi ti accorgi che il "male di vivere" ti fa ascoltare buona musica, ti fa leggere dei bei libri, ti fa desiderare di scappare di casa, ti fa conoscere le persone a cui giuri di volere bene per sempre, e, se sei fortunato, ti fa anche innamorare. Forse tutto questo grande "male" alla fine non è. Tuttavia, è stato quel "male di vivere" a far sì che Kurt Cobain si sparasse in bocca venti anni fa. "Giovane, ricco e famoso", e ancora "suicida", la maledizione del "Club dei 27", "l'eroina", "la passione per le armi da fuoco" e altri "pretesti", altre etichette, altre cazzate. La verità è che non ho mai capito come una persona sposata (<<Married... Buried...>>) con Courtney Love potesse ammazzarsi. Ma l'avete vista Courtney Love? L'avete guardata bene? Avete mai ascoltato, ininterrottamente per giorni e giorni, un disco come Live Through This delle Hole? E avete mai osservato con attenzione le fotografie di Kurt e Courtney? A me ne capitò una sotto gli occhi verso i quindici anni: accompagnava un articolo celebrativo stupido e vuoto pubblicato su ZaiNet, una di queste riviste studentesche altrettanto stupide e vuote che regalano (o meglio, regalavano) a scuola per rendere più sopportabile l'adolescenza. Lui aveva i capelli tinti di rosso, lei gli stampava un bacio sulla guancia sinistra. Decretai che quando due persone si fanno una foto in quel modo devono essere destinate a passare il resto della loro vita insieme. L'ho rivista in edicola il mese scorso come copertina di Rolling Stone, quella foto: non pensavo, ma è riuscita ad emozionarmi ancora una volta. Lo stesso effetto continuano a farmelo il grunge, i Nirvana, Kurt Cobain e compagnia bella.
<<Uno sfigato incapace>> e <<Un debole>> erano due fra i tanti epiteti con cui i metallari d'annata definivano Kurt Cobain, mentre i rocker vecchi e navigati ridacchiavano e alla domanda <<Ma 'sti Nirvana, insomma, a parte che lui si drogava e si sparava, come sono?>> rispondevano <<Carini, sì, ma sopravvalutati...>>. I peggiori erano (e rimangono) i perbenisti, quelli che non ascoltavano la musica scritta dai drogati: può sembrare una descrizione retorica e sbrigativa, ma con "la gente che sta bene" andava veramente così, con i Nirvana che si drogavano e facevano drogare i tuoi coetanei, con gli Iron Maiden che pregavano il diavolo e facevano pregare il diavolo ai tuoi coetanei, eccetera. Comunque, superati certi ostacoli sociali, riuscii ad ascoltare seriamente la mia prima canzone dei Nirvana, e cioè Rape Me. Avvenne in un pomeriggio di sole, nella camera del mio migliore amico. Il compact contenente il brano rappresentava per lui una vera e propria sacra reliquia: si trattava di una ricca e variegata antologia compilata e masterizzata da una sua fiamma, bella e spregiudicata come poche altre ragazze su cui allora osavamo posare i nostri miopi sguardi. Mi raccontava di quando lei mandava Rape Me a tutto volume, facendo roteare testa e capelli e urlandogli addosso, quasi fosse una preghiera selvaggia e perversa, il ritornello della canzone. Per un pezzo di due minuti e mezzo suonato da una band che ormai da tempo aveva attirato le mie attenzioni era una presentazione più che sufficiente. E, in effetti, il brano rispettò le aspettative: ad oggi, rimane la canzone dei Nirvana che preferisco, uno sverginamento grunge indimenticabile.
