Breve premessa giustificatoria
Decido di partecipare ad un concorso di critica indetto dall'autorevole settimanale di cinema FilmTv. Titolo dell'iniziativa è Il migliore del millennio: consiste nello scegliere il film italiano che si reputa essere il migliore uscito fra il 2000 e il 2012 e parlarne, con totale libertà contenutistica, in uno spazio che non superi le cinquecento battute. Il premio in palio? A fine agosto potrebbero pubblicare, fra le altre, la mia nota critica sulla rivista.
Ho scelto The Dreamers di Bertolucci, che è uscito esattamente dieci anni fa e che rappresenta uno dei punti fermi della mia crescita non solo di spettatore, ma anche di individuo. Così, per giorni, mi sono abbandonato ad un flusso di pensieri, ricordi e visioni riguardanti questo film: le righe che seguono (dalle quali ho poi tirato fuori il pezzo per la rivista) altro non sono che la traduzione in linguaggio scritto delle mie personalissime impressioni scaturite dalla visione decennale dell'opera. Mi scuso dunque con chi leggerà se certe parti gli appariranno un po' sibilline e l'aspetto più critico troppo condizionato dai valori di una soggettività della quale non avrei saputo fare a meno.
Buona lettura.
SOGNANDO I SOGNATORI
ossia 2003-2013: DIECI ANNI DI "THE DREAMERS"
ovvero "THE DREAMERS" E LA REALTA' OLTRE LO SCHERMO
"Essere al cinema vuol dire sognare ad occhi aperti, tutti insieme, lo stesso sogno. Che è il film."
Bernardo Bertolucci
A lungo ho sognato di fare il bagno come i sognatori. Il problema è che quando si arriva a farlo nella realtà o c'è qualcuno di troppo o la vasca è troppo piccola.
Ma il cinema non pone i problemi che ci pone ogni giorno la vita. Forse è anche per questo che io, come Matthew, Theo e Isabelle in The Dreamers, ma anche come Groucho Marx e tanti altri, considero il cinema come un qualcosa di qualitativamente superiore alla vita. Trame, personaggi, colori: il cinema non solo ci mostra come dovrebbe essere l'esistenza, ma ci insegna come essa andrebbe vissuta. Per molto tempo, e ogni tanto anche adesso, vorrei ritrovarmi sotto quella pioggia meravigliosa con i capelli bagnati, Eva Green che mi bacia e Queen Jane Approximately come colonna sonora che esce fuori dai vicoli o scende direttamente dal cielo. Ma il fatto che io non abbia mai baciato Eva Green, che quando sia stato a Parigi (ormai più di cinque anni fa) non sia mai piovuto e che una delle mie canzoni preferite di Dylan non sia mai scesa dal cielo non significa che io, spettatore e in secondo luogo essere vivente, non abbia mai provato le sensazioni che prova Matthew in quella scena: perchè possono cambiare luogo, ambientazione, attori, colonna sonora, epoca, ma la sensazione di voler rivivere quella manciata di fotogrammi, fosse anche solo per un minuto, rimane. Non si tratta mai di emulazione fallita: i tre giovani cinefili protagonisti di The Dreamers non "mimano" mai un film per gioco, ma lo prendono sul serio, andando a infrangere regole morali e tabù. The Dreamers parla prevalentemente di trasgressione, di punti di rottura: punti di rottura familiari (l'incesto, l'odio verso i genitori), sessuali (l'iniziazione dei protagonisti, che vivono appunto la loro prima volta come penitenza per aver perso ad un gioco cinematografico), storici (sullo sfondo abbiamo il maggio francese). Ecco, è interessante come anche qui, come già successo in Ultimo tango, Bertolucci metta in secondo piano la Storia: apparentemente, The Dreamers, potrebbe anche essere un film sul '68, quando non è così. Non è il racconto della memoria pubblica ad interessarlo, quanto quello di una memoria intima triangolare (i due gemelli e l'americano). E così tutto il film finisce col reggersi su tre punti: il cinema, la storia e l'eros, e questi tre punti sono tutti in contraddizione fra di loro. A Matthew, Theo e Isabelle, infatti, non interessa sapere cosa stia succedendo nel mondo: loro stanno bene nella trincea domestica borghese, giocano a fare i maoisti mentre fuori c'è la rivoluzione. Al rifiuto della politica attiva, al preferire le parole ai fatti, al costruire rapporti di amore puro, si accompagna una fervente attrazione erotica che viene a crearsi grazie al cinema e che finirà là dove l'amore per il cinema prevale.
Quando ho visto il film per la prima volta non avevo ancora compiuto quattordici anni, e mi interessava molto di più scoprire le innumerevoli citazioni di Truffaut e Godard (dei quali mi ero letteralmente nutrito per tutte le scuole medie, attingendo alla collezione di VHS di famiglia) e vedere magari le bellissime poppe di Eva Green che entrare nella psicologia dei personaggi. Invece, già due anni dopo, tutto era cambiato: lo vidi durante il passaggio (mutilato e censurato) in prima visione TV e rimasi sconvolto da tutta una serie di dialoghi e comportamenti, e fu proprio grazie al personaggio di Matthew che capii che nella vita non occorre avere qualcuno che ti ama moltissimo, e che può bastare qualcuno che ti ama. Capii più che mai che a Bertolucci non interessava parlare della rivoluzione, quanto usare, sfruttare la rivoluzione e che le rivoluzioni, di qualunque tipo o colore esse siano, sono molto meno importanti del cinema, così come le prove d'amore esistono, perchè sono concrete, l'amore invece no, perchè nessuno l'ha mai visto. Così, l'unica rivoluzione in atto nel film è quella personale, intima, quella che coinvolge e sconvolge i tre protagonisti. Il nichilismo ostentato da questi personaggi, questa volontà di sincero, genuino autolesionismo demoliscono una realtà che non vale più niente, tirando su un muro fisico e metaforico che li allontana ogni giorno di più da quell'innocenza ormai lontana. Il mondo di The Dreamers è un microcosmo dove l'inesistenza di un Dio e l'annullamento di tutte le possibili forme di gerarchia sociale e familiare sono postulati di preferenza assoluta, che trovano un loro preciso ordine solo nella pratica amorosa e cinematografica: amore e cinema, prove di amore e prove di cinema. La cruda realtà quotidiana è quella che sfonda la finestra di casa alla fine del film sottoforma di un sasso, facendo calare nel caos il triplice giro di vite dei giovani e riportando un caotico ordine storico in un universo che ha goduto di armonia propria fino a quel momento. I fazzoletti, le molotov, le barricate, lo scontro finale con la polizia si impongono come spiriti tangibili dell'ineffabile morte dell'amore, della giovinezza e, sì, anche del cinema, celebrati fino a poco prima in un rito sancito dall'unione di sperma e sangue. Gli stadi evolutivi attraversati dai tre durante il maggio francese portano ad una maturità che non è coscienza di sè, ma solo scompiglio e paura, in un mondo dettato da una casualità che neanche il cinema è in grado di immortalare e restituire ai suoi spettatori. E se Bertolucci faceva dire già in Io ballo da sola (1996) all'anziano ex-sognatore Jean Marais le importanti parole <<Vi amavo tutti, quando eravate vivi>>, solo con The Dreamers possiamo realizzare che chi ha davvero sognato, amato e vissuto in un certo modo è morto e che l'unico modo in cui possiamo ancora condividere le sue esperienze e i suoi ricordi è solo grazie al cinema.
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