martedì 3 aprile 2018

The Grateful Dead, "The Best of The Grateful Dead Live" [Suggestioni uditive]

The Grateful Dead,
The Best of the Grateful Dead Live
(Rhino Records, 2018, 2 Cd)




















Nel novanta percento dei casi, non darei spazio a una recensione focalizzata su un greatest hits, per di più contenente solo materiale live. Inoltre, nel novantanove percento dei casi, mi verrebbe anche spontaneo cassare una raccolta simile a quella qua sopra come l'ennesima trappola ordita dagli industriali del music business ai danni degli aficionados. Ma quando si parla di Grateful Dead, si parla di un universo in cui niente accade per caso. David Lemieux ha definito The Best of the Grateful Dead Live come l'altra faccia del doppio best of uscito nel 2015, in occasione dei cinquant'anni del gruppo: un'antologia retrospettiva che farà la gioia di chi i Dead già li venera, ma che è soprattutto rivolta- complice l'allettante prezzo di vendita -a presentare questo  doppio biglietto da visita ai neofiti. L'avventura inizia con la St. Stephen presentata al Fillmore West il 27 febbraio 1969 (già in uno dei tre migliori live albums di tutti i tempi, ossia Live/Dead) e si conclude con So Many Roads suonata al Soldier Field di Chicago il 9 luglio 1995 (data indelebile nella mente di ogni deadhead, in quanto ultima esibizione con Jerry Garcia). Nel mezzo, ere geologiche attraversate da una pioggia fittissima di capolavori. Aspetto interessante della raccolta: come nel gemello in studio, nessun brano qui è inedito. Ogni canzone è già apparsa su album e raccolte e la cernita mira dunque a fare il punto sulla carriera live del gruppo appropriandosi del concetto (storicamente tipico della comunità deadheads) della best version ever: ovviamente, cosa dire sulle Bertha e Wharf Rat di Skull&Roses (che per chi scrive è uno dei tre dischi preferiti dei Dead)? E quanto inchiostro vogliamo ancora spendere sulla Morning Dew suonata in Inghilterra il 26 maggio 1972? L'unica, vistosa pecca del primo cd (e, in generale, della raccolta tutta) è che non presenta brani incisi fra 1973 e 1974, quando- almeno a mio avviso -il 1973 ha ben poco da invidiare ai precedenti, fosse anche soltanto per il fatto che il più bel concerto dei Dead è stato inciso a Veneta, Oregon, il 27 agosto di quell'anno. Il buon Lemieux avrebbe potuto estrapolare da qui Truckin', invece di battere, nuovamente, su quella comparsa su Europe '72. Perfetta, invece, la cinquina messa in fila all'inizio del secondo dischetto: tre monumentali brani tratti da Dead Set (fra cui quella Fire on the Mountain che si contende un pezzetto dei nostri cuori con quella, più scarna, presentata a Red Rocks nel maggio 1978) e due dal suo gemello eterozigote Reckoning. Per chi si fosse perso Without a Net (che negli anni non è mai stato ristampato a dovere sul mercato europeo), questa sarà anche l'occasione giusta per ascoltare il duetto con Branford Marsalis su Eyes of the World. Quasi in coda, un pezzo da novanta inaspettato: una Blow Away (Brent Midland firmava la musica e John Perry Barlow i testi) di dodici minuti registrata a Filadelfia nel 1989 e precedentemente inclusa solo nel cofanetto Crimson, White and Indigo. Grandissima assente del cd 2? La Althea suonata al Nassau Coliseum durante il tour di Go to Heaven. Ma per il resto siamo a livelli dionisiaci: apprendimento senza fondo nè fine. Musica che continua a essere e sarà sempre uno specchio rivolto verso l'infinito. 

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