Da questo meraviglioso primo appuntamento, ne deriva che In Utero continua ad essere il mio disco dei Nirvana preferito. Non me ne vogliano gli amanti di Nevermind, che è un capolavoro indiscutibile e di un'importanza storica impareggiabile, ma a livello soggettivo tendo ad essere affezionato maggiormente ad un disco che in un'ora e dieci mi presenta, fra le altre, Pennyroyal Tea, All Apologies, Heart-Shaped Box, Scentless Apprentic e la stessa Rape Me. E poi In Utero ha il merito di essere stato il disco preferito di Cobain, quello con cui i Nirvana hanno fuso totalmente il mainstream (il disco esce di nuovo per la Geffen ed è subito primo in classifica) con l'underground (alla produzione di Steve Albini e alla band fu lasciata praticamente carta bianca) e quello che il pubblico ha impiegato più tempo a metabolizzare e ad accettare. Le tenebre che ancora oggi avvolgono l'ascoltatore, sono le stesse emanate dal leggendario Unplugged, primo album uscito dopo la morte di Cobain e ulteriore grande opera del rock moderno. Dopodichè, è facile ritrovare il lascito di quel suicidio del 5 aprile di venti anni fa in molte altre cose. Ad esempio, penso ai Pearl Jam, che nell'inverno del 1994 salutano Cobain e "uccidono" il grunge con Vitalogy, il loro album più bello.
Penso ai R.E.M. di Monster (1995), alle chitarre nirvaniane che vi risuonano dall'inizio alla fine e all'esplicita dedica To Kurt And River (Phoenix) apposta prima del testo di Let Me In.
Penso a Neil Young, l'uomo che suonava e cantava grunge con venticinque anni di anticipo, che da allora non ha più suonato Hey Hey, My My dal vivo, a causa della strofa da essa estrapolata e trascritta nel biglietto lasciato da Cobain.
Penso ai Foo Fighters di Dave Grohl, alle loro prime canzoni, al fatto che mi piacciano ma anche a quanto mi fanno ridere coloro che parlano di "ideale proseguimento dei Nirvana". Sveglia, coglioni, non diciamo cazzate!
Penso alla maledizione del 5 aprile e a Seattle, che nel 2002 vede morire per overdose il grande Layne Stanley degli Alice In Chains, a loro volta tanto amati e ammirati da Cobain.
Penso alla pellicola Last Days di Gus Van Sant e al fumetto Nevermind di Tuono Pettinato, che hanno regalato al mondo un'idea di quel 5 aprile 1994 "diversa" ma in qualche modo straordinariamente più reale e umana rispetto a quella rigorosa, giornalistica e documentaristica riportata nelle innumerevoli agiografie scritte in questi vent'anni sui Nirvana, sempre più simili ad un verbale di polizia che non a volumi scritti da persone che vorrebbero celebrare una grande band.
Penso a determinati momenti della mia vita, ai giorni e alle notti, alle mattine e alle serate, alle ore passate in compagnia di certe canzoni, e onestamente non riesco a figurarmele senza quella colonna sonora di sottofondo. Il giorno in cui le penserò privandole della voce di Kurt Cobain, quello sarà un giorno triste e sbagliato.
<<Uno sfigato incapace>> e <<Un debole>> erano due fra i tanti epiteti con cui i metallari d'annata definivano Kurt Cobain, mentre i rocker vecchi e navigati ridacchiavano e alla domanda <<Ma 'sti Nirvana, insomma, a parte che lui si drogava e si sparava, come sono?>> rispondevano <<Carini, sì, ma sopravvalutati...>>. I peggiori erano (e rimangono) i perbenisti, quelli che non ascoltavano la musica scritta dai drogati: può sembrare una descrizione retorica e sbrigativa, ma con "la gente che sta bene" andava veramente così, con i Nirvana che si drogavano e facevano drogare i tuoi coetanei, con gli Iron Maiden che pregavano il diavolo e facevano pregare il diavolo ai tuoi coetanei, eccetera. Comunque, superati certi ostacoli sociali, riuscii ad ascoltare seriamente la mia prima canzone dei Nirvana, e cioè Rape Me. Avvenne in un pomeriggio di sole, nella camera del mio migliore amico. Il compact contenente il brano rappresentava per lui una vera e propria sacra reliquia: si trattava di una ricca e variegata antologia compilata e masterizzata da una sua fiamma, bella e spregiudicata come poche altre ragazze su cui allora osavamo posare i nostri miopi sguardi. Mi raccontava di quando lei mandava Rape Me a tutto volume, facendo roteare testa e capelli e urlandogli addosso, quasi fosse una preghiera selvaggia e perversa, il ritornello della canzone. Per un pezzo di due minuti e mezzo suonato da una band che ormai da tempo aveva attirato le mie attenzioni era una presentazione più che sufficiente. E, in effetti, il brano rispettò le aspettative: ad oggi, rimane la canzone dei Nirvana che preferisco, uno sverginamento grunge indimenticabile.
