A novembre compirò ventiquattro anni, e non sono abbastanza "vecchio" per potermi definire un fan della prima ora di Star Trek, nè abbastanza appassionato a questa storica serie per rientrare in quella schiera che i giornali definiscono "lo zoccolo duro dei fans": tuttavia, conosco molto bene la prima stagione (chiamiamola così, va') televisiva sulle avventure della Enterprise e ho visto, anche se con una certa fatica e in un ampio lasso di tempo, tutti e dieci i film girati fra il 1979 e il 2002, trovandoli perlopiù scadenti e privi dello spirito dell'originale trasmesso dalla NBC. Non considero brutte queste pellicole perchè sono un retromane marcio, come ce ne sono tanti: al contrario, le considero brutte perchè pur essendo film più "moderni" pensati per piacere ad un pubblico più "moderno" risultavano essere già ampiamente superati in tutti i loro aspetti al momento dell'uscita.
Ma con il reboot del 2009 tutto è cambiato: è cambiato il destino cinematografico di Star Trek, così come è cambiato il destino professionale di J.J. Abrams, produttore, sceneggiatore e compositore divenuto regista nell'occasione dell'orrendo Mission Impossible: III (anche se il suo "Oscar della Merda" lo ha stravinto nel 2011 con Super 8). Abrams ha dimostrato di saper far rivivere sul grande schermo lo spirito di un telefilm iniziato più di quarant'anni prima (nel 1966, per l'esattezza), grazie al lavoro di truccatori, attori e sceneggiatori veramente in gamba. Ed è allo stesso team creativo che dobbiamo la realizzazione di questo sequel, del quale parlare non è di certo semplice. Non lo è perchè Into Darkness, per tanti versi, è nettamente superiore all'episodio di quattro anni fa, mentre per altri è un film che ha ben poco da aggiungere sia alla saga fantascientifica che alla carriera del futuro regista di Star Wars VII.
Il film parte "in quinta", con un inseguimento à la 007 su Nibiru, un pianeta pseudo-tribale dove la ciurma dell'Enterprise si è recata per scongiurare una catastrofe socio-geologica: Kirk & co., infatti, devono neutralizzare un vulcano che potrebbe esplodere annientando ogni forma di vita sul pianeta. Gli aborigeni sono buffi, Spock rischia di morire, viene salvato da Kirk, litiga con Nyota e salva il pianeta. A questo punto Into Darkness può iniziare, supportato dalla superba colonna sonora firmata da Michael Giacchino. Passano altri due minuti e conosciamo il cattivone del film, cioè il signor Khan.
Khan?
Quel Khan?
Khan quello di Star Trek II- L'ira di Khan?
Sì, esattamente lui. Anche stavolta è il più forte di tutti, spacca tutto e vuole conquistare tutto. Ma non vorrei essere riduttivo: è un cattivo vero, non ridicolo, non divertente, non avvicinabile al Loki degli Avengers (tanto per citare il cattivo stupido che troviamo in un certo tipo di cinefumetto). La furbata autoriale di Abrams, la forza di questo secondo capitolo, risiede proprio in Khan, in questo antagonista che per tanti versi ha delle affinità col protagonista, al quale pare contrapporsi ma con cui ottiene un ruolo praticamente da comprimario. Non è un caso se tutta la seconda parte del film si basa sul proverbio, recitato proprio da Kirk, "i nemici dei miei nemici sono miei amici". Ma Khan è cattivo fino in fondo, e non c'è spazio per allearsi, somigliarsi, volersi bene. Così come non c'è tempo o occasione per essere eroici. C'è ben poco di eroico nello scontro fra Khan e Spock: Star Trek non è Spielberg, e i protagonisti non vivono in un quadretto guerrafondaio dove l'eroe è colui che muore al rallentatore avvolto in una bandiera a stelle e strisce e abbracciando la morte. In Into Darkness si muore provando rabbia, la rabbia di coloro che non ce la stanno facendo e che sono costretti, dal destino, a lasciare questa dimensione. E anche se questo film presenta una delle sceneggiature più campate per aria della storia (con "campate per aria" intendo dire "basate quasi esclusivamente sulla botta di culo, sulla fortuna e, nei casi più estremi, sulla coincidenza"), il risultato soddisfa e lascia allo spettatore almeno due o tre certezze:
1) esisterà sicuramente un nuovo Star Trek III in un prossimo futuro.
