KANYE WEST, "Yeezus" (Def Jam, 2013)
Ammetto che ultimamente mi trovo fin troppo spesso a parlare di musica, ma del resto non è colpa mia se proprio a giugno i Boards Of Canada fanno capolino dopo otto anni di latitanza o se i Beady Eye tornano all'attacco con un disco di poco migliore del mediocre esordio o se tantomento i Sigur Ròs e Kanye West decidono di far uscire, nello stesso giorno, i rispettivi nuovi album. Non me ne vogliano dunque i kanye-maniaci se ieri ho dato la precedenza alla band islandese, ma l'ho fatto solo per una questione di genere: il rock, al contrario dell'hip-hop, gode di pessima salute e una buona recensione non può che rincuorare gli amanti dei chitarroni.
★★★
Ammetto che ultimamente mi trovo fin troppo spesso a parlare di musica, ma del resto non è colpa mia se proprio a giugno i Boards Of Canada fanno capolino dopo otto anni di latitanza o se i Beady Eye tornano all'attacco con un disco di poco migliore del mediocre esordio o se tantomento i Sigur Ròs e Kanye West decidono di far uscire, nello stesso giorno, i rispettivi nuovi album. Non me ne vogliano dunque i kanye-maniaci se ieri ho dato la precedenza alla band islandese, ma l'ho fatto solo per una questione di genere: il rock, al contrario dell'hip-hop, gode di pessima salute e una buona recensione non può che rincuorare gli amanti dei chitarroni.
Una delle cose che da sempre amo di più dell'opera di Kanye West è che è impossibile confondere un disco con un altro, per il semplice fatto che ognuno di questi è nettamente inseribile in un contesto specifico: ad esempio, l'esordio (capolavoro) The College Dropout (2004) è un disco ricco di venature soul e di basi in stile motown, mentre il "sequel" Late Registration (2005) già strizza l'occhio ad una maggiore pulizia del suono e a fastosi arrangiamenti orchestrali. Il genio postmoderno di West si manifesta, in tutto il suo splendore, quando nel 2007 esce Graduation, dove testi sempre più introspettivi vengono filtrati attraverso sintetizzatori, campionamenti e basi di musica elettronica che ancora oggi, dopo sei anni, continuano a meravigliare. Con 808s & Heartbreak (2008), invece, il rapper fa un passo (anzi, anche due o tre passi) indietro, sposando un elettropop che odora già di stantio e che non replica- giustamente -il successo dei suoi predecessori. Due anni dopo è il momento più rivoluzionario, e con My Beautiful Dark Twisted Fantasy West tocca il livello più alto della sua carriera, dando alle stampe un dei più bei dischi di sempre dove il rap, la musica sinfonica, il soul e l'elettronica si combinano e vanno a costituire il tappeto sonoro sul quale passano in rassegna testi che riguardano ormai la collettività, come in un grande romanzo sociale contemporaneo. Gli ultimi anni sono trascorsi all'insegna di progetti ottimi (Watch The Throne, nato dalla collaborazione con Jay-Z) e mediocri (Cruel Summer, frutto di un lavoro collettivo diretto e prodotto dal nostro Kanye), e mentre la figura pubblica del rapper di Atlanta è arrivata a somigliare un po' a quella di un "marchettaro" musicale (le pupe, il periodo da stilista, la Kardashian, ecc.), la sua musica si è semplificata sempre di più, arrivando a quello stato osseo, minimale con cui si presenta nel nuovo Yeezus.
In un mondo come quello del rap, dove la cultura religiosa è spesso di fondamentale importanza, è già bizzarro vedere un disco il cui titolo altro non è che una storpiatura in slang del nome "Jesus": siamo dunque di fronte ad un album non tanto blasfemo, quanto laico. I testi tornano a parlare dell'autore, sebbene senza quella spontaneità linguistica che aveva contraddistinto un capolavoro come Graduation. La rinuncia a tempi troppo lunghi si palesa già con l'apertura On Sight (uno dei quattro pezzi scritti e prodotti assieme ai Daft Punk), che dura meno di tre minuti, così come con la successiva Black Skinhead (che tanto aveva fatto parlare di sè durante la presentazione al Saturday Night Live): alla base non abbiamo l'electro-dance, i pianoforti o le ritmiche old-school, bensì una musica che mescola la ripetitività elettronica alle suggestioni industrial. Alla quarta traccia, New Slaves, cantata con Frank Ocean, l'album dà un primo accenno di caduta, ma si riprende con la successiva (e già più lunga) Hold My Liquor, ipnotico e bellissimo gospel sintetizzato dal sapore futurista. Al che riprende l'altalena fra canzoni buone (Blood In The Leaves), in certi casi ottime (Send It Up), e pezzi inutili, usati al solo scopo di riempitivi (mi riferisco, in particolare a I'm In It).