Da questo meraviglioso primo appuntamento, ne deriva che In Utero continua ad essere il mio disco dei Nirvana preferito. Non me ne vogliano gli amanti di Nevermind, che è un capolavoro indiscutibile e di un'importanza storica impareggiabile, ma a livello soggettivo tendo ad essere affezionato maggiormente ad un disco che in un'ora e dieci mi presenta, fra le altre, Pennyroyal Tea, All Apologies, Heart-Shaped Box, Scentless Apprentic e la stessa Rape Me. E poi In Utero ha il merito di essere stato il disco preferito di Cobain, quello con cui i Nirvana hanno fuso totalmente il mainstream (il disco esce di nuovo per la Geffen ed è subito primo in classifica) con l'underground (alla produzione di Steve Albini e alla band fu lasciata praticamente carta bianca) e quello che il pubblico ha impiegato più tempo a metabolizzare e ad accettare. Le tenebre che ancora oggi avvolgono l'ascoltatore, sono le stesse emanate dal leggendario Unplugged, primo album uscito dopo la morte di Cobain e ulteriore grande opera del rock moderno. Dopodichè, è facile ritrovare il lascito di quel suicidio del 5 aprile di venti anni fa in molte altre cose. Ad esempio, penso ai Pearl Jam, che nell'inverno del 1994 salutano Cobain e "uccidono" il grunge con Vitalogy, il loro album più bello.
Penso ai R.E.M. di Monster (1995), alle chitarre nirvaniane che vi risuonano dall'inizio alla fine e all'esplicita dedica To Kurt And River (Phoenix) apposta prima del testo di Let Me In.
Penso a Neil Young, l'uomo che suonava e cantava grunge con venticinque anni di anticipo, che da allora non ha più suonato Hey Hey, My My dal vivo, a causa della strofa da essa estrapolata e trascritta nel biglietto lasciato da Cobain.
Penso ai Foo Fighters di Dave Grohl, alle loro prime canzoni, al fatto che mi piacciano ma anche a quanto mi fanno ridere coloro che parlano di "ideale proseguimento dei Nirvana". Sveglia, coglioni, non diciamo cazzate!
Penso alla maledizione del 5 aprile e a Seattle, che nel 2002 vede morire per overdose il grande Layne Stanley degli Alice In Chains, a loro volta tanto amati e ammirati da Cobain.
Penso alla pellicola Last Days di Gus Van Sant e al fumetto Nevermind di Tuono Pettinato, che hanno regalato al mondo un'idea di quel 5 aprile 1994 "diversa" ma in qualche modo straordinariamente più reale e umana rispetto a quella rigorosa, giornalistica e documentaristica riportata nelle innumerevoli agiografie scritte in questi vent'anni sui Nirvana, sempre più simili ad un verbale di polizia che non a volumi scritti da persone che vorrebbero celebrare una grande band.
Penso a determinati momenti della mia vita, ai giorni e alle notti, alle mattine e alle serate, alle ore passate in compagnia di certe canzoni, e onestamente non riesco a figurarmele senza quella colonna sonora di sottofondo. Il giorno in cui le penserò privandole della voce di Kurt Cobain, quello sarà un giorno triste e sbagliato.
"Out Of The Blue...
And Into The Black..."
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