Roxy- Tonight's the Night Live
(Reprise Records, 2018)
★★★★
Nella
ferrigna città di Los Angeles si consuma con Neil Young, a metà
degli anni Settanta del secolo scorso, un'effimera e intensa avventura di
bellezza, canto e dolore. E' il 1973, il rock sta morendo (o almeno così voleva certa critica), la tequila e la cocaina si insinuano contro
l'erba e i frutti della terra, una fervida e rinnovata libertà individuale e sentimentale si dispiega a contrasto coi rigori della disciplina comunitaria post-hippie. I canyon notturni, placati nel sonno
inerte del mondo e nel silenzio degli esseri umani (Borrowed
Tune), si
riscuotono di una vibrante ebrezza, rischiariti solo dalla veglia
funebre celebrata in nome di Danny Whitten e Bruce Berry, “che
vissero e morirono per il rock&roll”. Le forze umane in
Tonight's the Night sembrano
venire meno, l'operosità campagnola di Harvest
è solo un ricordo immerso nella nebbia (Come On Baby Let's
Go Downtown): l'estensione
vocale di Young e dei suoi compagni, corrotta com'è da alcool,
insonnia e pillole, finisce col tendere a operazioni stupefacenti
(Tired Eyes). Così,
in seguito alla sacra veglia, una instant-band
denominata Santa Monica Flyers attraversa la strada senza neanche
aver cambiato vesti, strumenti, accordatura per inaugurare un nuovo locale chiamato Roxy, e fra il 20 e il 22 settembre del 1973 ripropone quasi tutto Tonight's the Night.
La pedal steel di Ben Keith muove le ombre di un uditorio di volti
che faticano a riconoscere il capellone di qualche anno fa. La
batteria di Ralph Molina colma gli spazi di canzoni esclusivamente ritmate da una sottile
semplicità. E poi c'è Neil Young, strappato dalla vita alla
solitudine della natura e tornato nel mondo per porre ancora di più al centro della propria
poetica il dolore, l'oscurità e la Notte, di continuo invocata come
una divinità, come una musa lusingata dal palpito della Telecaster del canadese e dai cori dei Santa Monica Flyers. Un recital di autocoscienza che stupirà non poco gli appassionati, convinti che il Loner di quel periodo somigliasse soltanto allo spettro di sè e avesse fatto, come unico sforzo, quello di togliersi gli stivali per sostituirli con scarpe laccate da gangster. In questo Roxy non sarà possibile avvertire l'insolito vigore di Time Fades Away (per chi se lo fosse perso, è finalmente uscito in cd nel 2017, molto in sordina e solo nel secondo cofanetto della Original Release Series), e l'assioma classico di "musica in studio più pulita che in concerto" viene completamente ribaltato. L'accoglienza che il pubblico del Roxy destina a un repertorio inedito come questo ha molto da insegnare in tempi in cui un buon cinquanta percento dei concerti sono uno la copia dell'altro e la parola live fa spesso rima con karaoke. Che poi quel pubblico fosse (parte de) lo stesso a cui Young avrebbe tenuto "nascosto" Tonight's the Night fino all'estate del 1975 (impedendone e rimandandone l'uscita perchè poco convinto, sulle prime, dal missaggio approntato dall'impagabile David Briggs e da una tracklist incongruente che sarebbe stata poi ultimata e riorganizzata da Eliot Roberts) è un'altra storia. E Young- plurisettantenne felicemente immerso in un marasma composto da battaglie eco-chic a metà fra il tenero e il fallimentare, decine di progetti abortiti, un imminente tour coi Crazy Horse annunciato di fresco, dischi rimandati, film orribili e colonne sonore invero piacevoli -non rinuncia a presentare l'ennesima, grande pagina live della sua carriera e a riconfermare- semmai ce ne fosse stato bisogno -che la Performance Series avviata ormai dodici anni fa è ancora la più generosa e la meglio gestita delle sue tante miniere.
Nessun commento:
Posta un commento