Che dire? La ricerca (sonora, artistica e musicale) c'è. Alla fine, si parla sempre e comunque di un album di Kanye West, genietto musicale che però dimostra di avere imparato un po' troppo bene certi giochetti. Ad esempio, una promozione come quella che è stata organizzata per Yeezus è forse troppo esagerata per un risultato tutto sommato modesto, così come pomposa e megalomane è la produzione (Rick Rubin è bravo, ma per il risultato e il genere di lavoro in studio svolto sarebbero bastati e avanzati i Daft Punk); d'altro canto, mancano delle collaborazioni di buon livello. E' vero, come sempre i grandi nomi piovono dal cielo, ma alla fine anche un giovanotto che sa il fatto suo come Kid Cudi dimostra di avere poco da dire in Guilt Trip. E poi tutte quelle seghe mentali sul lavorare in Europa, prendere ispirazione al Louvre, far scrivere a Bret Easton Ellis la sceneggiatura del video che poi è solo una parodia del film American Psycho tratto dall'omonimo romanzo, ecc.; insomma, tutti aspetti che, messi assieme non giustificano un album come Yeezus, frutto di un lavoro tutto sommato buono, che sta piacendo e continuerà a piacere, ma per il quale forse si poteva aspettare un po' di più e fare molto di meglio.
In un mondo come quello del rap, dove la cultura religiosa è spesso di fondamentale importanza, è già bizzarro vedere un disco il cui titolo altro non è che una storpiatura in slang del nome "Jesus": siamo dunque di fronte ad un album non tanto blasfemo, quanto laico. I testi tornano a parlare dell'autore, sebbene senza quella spontaneità linguistica che aveva contraddistinto un capolavoro come Graduation. La rinuncia a tempi troppo lunghi si palesa già con l'apertura On Sight (uno dei quattro pezzi scritti e prodotti assieme ai Daft Punk), che dura meno di tre minuti, così come con la successiva Black Skinhead (che tanto aveva fatto parlare di sè durante la presentazione al Saturday Night Live): alla base non abbiamo l'electro-dance, i pianoforti o le ritmiche old-school, bensì una musica che mescola la ripetitività elettronica alle suggestioni industrial. Alla quarta traccia, New Slaves, cantata con Frank Ocean, l'album dà un primo accenno di caduta, ma si riprende con la successiva (e già più lunga) Hold My Liquor, ipnotico e bellissimo gospel sintetizzato dal sapore futurista. Al che riprende l'altalena fra canzoni buone (Blood In The Leaves), in certi casi ottime (Send It Up), e pezzi inutili, usati al solo scopo di riempitivi (mi riferisco, in particolare a I'm In It).
Che dire? La ricerca (sonora, artistica e musicale) c'è. Alla fine, si parla sempre e comunque di un album di Kanye West, genietto musicale che però dimostra di avere imparato un po' troppo bene certi giochetti. Ad esempio, una promozione come quella che è stata organizzata per Yeezus è forse troppo esagerata per un risultato tutto sommato modesto, così come pomposa e megalomane è la produzione (Rick Rubin è bravo, ma per il risultato e il genere di lavoro in studio svolto sarebbero bastati e avanzati i Daft Punk); d'altro canto, mancano delle collaborazioni di buon livello. E' vero, come sempre i grandi nomi piovono dal cielo, ma alla fine anche un giovanotto che sa il fatto suo come Kid Cudi dimostra di avere poco da dire in Guilt Trip. E poi tutte quelle seghe mentali sul lavorare in Europa, prendere ispirazione al Louvre, far scrivere a Bret Easton Ellis la sceneggiatura del video che poi è solo una parodia del film American Psycho tratto dall'omonimo romanzo, ecc.; insomma, tutti aspetti che, messi assieme non giustificano un album come Yeezus, frutto di un lavoro tutto sommato buono, che sta piacendo e continuerà a piacere, ma per il quale forse si poteva aspettare un po' di più e fare molto di meglio.
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