2) Abrams potrà dirigere usando anche solo la mano sinistra Star Wars VII, ma a condizione che lasci a casa il trio Orci-Lindelof-Burk, la cui formula stilistica priva di strutture logiche lascia il tempo che trova già in un film come questo, e dunque mal si presterebbe al seguito de Il ritorno dello Jedi.
3) gli effetti speciali sono belli ma meno esagerati rispetto alla maggior parte della spazzatura sci-fi che esce ai giorni nostri (mi viene in mente proprio il recente After Earth), ma questo è uno dei grandi pregi di Into Darkness, che mantiene anche sul piano tecnico (nonostante sia stato girato interamente in IMAX) un certo tradizionalismo che di questi tempi non può che fare del bene al cinema di genere.
Il film parte "in quinta", con un inseguimento à la 007 su Nibiru, un pianeta pseudo-tribale dove la ciurma dell'Enterprise si è recata per scongiurare una catastrofe socio-geologica: Kirk & co., infatti, devono neutralizzare un vulcano che potrebbe esplodere annientando ogni forma di vita sul pianeta. Gli aborigeni sono buffi, Spock rischia di morire, viene salvato da Kirk, litiga con Nyota e salva il pianeta. A questo punto Into Darkness può iniziare, supportato dalla superba colonna sonora firmata da Michael Giacchino. Passano altri due minuti e conosciamo il cattivone del film, cioè il signor Khan.
Khan?
Quel Khan?
Khan quello di Star Trek II- L'ira di Khan?
Sì, esattamente lui. Anche stavolta è il più forte di tutti, spacca tutto e vuole conquistare tutto. Ma non vorrei essere riduttivo: è un cattivo vero, non ridicolo, non divertente, non avvicinabile al Loki degli Avengers (tanto per citare il cattivo stupido che troviamo in un certo tipo di cinefumetto). La furbata autoriale di Abrams, la forza di questo secondo capitolo, risiede proprio in Khan, in questo antagonista che per tanti versi ha delle affinità col protagonista, al quale pare contrapporsi ma con cui ottiene un ruolo praticamente da comprimario. Non è un caso se tutta la seconda parte del film si basa sul proverbio, recitato proprio da Kirk, "i nemici dei miei nemici sono miei amici". Ma Khan è cattivo fino in fondo, e non c'è spazio per allearsi, somigliarsi, volersi bene. Così come non c'è tempo o occasione per essere eroici. C'è ben poco di eroico nello scontro fra Khan e Spock: Star Trek non è Spielberg, e i protagonisti non vivono in un quadretto guerrafondaio dove l'eroe è colui che muore al rallentatore avvolto in una bandiera a stelle e strisce e abbracciando la morte. In Into Darkness si muore provando rabbia, la rabbia di coloro che non ce la stanno facendo e che sono costretti, dal destino, a lasciare questa dimensione. E anche se questo film presenta una delle sceneggiature più campate per aria della storia (con "campate per aria" intendo dire "basate quasi esclusivamente sulla botta di culo, sulla fortuna e, nei casi più estremi, sulla coincidenza"), il risultato soddisfa e lascia allo spettatore almeno due o tre certezze:
1) esisterà sicuramente un nuovo Star Trek III in un prossimo futuro.
2) Abrams potrà dirigere usando anche solo la mano sinistra Star Wars VII, ma a condizione che lasci a casa il trio Orci-Lindelof-Burk, la cui formula stilistica priva di strutture logiche lascia il tempo che trova già in un film come questo, e dunque mal si presterebbe al seguito de Il ritorno dello Jedi.
3) gli effetti speciali sono belli ma meno esagerati rispetto alla maggior parte della spazzatura sci-fi che esce ai giorni nostri (mi viene in mente proprio il recente After Earth), ma questo è uno dei grandi pregi di Into Darkness, che mantiene anche sul piano tecnico (nonostante sia stato girato interamente in IMAX) un certo tradizionalismo che di questi tempi non può che fare del bene al cinema di genere.
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